Con una pronuncia del 18 giugno 2024 si dirime un’annosa questione sulla nozione di affinità non opportunamente modificata dopo l’introduzione del divorzio
Servizi Comunali
Tra gli adempimenti dei sindaci neoeletti c’è quello di nominare i componenti della Giunta, tra cui il vicesindaco in base all’art. 46 del TUEL.
La pronuncia della Corte Costituzionale n. 107 depositata il 18 giugno 2024 ha affrontato un’importante questione di rilievo costituzionale relativa alle ipotesi di incompatibilità a ricoprire la carica di componente della giunta municipale e quella di vicesindaco.
La norma considerata è l’art 64 n. 4 TUEL che prevede l’incompatibilità predetta per gli affini entro il terzo grado del sindaco (o del presidente della giunta provinciale).
La nozione di “affinità” è disciplinata dall’art. 78 del codice civile che la definisce come “il vincolo tra un coniuge e i parenti dell'altro coniuge”.
La Prima Sezione della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 18064/2023 riteneva rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 78, 3° co., come implicitamente richiamato dalla norma dell’art. 64, 4° co., TUEL con riferimento agli artt. 2, 3 e 51 Cost., nella parte in cui stabilisce che "l'affinità [...] cessa se il matrimonio è dichiarato nullo, salvi gli effetti di cui all'art. 87, n. 4", “così prevedendo che il vincolo di affinità permanga per il parente del coniuge divorziato, malgrado il rapporto di coniugio da cui tale vincolo è stato determinato sia ormai sciolto, e impedendo la partecipazione di quest'ultimo alla giunta municipale a seguito di designazione ad opera dell'ex coniuge di un parente.”
Il caso riguardava la presunta incompatibilità a partecipare alla giunta municipale e a ricoprire la carica di vicesindaco dell’ex cognato divorziato dalla sorella del sindaco.
Il problema insorgeva perché il legislatore, all’indomani della legge istitutiva del divorzio (L. 898/1970), non ha provveduto a regolamentare in modo organico tutti gli effetti a cascata all’interno del diritto di famiglia conseguenti alla scelta negoziale dei coniugi di sciogliere definitivamente il vincolo matrimoniale.
Proprio in vista dei molteplici effetti che la legge ricollega all'affinità, sia in campo civile che in sede penale, dottrina e giurisprudenza, per sopperire al vuoto normativo, si sono chieste se il divorzio determinasse la cessazione del vincolo di affinità, come per l'ipotesi di nullità del matrimonio, o se trovasse applicazione la regola della permanenza dell'affinità dettata invece quando muore il coniuge.
Infatti tra le ipotesi generali previste dall’art. 78 cod. civ., il terzo comma, rimasto inalterato nel tempo, nel disciplinare la cessazione del rapporto di affinità in conseguenza di eventi che incidono sul vincolo matrimoniale da cui quel rapporto trae origine, non ha tenuto conto dell’ipotesi di divorzio perché al momento dell'entrata in vigore del codice civile il divorzio non era ammesso nel nostro ordinamento. L’articolo in questione si limita pertanto a prevedere l’influenza sull’affinità della sola nullità del matrimonio, fermo il principio che la morte del coniuge invece non fa cessare il rapporto di affinità.
Non è stato regolamentato in sostanza un principio sulla sorte dell'affinità a seguito della pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, seppure il divorzio interrompa o ponga fine anche ai legami affettivi e di solidarietà tra ciascun coniuge e i parenti dell’altro coniuge: la stessa nozione legislativa di affinità presuppone l'esistenza di un matrimonio, i cui effetti, compresa l'attribuzione dello status coniugale al quale inerisce l'affinità, cessano di prodursi con la sentenza di divorzio per volontà dei contraenti.
Ebbene, non solo il legislatore non ha mai modificato l’art. 78 del codice civile ma, anzi, ha introdotto una norma nel TUEL, l’art. 64, pure novellata dalla L.140/2004 molti anni dopo dall’entrata in vigore della legge sul divorzio, che non considera le conseguenze della dissoluzione del vincolo matrimoniale, di cui pure l’affinità dovrebbe subire gli effetti. L’art. 64, rubricato «Incompatibilità tra consigliere comunale e provinciale e assessore nella rispettiva giunta», al comma 4 prevede tra gli altri che gli «[..] affini entro il terzo grado, del sindaco o del presidente della Giunta provinciale, non possono far parte della rispettiva Giunta né essere nominati rappresentanti del comune e della provincia».
La Corte Costituzionale parte dalla prospettazione della Cassazione secondo cui “l’art. 78, co. 3 cod. civ. e l’art. 64, co. 4 TUEL definiscono, rispettivamente, la regola generale e quella specifica, derivata in via applicativa dalla prima”, per stabilire nel caso di specie se il rapporto di affinità permanga o cessi “in caso di scioglimento o cessazione degli effetti del vincolo matrimoniale da cui esso deriva, nella materia delle incompatibilità alle nomine politiche negli enti locali.”
Ebbene ritiene la Corte adìta che, siccome l’art. 51 Cost. rientra nella sfera dei diritti inviolabili sanciti dall’art. 2 della Costituzione quale «aspetto essenziale della partecipazione dei cittadini alla vita democratica» (v. Corte Cost. 141/1996) e «svolge il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino» (Corte Cost. 60/2023, che richiama Corte Cost. 277/2011, 25/2008, 288/2007 e 539/1990), in questo contesto «le restrizioni del contenuto di un diritto inviolabile sono ammissibili solo nei limiti indispensabili alla tutela di altri interessi di rango costituzionale, e ciò in base alla regola della necessarietà e della ragionevole proporzionalità di tale limitazione» (v. Corte Cost. 141/1996, punto 3 del Considerato in diritto).
Nel caso di specie il diritto all’elettorato passivo va «coniugato con gli interessi costituzionali protetti dall’art. 97, secondo comma, della Costituzione, che affida al legislatore il compito di organizzare i pubblici uffici in modo che siano garantiti il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione». Ne deriva che le cause di incompatibilità alla carica, che integrano uno degli aspetti del diritto all’elettorato passivo, sono costituzionalmente legittime quando non introducono differenze nel trattamento tra categorie omogenee che siano manifestamente irragionevoli e sproporzionate al fine perseguito.
Tra queste categorie la Corte costituzionale ha riconosciuto una certa omogeneità tra la nullità del matrimonio e il divorzio (benché la prima operi ex tunc mentre la seconda ex nunc), entrambe accomunate dalla volontà di porre fine definitivamente al matrimonio.
Per questi motivi la Corte Costituzionale con la citata recentissima sentenza n. 107 del 18 giugno 2024 ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui prevede che non possono far parte della giunta, né essere nominati rappresentanti del comune e della provincia, gli affini entro il terzo grado del sindaco o del presidente della giunta provinciale, anche quando l’affinità deriva da un matrimonio rispetto al quale il giudice abbia pronunciato, con sentenza passata in giudicato, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili per una delle cause previste dall’art. 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio).»
Articolo dell'Avv. Simonetta Cipriani
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