Approfondimento sulle modifiche al Codice dei Contratti previste dal “Dl Infrastrutture”
ANCI – 29 maggio 2025
È legittima l’interdittiva antimafia fondata sul solo rapporto di parentela
Servizi Comunali Normativa antimafiaApprofondimento di Alessandro Russo
È legittima l’interdittiva antimafia fondata sul solo rapporto di parentela
Alessandro Russo
Nel 2017 il Prefetto di Vibo Valentia emetteva interdittiva antimafia nei confronti di una società della sua Provincia; provvedimento basato sul solo rapporto di parentele tra i titolari della ditta ed un ‘ndirina locale.
La società ricorreva al Tar, che respingeva il ricorso.
La ricorrente allora sollevava appello al deciso di prime cure, ma il Consiglio di Stato sez. III con sentenza n. 2651/2020 del 24/4/2020 respingeva anch’esso tutte le domande.
Premetteva il Collegio che il ricorso era irricevibile per tardività della notifica, che giungeva alla controparte solamente 5 mesi dopo la notifica della sentenza di primo grado al ricorrente, invece che nel perentorio termine di 60 giorni dalla notifica della sentenza di primo grado.
La sezione poi continuava spiegando che l’informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa.
Tale pericolo è valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento penale (fondato su prove); ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa[1].
Anche il Legislatore all’art. 84 c. 3 D.Lgs. n. 159/2011 smi riconosce che elemento fondante l’informazione antimafia è la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”; nozioni che delineano una fattispecie finalizzata a prevenire un evento, anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori[2].
Il Giudice, a sua volta, è chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, alla base della valutazione prefettizia, e il suo sindacato sull’esercizio del potere, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che la PA trae da quei fatti, secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva – e non sanzionatoria - della misura. Infatti: <<il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una “condizione” personale di pericolosità, la quale è desumibile da più fatti, anche non costituenti illecito, quali le frequentazioni, le abitudini di vita, i rapporti, mentre il presupposto tipico per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale>>[3].
Così, ai fini dell’adozione dell’interdittiva antimafia, occorre accertare la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – con giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata. È però sempre necessario che questi elementi siano considerati unitariamente, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri[4].
È in questa prospettiva anticipatoria della difesa della legalità che si colloca il provvedimento di informativa antimafia al quale, infatti, è riconosciuta natura “cautelare e preventiva”, comportando un giudizio prognostico circa probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa[5].
In conclusione gli elementi indiziari indicati dal Prefetto di Vibo Valentia, ben supportano l’interdittiva. La loro gravità rende irrilevante la circostanza che essi ruotino sull’incontestato rapporto di parentela con soggetti molto vicini ad ambienti della criminalità organizzata.
Per questi motivi il Consiglio di Stato sez. III dichiara l’appello irricevibile e comunque non fondato nel merito, condannando il ricorrente al pagamento delle spese legali.
11 maggio 2020
[1] Cfr. Con. St. sez. III nn. 8882/2019, 6105/2019, 1182/2019.
[2] Vedi nello stesso senso Cons. St. sez. III n. 758/2019 che afferma: <<La funzione di “frontiera avanzata” dell’informazione antimafia, nel continuo confronto tra Stato e anti-Stato, impone alle Prefetture un uso di strumenti, accertamenti, collegamenti, risultanze, necessariamente anche atipici come atipica è la capacità, da parte delle mafie, di perseguire i propri fini>>.
[3] Cfr. Cass. sez. II pen. n. 30974/2018.
[4] Vedi anche Cons. St. sez. III n. 2343/2018. Anche la Corte costituzionale ha avuto recentemente modo di affermare che: <<La forza intimidatoria del vincolo associativo e la mole ingente di capitali provenienti da attività illecite sono destinate a tradursi in atti e comportamenti che inquinano e falsano il libero e naturale sviluppo dell’attività economica nei settori infiltrati, con grave vulnus, non solo per la concorrenza, ma per la stessa libertà e dignità umana. Le modalità, poi, di tale azione criminale manifestano una grande “adattabilità alle circostanze”: variano, cioè, in relazione alle situazioni e alle problematiche locali, nonché alle modalità di penetrazione, e mutano in funzione delle stesse>> cfr. Corte cost. nn. 24/2019, 195/2019 e 57/2020.
[5] Vedi Ad. Pl. n. 5/2018
ANCI – 29 maggio 2025
Garante per la protezione dei dati personali – 3 aprile 2025
Presentata dalla dott.ssa Grazia Benini e da Gioele Dilevrano
IFEL – 11 marzo 2024
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