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ANCI – 29 maggio 2025
Scuola e Comuni devono garantire il pasto da casa agli studenti che non fruiscono del servizio mensa
Servizi Comunali Refezione scolasticaApprofondimento di Amedeo Di Filippo
Scuola e Comuni devono garantire il pasto da casa agli studenti che non fruiscono del servizio mensa
Amedeo Di Filippo
Deve essere riconosciuto agli studenti non interessati a fruire della refezione scolastica il diritto a frequentare il tempo mensa e consumare il pasto preparato a casa, senza essere costretti ad abbandonare i locali scolastici. Lo afferma il Tar Lazio con la sentenza n. 14368 del 13 dicembre (nel file allegato), che riapre il fronte di un dilemma ritenuto ormai chiuso con la pronuncia delle sezioni unite della Cassazione.
Il contesto
Nell’ultimo contributo abbiamo reso conto della nota prot. 2270 del 9 dicembre con cui il Miur ha fornito ai dirigenti scolastici alcune indicazioni per la consumazione del pasto a scuola, sulla base delle novità introdotte dalla sentenza n. 20504 del 30 luglio scorso con cui le sezioni unite della Cassazione hanno escluso che ci possa essere un diritto soggettivo perfetto degli alunni di portarsi il pasto da casa e non fruire del servizio di refezione scolastica.
Posizione che contrasta con quella assunta dalla quinta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 5156 del 3 settembre 2018, che ha riconosciuto la libera scelta alimentare, e quella del Tar Lazio con l’ordinanza n. 6011 del 13 settembre 2019, che ha accolto la sospensiva dei provvedimenti con cui un istituto scolastico ha negato l’accesso al refettorio di studenti con pasti di preparazione domestica.
Nella nota, il Miur ha evidenziato che il tempo dedicato alla refezione scolastica è compreso nel tempo scuola e deve essere considerato a tutti gli effetti parte integrante e caratterizzante della proposta formativa, come tale da includere nel Ptof. Consegue l’impegno delle scuole a garantire la collaborazione delle famiglie, assicurare la massima trasparenza dei processi decisionali, condividere le scelte gestionali con gli enti locali e le Asl.
Il Tar Piemonte
Nel frattempo, il Tar Piemonte è stato chiamato ad accertare il diritto degli studenti ad essere ammessi a consumare pasti di preparazione domestica nel locale adibito a refettorio scolastico e il conseguente dovere della scuola di attivarsi affinché adottati tutte le misure atte a disciplinare la coesistenza di pasti di preparazione domestica e di pasti forniti dalla ditta comunale di ristorazione, garantendo discenti l’assistenza educativa del personale docente oltre che le dovute prestazioni di pulizia e di sanificazione dei locali, senza oneri in capo alle famiglie.
Con l’ordinanza n. 934 del 4 dicembre ha dichiarato insussistenti i presupposti per la concessione della tutela cautelare, proprio in riferimento alla sentenza della Cassazione n. 20504/2019. Secondo i giudici piemontesi, nel negare tale diritto l’istituto scolastico ha operato un corretto bilanciamento dei contrapposti interessi, considerato anche l’elevato numero di alunni per i quali è stata presentata istanza di fruire del pasto domestico, le difficoltà organizzative ed economiche che deriverebbero dall’accoglimento delle istanze di autorefezione ma anche “l’indubbio rilievo dei risvolti educativi perseguiti con la fruizione da parte degli alunni del servizio mensa in condizioni di uguaglianza”.
Il giubilo dell’ANCI
L’Associazione dei Comuni ha subito espresso compiacimento per la presa di posizione del Tar Piemonte, che avrebbe confermato la correttezza della posizione espressa dall’ANCI circa l’importanza della refezione scolastica, servizio in cui non solo ci si prende cura del benessere degli alunni ma si insegna la socializzazione e l’uguaglianza nell’ambito di un progetto educativo comune. Rileva inoltre che non si può più rimettere in discussione il principio che non esiste un diritto soggettivo perfetto all’autorefezione; tale modalità può essere richiesta dai genitori ma può essere negata dalla scuola quando vi siano oggettive difficoltà organizzative ed economiche.
Il popolo del panino da casa in mensa ha dunque perso un'altra battaglia, dopo il colpo della Cassazione, anche se non esiste norma che vieti il consumo dei pasti portati da casa all’interno degli edifici scolastici, auspice l’art. 32 Cost., né è vietato consumarli accanto a chi mangia il pasto della mensa. E questo perché è il “tempo mensa” ad essere parte integrante dell'orario scolastico e non il “servizio mensa”.
Il Tar Lazio
Su questa sottile ma fondamentale differenza ha fatto leva il Tar Lazio, che si è espresso quasi in contemporanea con la sentenza n. 14368 del 13 dicembre per vagliare una circolare scolastica che ha disposto la fruizione obbligatoria del servizio mensa comunale, salvo casi particolari motivati con apposita certificazione medica. Il Tar dichiara fondato il ricorso, rifacendosi ai principi affermati dalla sentenza della Corte di Appello di Torino n. 1049/2016, secondo cui il tempo mensa è a tutti gli effetti tempo scuola in quanto rappresenta un essenziale momento di condivisione, socializzazione e valorizzazione delle personalità individuali, oltre che di confronto degli studenti.
Afferma il Tar Lazio che il servizio mensa non può dirsi strettamente qualificante il servizio di pubblica istruzione e pertanto va tenuto distinto dal concetto di tempo mensa. Contesta quindi la sentenza delle sezioni unite della Cassazione nel punto in cui afferma che tra le finalità educative del progetto formativo scolastico vi sarebbe quella della “educazione all’alimentazione”, ponendo su due piani diversi la socializzazione che caratterizza il tempo mensa e l’obbligo di consumare e condividere lo stesso cibo.
Consegue che l’autorefezione non comporta in alcun modo una modalità solitaria di consumazione del pasto, dovendo la scuola garantire, per quanto possibile, la consumazione dei pasti degli studenti in un tempo condiviso che favorisca la loro socializzazione. Altrimenti verrebbe leso il diritto di partecipare al “tempo mensa” quale segmento del complessivo progetto educativo, a meno di rendere obbligatorio il “servizio mensa”.
La scelta di interdire il consumo di cibi portati da casa quindi limita una naturale facoltà dell’individuo afferente alla sua libertà personale, per cui deve essere riconosciuto agli studenti non interessati a fruire del servizio mensa il diritto a frequentare ugualmente il tempo mensa, senza essere costretti ad abbandonare i locali scolastici. Ma, aggiungono i giudici”, “salvo non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni particolari di varia sicurezza o decoro”.
Tra queste ragioni non può esservi il fatto che i pasti vengano preparati a casa, poiché “costituiscono un’estensione dell’attività di preparazione alimentare familiare autogestita, senza intervento di terzi estranei al nucleo familiare” e la relativa preparazione è un’attività non assoggettata alle imposizioni delle normative in materia di igiene dei prodotti alimentari o a forme di autorizzazione sanitaria e ricade completamente sotto la responsabilità dei genitori. La scuola deve solo vigilare sui minori per evitare che vi siano scambi di alimenti. Nemmeno può essere accampata l’inidoneità del refettorio, perché sarà compito della scuola e del Comune adottare le corrette procedure per gestire i rischi da interferenze attraverso il documento di valutazione dei rischi (DUVRI).
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