Approfondimento sulle modifiche al Codice dei Contratti previste dal “Dl Infrastrutture”
ANCI – 29 maggio 2025
“No” al rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente pubblico nel procedimento disciplinare
Servizi Comunali Rimborso spese legaliApprofondimento di Vincenzo Giannotti
“No” al rimborso delle spese legali sostenute dal dipendente pubblico nel procedimento disciplinare
Vincenzo Giannotti
Il Consiglio di Stato (sentenza n.2841/2020) ha esaminato i profili di legittimità costituzionale del diritto al rimborso delle spese legali sostenute da un dipendente pubblico davanti alla commissione di disciplina, conclusasi senza comminazione della sanzione disciplinare. Trasponendo le conclusioni dei giudici amministrativi anche al pubblico impiego contrattualizzato (tra cui anche gli enti locali), si rende opportuno estrarre gli elementi qualificanti sulle motivazioni del diniego alla rimborsabilità delle spese che riguardano in generale le procedure disciplinari. L’appello proposto dal dipendente pubblico, infatti, è dipeso dalle conclusioni cui è pervenuto il Tribunale amministrativo di primo grado secondo cui, il rimborso delle spese legali sono ammissibili esclusivamente nei “giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità”, con esclusione dunque dei procedimenti disciplinari.
A dire della difesa del dipendente, il diniego si porrebbe in violazione degli artt. 2 e 24 della Costituzione oltre che per irragionevolezza.
Le motivazioni del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, nel dichiarare infondato il ricorso proposto dal dipendente, ha ampliato la motivazione sul diniego delle spese legali.
La disposizione legislativa (e per gli enti locali anche contrattuale) prevede in modo espresso il rimborso delle spese sostenute nei giudizi civili per azioni di responsabilità, nei giudizi penali e nei giudizi di responsabilità promossi davanti alla Corte dei Conti, per fatti e atti connessi al servizio. In questi giudizi, per ambire il dipendente pubblico alla rimborsabilità delle spese legali sostenute per la propria difesa, devono coesistere due condizioni: “a) l'esistenza di un giudizio, promosso nei confronti del dipendente, conclusosi con un provvedimento che abbia definitivamente escluso la sua responsabilità; b) la sussistenza di un nesso tra gli atti e i fatti ascritti al dipendente e l'espletamento del servizio e l'assolvimento degli obblighi istituzionali” (tra le tante le sentenze del Cons. Stato Sez. IV, 13 gennaio 2020, n. 280; 10 gennaio 2020, n. 239; 28 novembre 2019, n. 8137). In altri termini, il “giudizio” in base alla lettera della legge non può, dunque, che essere ricondotto ad un procedimento giurisdizionale, civile, penale, o davanti alla Corte dei Conti.
Sulla violazione al precetto costituzionale
Ricorda l’Alto Consesso amministrativo come il Giudice delle leggi abbia avuto modo di precisare che la garanzia costituzionale del diritto di difesa, di cui all’art. 24 Cost., si dispiega nella sua pienezza solo rispetto ai procedimenti giurisdizionali, e non può, quindi, essere invocata nel procedimento disciplinare che, viceversa, ha natura amministrativa e sfocia in un provvedimento non giurisdizionale, rispetto al quale si riflette in maniera attenuata con il rispetto delle norme che regolano il procedimento amministrativo riguardanti l’imparzialità, la trasparenza e la partecipazione (sentenze n. 505 del 14 dicembre 1995; n. 460 del 3 novembre 2000). In particolare, nei procedimenti disciplinari, che possono concludersi con sanzioni afflittive delle condizioni di vita della persona, incidendo in maniera determinante sulla sfera lavorativa delle stessa, si richiede il rispetto delle garanzie procedurali per la contestazione degli addebiti e per la partecipazione dell'interessato al procedimento. La legislazione nazionale (unitamente alla contrattazione collettiva) ha previsto specifiche garanzie (legge n. 241 del 1990) in tema dei diritti che devono essere garantiti nel procedimento disciplinare al dipendente pubblico coinvolto, quali la conoscenza degli atti che lo riguardano, la partecipazione alla formazione dei medesimi e la facoltà di contestarne il fondamento e di difendersi dagli addebiti. In altri termini, la consolidata giurisprudenza costituzionale non ha previsto nell’art.24 della Costituzione un vincolo per il legislatore di assicurare, per i dipendenti pubblici sottoposti ad un procedimento disciplinare, la medesima disciplina, oltretutto di carattere economico, prevista per i procedimenti giurisdizionali.
Sull’irragionevolezza del diniego
Infine, in merito alla lamentata irragionevolezza della decisione del giudice di primo grado, che non ha colto, a dire del ricorrente, l’ampliamento del beneficio del rimborso delle spese legali anche al di fuori delle ipotesi già previste dalla legge, si verte in un ambito riservato al discrezionalità del legislatore, che nel caso di specie, non si può ritenere essere stata esercitata in maniera manifestamente illogica o irragionevole, tenuto conto della diversa natura del procedimento giurisdizionale rispetto a quello disciplinare e della esigenza di contemperare la tutela dei dipendenti pubblici con quelle generali dei limiti della spesa pubblica. Sul quest’ultimo punto, il Collegio amministrativo di appello, ha evidenziato che il giudice di legittimità, nella tutela del dipendente pubblico al ristoro delle spese legali sostenute, ha richiamato il “dovere del legislatore di tener conto delle esigenze di finanza pubblica, che impongono di non far carico all'erario di oneri eccedenti quanto è necessario, e al contempo sufficiente, per soddisfare gli interessi generali e i doveri giuridici che presidiano l'istituto del rimborso spese” (Cass. civ. Sez. Unite, 6 luglio 2015, n. 13861).
7 maggio 2020
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