Approfondimento sulle modifiche al Codice dei Contratti previste dal “Dl Infrastrutture”
ANCI – 29 maggio 2025
Il debito fuori bilancio non può essere riconosciuto integralmente
Servizi Comunali BilancioApprofondimento di Enrica Daniela Lo Piccolo
Il debito fuori bilancio non può essere riconosciuto integralmente
Enrica Daniela Lo Piccolo
I debiti fuori bilancio rappresentano il principale momento di criticità per la tenuta degli equilibri di bilancio.
In premessa, va detto che con la locuzione “debito fuori bilancio” si intende fare riferimento ad un’obbligazione pecuniaria assunta (o gravante) dall’ente al di là e/o comunque in violazione del sistema di bilancio e, quindi, indipendentemente da uno specifico impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione ed al di fuori di qualsiasi valutazione e, quindi, attestazione in merito alla copertura finanziaria della spesa medesima :ovvero « come quel debito costituito da obbligazioni pecuniarie, relative al conseguimento di un fine pubblico, valide giuridicamente ma non perfezionate contabilmente […] e che, pertanto, rappresenta, sostanzialmente, una obbligazione dell’ente locale, valida sul piano giuridico, ma assunta in violazione del procedimento giuscontabile di spesa normativamente previsto». Il debito fuori bilancio per essere riconosciuto deve avere i caratteri della “certezza”, cioè che deve esistere effettivamente una obbligazione a dare, non presunta ma inevitabile per l’ente; quello della “liquidità”, nel senso che sia individuato il soggetto creditore, il debito sia definito nel suo ammontare, l’importo sia determinato o determinabile mediante una semplice operazione di calcolo aritmetico; quello della “esigibilità”, cioè che il pagamento non sia dilazionato da termine o subordinato a condizione».
La disposizione contenuta nell’art. 194 del TUEL prevede che, con deliberazione consiliare di cui all'articolo 193, comma 2, o con diversa periodicità stabilita dai regolamenti di contabilità, si provveda al riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti da:
In termini generali, va premesso che il principio dell'equilibrio finanziario è strettamente subordinato a una corretta conoscenza dei conti e ad un funzionamento che sia retto dalle regole di una sana gestione finanziaria, il che impone quindi la riconduzione al bilancio di tutti i fenomeni gestori che provocano entrate e uscite. Ne è conferma esplicita la previsione della lettera e) dell'art. 194 del TUEL (che va letta in stretta correlazione con l'art. 191 del Tuel): essa, nel delineare il paradigma del debito fuori bilancio, in cui le spese vengono assunte o ordinate senza previo impegno di spesa , ne consente il riconoscimento a determinate condizioni.
Lo scopo quindi della norma è quello di evitare il formarsi di debiti occulti o sommersi che pregiudichino in modo sostanziale in (evidente fittizio) pareggio di bilancio conseguito in modo solamente formale. Ma non è chi non veda come tale situazione - oltre a sancire l'inattendibilità contabile della stima iniziale di bilancio - comprometta l'equilibrio (fittizio) di bilancio, imponendo la riformulazione delle previsioni complessive (ove a ciò non suppliscano i normali strumenti di flessibilità del bilancio stesso, come ad es. il prelevamento dal fondo di riserva).
Gli eventi tipizzati dalla norma dell'art. 194 Tuel rappresentano un vulnus evidente al principio di pareggio, in uno con quello della veridicità del bilancio: non a caso la giurisprudenza ha ritenuto che già nella riportata delineazione dell'istituto del riconoscimento di debito (in quanto dotato dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità: Circolare del Ministero dell'interno 20 settembre 1993, n. F.L. 21/1993) vi è comunque contenuta l'eccezionalità della sua configurazione legislativa (Corte dei conti, sez. controllo per la Regione Sardegna, parere n. 6 del 25 novembre 2005). La giurisprudenza ha sottolineato,inoltre, il carattere tassativo delle fattispecie sopra elencate, le uniche riconoscibili con la procedura di cui all'art. 194 TUEL, non applicabile a ipotesi diverse.
In tal modo sanando i due presupposti: quello giuridico (obbligazione assunta in violazione della norma) e quello contabile (imputazione della spesa occorrente in capo all’ente che ha provveduto al relativo riconoscimento),è stata affermata, altresi’, la competenza, esclusiva, non derogabile e non assumibile da altri organi, del Consiglio comunale in ordine al riconoscimento dei debiti fuori bilancio
LE SINGOLE IPOTESI DI RICONOSCIMENTO DI DEBITO FUORI BILANCIO
Alcune questioni circa la esatta latitudine della norma, in riferimento alle singole ipotesi da essa delineata, sono state ripetutamente oggetto di disamina da parte della giurisprudenza contabile.
