Approfondimento di Giuseppe Leopizzi e Raffaele Marzo

Il Referendum costituzionale del 29 marzo 2020

Servizi Comunali Normativa elettorale
di Leopizzi Giuseppe di Marzo Raffaele
03 Marzo 2020

Approfondimento di Giuseppe Leopizzi e Raffaele Marzo                                                        

IL REFERENDUM COSTITUZIONALE DEL 29 MARZO 2020

Giuseppe Leopizzi e Raffaele Marzo

 

 

 

SOMMARIO: 1. Introduzione  2. Il quorum referendario – 3. La  “storia” sul numero dei parlamentari. – 4. Il contenuto del d.d.l. cost. 214-515-805-B. – 5. Le connessioni con la legge elettorale e valutazioni conclusive. 

 

 

  1. Introduzione.

 

Il 29 marzo 2020 gli elettori sono chiamati (seggi aperti dalle 7:00 alle 23:00) ad esprimersi sul disegno di legge costituzionale n. 214-515-805-B, avente ad oggetto «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari» (in Gazz. Uff., serie generale, n. 240 del 12 ottobre 2019). Infatti, il testo era stato approvato, in sede di prima deliberazione, dalla Camera (A.C. 1585) il 9 maggio 2019 e dal Senato della Repubblica il 7 febbraio 2019 (nel testo risultante dall’unificazione dei disegni di legge costituzionale 214, 515 e 805). Eppure, il Senato della Repubblica, in seconda votazione, lo ha deliberato a maggioranza assoluta (ciò è avvenuto nella seduta dell’11 luglio 2019: alla votazione erano presenti 231 senatori, i votanti sono stati 230, di cui 180 favorevoli, 50 contrari e nessun astenuto). Appunto difettando dell’approvazione con la maggioranza dei due terzi dei componenti (art. 138, co. 4) da parte di ambedue le Camere ne è seguita la richiesta di indizione del referendum (cfr., Corte Suprema di Cassazione – Ufficio Centrale per il Referendum, Ordinanza del 23 gennaio 2020, depositata in pari data).

Il Comunicato stampa del CdM, n. 25, 27 gennaio 2020 così recita: «Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giuseppe Conte, ha convenuto sulla data del 29 marzo 2020 per l’indizione – con decreto del Presidente della Repubblica – del referendum popolare previsto dall’articolo 138 della Costituzione sul testo di legge costituzionale recante: “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dalle due Camere e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 240, del 12 ottobre 2019».

In premessa può riferirsi che l’intento dichiaratamente perseguito dalla proposta soggetta a referendum è quella  diminuire il numero dei Deputati – da 630 a 400 – e quello dei Senatori – da 315 a 200 –, pur lasciando inalterato il numero dei Senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica. Ciò dovrebbe permettere una certo contenimento dei “costi della politica”.

Al di là dell’accesa discussione tra favorevoli e contrari è il caso di soffermarsi, nei limiti di questo contributo, all’analisi[1]. dei principali contenuti del sopra menzionato d.d.l. e, infine, mettere in luce qualche connessione – laddove esistente – sistematica con la rappresentanza ovvero vagliandone l’interazione con la legge elettorale.

Il quesito referendario – cioè la scheda che gli elettori si troveranno innanzi domenica 29 marzo 2020 – pone il seguente quesito:

«Approvate il testo della legge costituzionale concernente Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale - n. 240 del 12 ottobre 2019?».

Tracciando il contrassegno sul “sì” si vota a favore della riforma costituzionale; al contrario segnando il “no” la riforma sul numero dei parlamentari non avrà effetto e l’esito del referendum 2020 sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

 

  1. Il quorum referndario

 

Com’è noto, il referendum di revisione costituzionale (o referendum costituzionale, secondo la comune definizione) ha come oggetto l’approvazione o meno di modifiche alla già vigente Carta costituzionale: esso è configurato come espressione di un “potere costituito”. Un tipico esempio di tale referendum è quello contemplato nell’art. 138, comma 2, della Costituzione, ove si stabilisce che le leggi di revisione costituzionale approvate a maggioranza assoluta in ciascuna Camera in seconda votazione «sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali». In tal caso non è previsto un quorum minimo: l’esito delle urne sarà valido anche se non si raggiungerà il 50% più uno dei votanti (ciò a differenza di quanto succede invece con i referendum abrogativi (indetti per cancellare una legge), questa volta l’astensione dal voto non “varrà” come un no).

