Approfondimento sulle modifiche al Codice dei Contratti previste dal “Dl Infrastrutture”
ANCI – 29 maggio 2025
Obbligo di permanenza nell’ente per 5 anni in capo ai neo assunti
Servizi Comunali Trattamento giuridicoApprofondimento di Luigi Oliveri
Obbligo di permanenza nell’ente per 5 anni in capo ai neo assunti
Luigi Oliveri
I neo assunti hanno l’obbligo di restare per 5 anni alle dipendenze dell’ente locale. L’articolo 14-bis, comma 5-septies, del d.l. 4/2019, convertito in legge 26/2019, è molto chiaro: “I vincitori dei concorsi banditi dalle regioni e dagli enti locali, anche se sprovvisti di articolazione territoriale, sono tenuti a permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni. La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi”.
E’ da condividere l’opinione secondo la quale la norma vale per i “vincitori” dei concorsi in senso lato: chi sia assunto, cioè, a seguito dell’utilizzo di una graduatoria connessa ad un concorso pubblico.
Interpretazioni secondo le quali il vincolo alla permanenza sarebbe imposto solo al vincitore vero e proprio, ma non all’idoneo o anche allo stabilizzato, sarebbero assurde, anche se aderenti alla “lettera” della norma: ma è noto che l’interpretazione letterale regge se i suoi effetti non sono paradossali. Un idoneo assunto per scorrimento della graduatoria non si vede per quale ragione possa disporre di una posizione di fronte al datore di lavoro di maggior favore di quella di un vincitore di concorso.
La precettività ed inderogabilità della norma appaiono molto forti. Da un lato, la norma esclude in radice che il dipendente neo assunto a seguito dell’utilizzo di graduatorie formate a seguito di concorsi possa vantare non solo un diritto (la mobilità volontaria non è un diritto, essendo condizionata dal nulla osta del datore di lavoro), ma anche solo di una posizione differenziata o di mera aspettativa.
Il dipendente è obbligato dalla legge a restare in servizio presso l’ente che lo ha assunto: si tratta di un obbligo appunto discendente direttamente dalla legge, come tale imperativo e, quindi, necessariamente da rispettare.
C’è da chiedersi se la norma estenda la propria efficacia di obbligo anche al datore. Si potrebbe affermare che se per un verso il dipendente non può vantare il diritto o la semplice aspettativa ad una mobilità prima dei 5 anni, il datore tuttavia potrebbe comunque valutare la possibilità di acconsentire al trasferimento.
Nella norma non è dato riscontrare un divieto espresso nei confronti di tale dinamica. Ma, l’ordinamento del diritto pubblico è di natura speciale e va considerato che il diritto amministrativo è di natura precettiva e tassativa: non va letto alla luce di ciò che non vieta, bensì, al contrario, di quanto consente espressamente.
La norma citata sopra si rivolge espressamente non alle amministrazioni, bensì ai vincitori dei concorsi, destinatari del precetto.
Questo vuol dire, allora, che la PA, non essendo a sua volta considerata espressamente come oggetto della prescrizione normativa, possa derogare alla previsione?
La risposta affermativa incontra una serie di ostacoli. Il primo è di natura tanto procedurale, quanto sostanziale.
Se è vero che l’articolo 14-bis, comma 5-septies, del d.l. 4/2019 si rivolge direttamente ai dipendenti neo assunti, altrettanto vero è, però, che la mobilità volontaria consiste in un procedimento amministrativo che guida le modalità di esercitare la funzione datoriale, consistente nell’acconsentire al trasferimento del dipendente. E’ esercizio del potere datoriale la concessione del nulla osta o il suo diniego; è procedimento amministrativo il percorso col quale si arriva alla decisione, che si apre con un’istanza e si conclude con un atto adottato nell’esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, ma che resta atto amministrativo, in quanto la disciplina della mobilità volontaria, contrariamente a quanto gran parte della giurisprudenza e della dottrina affermano, non è una cessione del contratto di lavoro ai sensi del codice civile: essendo disciplinata dall’articolo 30 del d.lgs 165/2001, è un istituto di diritto pubblico, in qualche misura analogo alla cessione del contratto, ma regolato totalmente dalle regole del lavoro pubblico, come indica l’articolo 2, comma 2, del d.lgs 165/2001.
Quindi, poiché la domanda di mobilità volontaria va trattata ai sensi della disciplina pubblicistica, va verificato se il richiedente disponga dei requisiti soggettivi per poterla presentare. Il responsabile del procedimento dovrebbe, di conseguenza, evidenziare la totale carenza di legittimazione del richiedente ed il procedimento, quindi, dovrebbe necessariamente chiudersi col rigetto per inammissibilità stessa della domanda.
L’obbligo di permanenza del neo assunto, allora, ricade indirettamente anche sulla sfera dell’ente datore di lavoro, obbligato ad accertare l’assenza di legittimazione del lavoratore richiedente.
La prescrittività dell’obbligo di permanenza per 5 anni, inoltre, pone dubbi sulla liceità della costituzione del rapporto di lavoro con l’ente che eventualmente dovesse assumere il dipendente trasferito, a seguito dell’espressione del nulla osta, reso comunque dall’ente di provenienza.
Si potrebbe, infatti, evidenziare la nullità dell’accordo tra lavoratore ed ente di destinazione: infatti, anche questo ente ha l’obbligo di verificare la sussistenza in capo al lavoratore del requisito soggettivo del compimento dei 5 anni presso la sede di prima assunzione, la cui carenza priva l’accordo tra le parti dei requisiti di liceità. Ricostruendo l’accordo come procedimento amministrativo, l’ente di destinazione dovrebbe considerare la domanda di mobilità verso i propri ruoli come inammissibile.
Non si giungerebbe a conclusioni diverse, ricostruendo la fattispecie come negozio tra le parti (cedente e cessionario) nell’ambito della cessione del contratto: l’accordo tra queste parti sarebbe irrimediabilmente nullo, perché l’obbligo di permanenza in capo al lavoratore renderebbe l’oggetto del contratto inesistente; in ogni caso, la mobilità darebbe corso ad una norma imperativa di legge, come è da qualificare la previsione dell’articolo 14-bis, comma 5-septies, del d.l. 4/2019, dal momento che si qualifica come inderogabile dai contratti collettivi nazionali di lavoro, il che implica anche l’inderogabilità dei contratti individuali, fonti subordinate ai contratti collettivi.
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