La previsione della lett. a) dell’art. 194 del Tuel ha indotto la giurisprudenza della Corte dei conti a ritenere (Corte conti, Sezione Basilicata, deliberazione 76/2014), che tale norma contempli fra le tipologie di debiti fuori bilancio che è possibile riconoscere con l’adozione di apposita deliberazione del Consiglio, anche quelle derivante da sentenze esecutive di primo grado, in virtù del disposto di cui all’articolo 282 c.p.c., come novellato dalla legge 353/1990, (La Corte dei conti Sezione Lombardia, con la deliberazione 326/2017, ha evidenziato che, di fronte ad una sentenza esecutiva, ancorché di primo grado, sussiste l’obbligo per l’ente di riconoscere il relativo debito con le modalità di cui all’art. 194, comma 1, lett. a), del Tuel. Tale obbligo decorre, in un’ottica prudenziale, dalla data del deposito della sentenza di condanna, cioè dal momento del giuridico perfezionamento della relativa pubblicazione (art. 133, primo comma, c.p.c.): e sono ascrivibili alla fattispecie contemplata dalla norma in esame anche, a seguito della modifica normativa operata dal d.lgs. 156/2015, che ha riformulato il testo dell’articolo 69 del d.lgs. 546/92,le sentenze sfavorevoli alle amministrazioni pubbliche emesse dal giudice tributario.
L’atto di riconoscimento appare anzi tanto più necessario in quanto, come sottolineato dalla giurisprudenza, anche l’eventuale previsione in bilancio di uno specifico stanziamento per liti, arbitraggi, transazioni e quant’altro, non elimina la necessità che il Consiglio deliberi sulla riconoscibilità dei singoli debiti formatisi al di fuori delle norme giuscontabili .
Peraltro, ci si è chiesti se nelle more dell’adozione della delibera consiliare di riconoscimento, l’amministrazione possa procedere ugualmente alla liquidazione ed al pagamento del debito derivante da sentenza esecutiva, al fine di rispettare il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo previsti dall’articolo 14, del d.l. 669/1996 ai fini dell’avvio di procedure esecutive nei confronti della p.a.: ciò in quanto - come vedremo - non residua alcun margine di discrezionalità in capo al Consiglio comunale nel valutare l’an e il quantum del debito, dal momento che esso rimane stabilito nella misura indicata dal provvedimento dell’autorità giudiziaria. La giurisprudenza contabile ha tuttavia ritenuto che i 120 giorni di tempo dalla notifica del titolo esecutivo previsti dall’articolo 14, del d.l. 669/1996 ai fini dell’avvio di procedure esecutive nei confronti della p.a., costituiscono un periodo sufficientemente ampio per provvedere agli adempimenti di cui all’articolo 194 del Tuel: gli organi preposti dovranno quindi procedere con tempestività alla convocazione del Consiglio comunale per il riconoscimento del debito, in modo da impedire il maturare di interessi, rivalutazione monetaria ed ulteriori spese legali .
3 – LA PREVISIONE NORMATIVA DELLA LETTERA B DELL’ART. 194 DEL TUEL
La previsione della lettera b) dell’art. 194 del Tuel mette capo a una scelta di tipo legislativo a fronte della quale i debiti scaturenti dalla gestione di enti strumentali di enti locali, possono essere riconosciuti a condizione che:
– sul piano soggettivo, riguardino debiti inerenti a consorzi, aziende speciali o istituzioni, ossia a soggetti partecipati totalmente da enti pubblici (sottoposti ad uno stringente controllo da parte dell’ente locale) per lo svolgimento di funzioni o di servizi privi di rilevanza economica e disciplinati dal Tuel agli articoli 31 e 114;
– sul piano oggettivo, sia stato rispettato l’obbligo di pareggio di bilancio che l’articolo 114 del Tuel e che il disavanzo derivi da quella stessa attività di gestione su cui l’ente locale esercita il controllo, indirizzandola.
A tale ultimo proposito, ove cioè si abbia riguardo ai disavanzi di “...consorzi, di aziende speciali e di istituzioni”, la giurisprudenza della Corte dei conti ha sottolineato la diversità ontologica degli altri organismi partecipati rispetto alle società: per essi è esclusa la possibilità di ricapitalizzazione, diversità che, di conseguenza, “consente di escludere l’applicazione, anche analogica, delle disposizioni sopra menzionate, che in via eccezionale permettono a un ente pubblico di farsi carico del disavanzo di una struttura deputata alla gestione di un servizio di interesse generale”.