 

  1. La  “storia” sul numero dei parlamentari.
     
    In Italia, il numero dei Parlamentari è oggi determinato in numero fisso dalla Costituzione: 630 deputati (art. 56, co. 2, Cost.) e 315 senatori elettivi (art. 57, co. 2, Cost.) ai quali aggiungere i senatori a vita di nomina presidenziale (art. 59, Cost.).
    Invece, La formulazione originaria del co. 1, dell’art. 56 Cost. era la seguente: «La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o frazione superiore a quanta mila». Dunque, la composizione era determinata dalle risultanze di un’operazione matematica che considerava pressoché preminente il dato complessivo della popolazione.
    In modo pressoché speculare, per la composizione del Senato, l’art. 57 Cost. precisava:  «Il Senato è eletto a base regionale. A ciascuna Regione è attributo un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila». A differenza della Camera dei deputati, il confronto sulla seconda Assemblea riguardò principalmente la sua genetica conformazione e relativa attribuzione funzionale[2]. Tuttavia, la mutabilità della composizione ebbe una brusca interruzione: l’approvazione della legge costituzionale n. 2 del 1963 che determinò “il numero fisso” delle Assemblee, ovvero 630 deputati e 315 senatori ripartiti in sette senatori per Regione, uno Valle d’Asta e due per il Molise (quest’ultima costituita con la legge cost. n. 3 del 1963).
    Con il passare degli anni la riduzione del numero dei parlamentari ha spesso “interessato” la politica. In estrema sintesi, rammentando alcuni tra i più recenti tentativi (praticamente falliti), sono degni di nota: quanto verificatosi nella XIII (1996-2001) Legislatura con la «Commissione bicamerale per le riforme istituzionali “D’Alema”» del 1997, che approvò un progetto sulla riduzione dei parlamentari attraverso apposito rinvio a legge ordinaria (ovvero legge elettorale) al fine di determinare il numero dei parlamentari. In tale periodo si pervenne all’approvazione della legge cost. n. 1/2001 la quale, in riforma dell’art. 48 Cost., introduceva la circoscrizione estero per l’elezione di entrambe le Camere, assegnando seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge (cioè la L. 459/2001, c.d. “Legge Tremaglia”). Ancora, durante la XIV Legislatura (2001-2006) si verificò l’approvazione in duplice deliberazione il disegno di legge costituzionale A.S. n. 2544-D, c.d. “Calderoli” per un’ampia riforma della parte II Cost.; prevedendo una Camera dei deputati composta da 518 deputati (tutti elettivi) e un Senato formato da 252 senatori. Sottoposta ai sensi dell’art. 138, co. 3, Cost. a referendum non giunse a compimento per il suo esito negativo. Infine, la XVII Legislatura (2013-2018) è degna di nota per la presentazione del d.d.l. cost. A.C. n. 2613-D (noto “d.d.l. Renzi-Boschi”) recante «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione». Un vasto progetto di riforma che prevedeva di mantenere stabile il numero dei deputati mentre riduceva quello dei senatori – per un numero di 95 membri – elettivi di secondo grado oltre a 5 senatori (nominabili dal Presidente della Repubblica), ma non più a vita bensì in carica per sette anni.  Il 4 dicembre 2016 il referendum popolare ha dato esito negativo.

 

 

  1. Il contenuto del d.d.l. cost. 214-515-805-B

 

Il testo della riforma – sul quale, come accennato, saranno chiamati a pronunciarsi gli elettori in sede referendaria – si presenta alquanto conciso. Esso si compone di soli quattro articoli, così affrontando il nodo nevralgico del numero dei parlamentari e risolvendo seccamente la disputa sul numero di senatori di nomina presidenziale. 

L’art. 1 del d.d.l., che andrebbe a modificare l’attuale formulazione dell’art. 56 Cost., reca una la riduzione del numero dei componendi della Camera dei deputati:

«La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.

Il numero dei deputati è di quattrocento, otto dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.

La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per trecentonovantadue e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.».

 

L’art. 2 del d.d.l., recherebbe la modifica all’odierno art. 57 Cost. individuando la cifra dei senatori:

«Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero.

Il numero dei senatori elettivi è di duecento, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero.

Nessuna Regione o Provincia autonoma può avere un numero di senatori inferiore a tre; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno.

La ripartizione dei seggi tra le Regioni o le Province autonome, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.»