La giurisprudenza, nondimeno - pur rimarcando la cennata differenza tra quanto previsto dall’art. 193 lett b) e quanto invece contemplato dalla lett. c) del medesimo articolo del Tuel - ha già avuto modo di sottolineare l’estensione analogica alle aziende speciali e ai consorzi di taluni principi riferiti alle società “in house”.
Nel caso del consorzio, a prescindere dall’ambito applicativo dell’art. 6, comma 19 del d.l. n. 78/2010 e, ora, delle disposizioni di cui agli artt. 14 e 21 del d.lgs. 175/2016 riguardo agli enti strutturalmente in perdita, si è in ogni caso affermata – da parte della giurisprudenza della Corte dei conti- l’esclusione di “una razionalità economica (…) nell’accollo del debito risultante verso terzi all’esito della procedura di liquidazione”.
Anzi, si è ritenuto che “il finanziamento per il ripiano di perdite gestionali di organismi partecipati dall’ente locale, diversi dal modello societario, corrisponde a criteri di sana gestione finanziaria solo se è finalizzato a sostenere piani di riequilibrio dei costi rispetto ai ricavi. Non è ammissibile nell’attuale congiuntura economica il soccorso finanziario “a fondo perduto” in favore di organismi strumentali che hanno generato e che continuano a generare cospicue perdite di gestione dalla data della costituzione sino all’ultimo bilancio approvato”.
Secondo il surriferito indirizzo, si “…impone l’abbandono della logica del salvataggio a tutti i costi di strutture e organismi partecipati o variamente collegati alla pubblica amministrazione che versano in situazioni d’irrimediabile dissesto, ovvero l’ammissibilità d’interventi tampone con dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto, erogate senza l’inserimento in un programma industriale o in una prospettiva che realizzi l’economicità e l’efficienza della gestione nel medio e lungo periodo (comma 19 primo periodo). I trasferimenti agli organismi partecipati sono consentiti solo se vi sarà un ritorno in termini di corrispettività della prestazione a fronte dell’erogazione pubblica, ovvero la realizzazione di un programma d’investimento. Eventuali interventi in deroga, potranno essere autorizzati solo al cospetto di gravi pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica e la sanità e al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse (comma 19, secondo periodo)”.
Di particolare interesse, risulta essere la deliberazione n.60 del 2019 della Corte dei Conti, Sezione di Controllo della Regione Puglia, che ha affrontato la questione relativa al riconoscimento e finanziamento del debito fuori bilancio ex lettera e) comma 1 art. 194 Tuel, al netto dell’utile di impesa.
Il quesito ha ad oggetto, nell’ambito del complesso procedimento volto alla quantificazione delle somme da riconoscere ex art. 194, comma 1, lett. e) del d.lgs. 267/2000, una problematica particolare inerente i criteri di determinazione dell’utile di impresa da scorporare dalla componente c.d. «riconoscibile».
L’ente richiedente – rileva la Corte dei Conti - si dimostra ben consapevole della circostanza secondo la quale, per l’appunto, l’utile d’impresa, in quanto rappresentativo della componente economica della controprestazione integrante il guadagno del privato, non può in alcun modo costituire un arricchimento per l’Ente.
Ai fini della quantificazione dell’utile di impresa, la giurisprudenza contabile ha più volte richiamato i parametri utilizzati dalla giurisprudenza amministrativa e della stessa Corte dei conti per il ristoro del c.d. «danno da concorrenza», ritenendo che tale utile sia da quantificare «…. in una percentuale del valore dell’appalto, 10% o 5% a seconda che si tratti di appalto di lavori o di forniture di beni e servizi.
Trattasi del criterio liquidatorio dell’utile d’impresa, che viene mutuato dalle cause di risarcimento per equivalente, nel caso in cui non sia possibile la reintegrazione in forma specifica della pretesa dell’impresa ricorrente vittoriosa. Esso muove dal presupposto della spettanza, al privato contraente a causa dei vizi della procedura ad evidenza pubblica, del solo arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 c.c., in luogo del corrispettivo contrattuale. In applicazione di tale criterio, il danno (alla concorrenza), nel giudizio di responsabilità, viene individuato nei pagamenti eccedenti la quota riconducibile all’arricchimento senza causa, sicché l’utile di impresa rappresenta la misurazione di tale eccedenza». (Corte dei conti, Sez. reg. contr. Lombardia, deliberazione 22 dicembre 2014, n. 380/2014/PRSE).
Tuttavia, le modalità di determinare l’utile d’impresa possono essere anche altre.
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