 

L’art. 3 sarebbe proiettato ad intervenire sulla nomina dei senatori a vita (mediante la sostituzione dell’attuale co. 2, art. 59, Cost.):

«E’ senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica.

Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque

 

Infine, l’art. 4 disciplina la vigenza delle revisioni in parola, stabilendo che troveranno applicazione a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva all’entrata in vigore della legge costituzionale e, comunque, non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla medesima.

 

  1. Le connessioni con la legge elettorale valutazioni conclusive. 

 

La ricercata riduzione del numero dei parlamentari del d.d.l. in analisi è, apertis verbis, sviluppata al fine di garantire un qualche miglioramento del processo deci­sionale e, al contempo, ottimizzare la spesa dei costi della politica. Ovviamente intervenire sugli artt. 56 e 57 Cost. genera ricadute sulla rappresentatività e sulla rappresentanza che obbligano ad un supplemento di attenzione.

Del resto, la concomitante approvazione della L. n. 51/2019, recante «Disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari» – si è detto –  «tocca il cuore della rappresentanza»[3]. Essa «scinde […] due elementi inseparabili nella rappresentanza politica, ossia il numero dei parlamentari stabilito in Costituzione dal rapporto che tale numero esprime rispetto agli abitanti. Ciò avviene nel momento in cui la c.d. “legge Perilli” considera la base numerico-dimensionale del rapporto tra eletti ed elettori […] come una variabile indipendente proprio dalla legge elettorale»[4].

L’operare congiunto del ddl cost. sulla riduzione del numero dei parlamentari e la l. 51/2019 può consentire di raggiungere solo relativamente un punto di equilibrio talchè, sul versante giuridico-costituzionale, l’opzione referendaria (qualunque essa sia) dovrebbe almeno considerare l’interazione con alcuni principi che l’ordinamento pone  e, per tale via, tenere conto non solo del risultato desiderato (ad esempio l’agognata riduzione dei costi della politica) ma anche di ogni sua implicazione costituzionale ad essa correlata.

Certamente tale disquisizione ,che può apparire teorica ,   lo è in quanto continua a non parlarsi   dei termini della questione referendaria e delle questioni sottese che da sole possono portare a valutare la portata effettiva delle riforme solamente dopo che sono state approvate e si è assestato il sistema elettorale ; per ora  prepariamoci ad una stagione di riforme speriamo vere ed autentiche di cui se ne parla da oramai troppo tempo.

29 febbraio 2020

 

[1] La dottrina costituzionalistica si è copiosamente pronunciata. Si segnalano alcuni importanti contributi: sulle conseguenze e sugli effetti del d.d.l. si rinvia a F. Clementi, Sulla proposta costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari: non sempre «less is more», n. 2/2019, (contributo consultabile in: http://www.osservatoriosullefonti.it); G. Di Plinio, Un “adeguamento” della costituzione formale alla costituzione materiale. Il “taglio” del numero dei parlamentari, in dieci mosse, in Federalismi.it, n. 7/2019; P. Carrozza, È solo una questione di numeri? Le proposte di riforma degli artt. 56 e 57 Cost. per la riduzione dei parlamentari, in Diritto pubblico comparato ed europeo, n. 3, 2019; P. Costanzo, Quando i numeri manifestano principi. Ovvero della probabile incostituzionalità della riduzione dei parlamentari, in Consulta OnLine, fasc. 1/2020 (pubblicato il 31 gennaio 2020), 75-77; A. Algostino, Perché ridurre il numero dei parlamentari è contro la democrazia, Forum di Quaderni costituzionali, 30 settembre 2019.

[2] Alla stregua di una Camera rappresentativa della Nazione (G. Codacci-Pisanelli, I presupposti del Costituente e la realtà attuale, in Legittimità, legalità e mutamento costituzionale, A. Tarantino cur., Milano, 1980, spec. 72),  con ovvie ricadute sul tema del bicameralismo (solo qualche riferimento: G. Ferrara, Le Camere, in Commentario della Costituzione, G. Branca ., Bologna, 1984, 7; E. Cheli, Il bicameralismo, in Dig. discilpl. pubbl., II, Torino, 1897;  A. Barbera, Il bicameralismo all’Assemblea Costituente, in Il Parlamento italiano. Storia politica e parlamentare dell’Italia, Milano, 1989).

[3] F. Clementi, Sulla proposta costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari: non sempre «less is more», cit. ;

[4] Ibidem.

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