Per rispondere al quesito occorre distinguere tra fabbricato e terreni, data la diversità delle rispettive disposizioni IMU.
Per quanto riguarda il fabbricato accatastato in categoria D/10 (fabbricato rurale strumentale), si ricorda che la classificazione catastale è vincolante sia per il contribuente, sia per l'ente impositore. La giurisprudenza della Corte di Cassazione, a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite n. 18565/2009, ha ripetutamente affermato che «ai fini dell'applicabilità dell'esenzione per i fabbricati rurali … è rilevante l'oggettiva classificazione catastale, senza che assuma rilevanza la strumentalità dell'immobile all'attività agricola ...» (così, tra le tante, Ordinanza n. 26735/2018). Ciò significa che il Comune non potrebbe, anche in caso di perdita dei requisiti di ruralità, pretendere l'imposta e procedere al recupero emettendo avviso di accertamento. O meglio, potrebbe farlo attivando la procedura di segnalazione all'Agenzia delle Entrate di cui all'articolo 1, comma 336, della Legge n. 311/2004, finalizzata a rivedere la situazione catastale del fabbricato, dopo aver atteso il relativo esito ed in base alle nuove risultanze catastali.
L'Ente competente all'accatastamento ed alla verifica dei requisiti di ruralità non è infatti il Comune, ma l'Agenzia delle Entrate (ex Agenzia del Territorio), al quale competono anche i relativi controlli ai sensi della normativa vigente (fatta salva la facoltà del Comune, come detto, di procedere alle opportune segnalazioni qualora riscontrasse l'incoerenza dell'attuale classificazione catastale).
Per quanto riguarda i requisiti di ruralità, si rimanda all'art. 9, comma 3-bis, del D.L. n. 557/1993, a norma del quale deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell'attività agricola e “destinate”, per quanto ci interessa, all'allevamento ed al ricovero degli animali ed alla custodia degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l'allevamento. Si evidenzia che il suddetto comma 3-bis – a differenza del precedente comma 3 avente ad oggetto i fabbricati a destinazione abitativa – non prevede requisiti di natura soggettiva in capo al proprietario (come, per esempio, il possesso della qualifica di imprenditore agricolo). Si veda, a proposito, la risposta n. 369/2019 dell'Agenzia delle Entrate, resa a seguito d'istanza d'interpello, dove si legge che «A differenza di quanto previsto per gli immobili destinati ad abitazione, il comma appena citato non prevede esplicitamente alcun requisito soggettivo e si limita ad elencare, come requisito oggettivo, le destinazioni degli immobili che possono essere riconosciuti rurali, dopo aver richiamato il concetto di strumentalità all’esercizio dell’attività agricola di cui all’art. 2135 del codice civile. ... Pertanto, in relazione agli immobili strumentali all’esercizio dell’attività agricola, si deve accertare che esista l’azienda agricola, ossia deve essere riscontrata la presenza di terreni e costruzioni che congiuntamente siano, di fatto, correlati alla produzione agricola. ...». Quindi, il fatto che il possessore abbia la qualifica di coltivatore diretto o di coadiuvante e/o di pensionato non assume rilevanza ai fini della ruralità del fabbricato strumentale, che rimane ancorata a requisiti oggettivi. In altri termini, l'immobile può restare iscritto in categoria D/10 se continua a permanere l'effettiva destinazione alle attività agricole, anche per mezzo di un conduttore diverso dall'intestatario. A proposito, il D.M. 26 luglio 2012, avente ad oggetto “Individuazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito della ruralità”, ammette che il possessore del fabbricato possa essere diverso dal conduttore dell'azienda agricola. È comunque consigliabile rivolgersi al competente Ufficio Provinciale del Territorio per accertarsi che la prassi seguita a livello locale sia in linea con quanto sopra esposto.
In conclusione, finché il fabbricato rimarrà accatastato in categoria D/10 il possessore sarà tenuto a versare l'IMU con l'aliquota prevista per i fabbricati rurali ad uso strumentale (0,1% di base, che il Comune può ridurre fino all'azzeramento ai sensi dell'art. 1, comma 750, della Legge n. 160/2019). La prima rata dell'anno 2020 sarà comunque pari alla metà di quanto versato a titolo di IMU e TASI per l'anno 2019, ai sensi del comma 762 della stessa Legge n. 160/2019. Se il Comune non applicava la TASI sui fabbricati rurali strumentali, l'acconto IMU sarà quindi pari a zero, dato che tali immobili erano esenti da IMU per l'anno 2019.
Per quanto riguarda invece i terreni, essi possono continuare a beneficiare dell'esenzione, indipendentemente dall'utilizzo e dalle caratteristiche del proprietario, se rientrano in una delle tipologie di cui all'art. 1, comma 758, lettere b), c) e d), della Legge n. 160/2019, cioè se sono:
- ubicati nei comuni delle isole minori di cui all'allegato A della Legge n. 448/2001;
- oppure ad immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile ed inusucapibile;
- oppure ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'art. 15 della Legge n. 984/1977, sulla base dei criteri individuati dalla Circolare del Ministero delle finanze n. 9 del 14 giugno 1993.
Se, per esempio, il Comune fosse classificato come “montano” dalla suddetta Circolare, i terreni rimarrebbero esenti a prescindere dall'eventuale locazione al nipote e da ogni altra considerazione.
Se, invece, il terreno non rientrasse in una delle suddette tipologie, allora la situazione si farebbe più complessa ed entrerebbero in gioco, ai fini dell'eventuale esenzione, caratteristiche oggettive e soggettive, nei termini che seguono.
L'art. 1, comma 758, lettera a), della suddetta Legge n. 160/2019, dal contenuto pressoché identico alla disciplina IMU previgente, prevede che siano esenti i terreni «posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti alla previdenza agricola, comprese le società agricole di cui all'articolo 1, comma 3, del citato decreto legislativo n. 99 del 2004, indipendentemente dalla loro ubicazione». Questa norma richiede, in via generale, che per beneficiare dell'esenzione vi sia la perfetta coincidenza tra possessore e conduttore e che tale soggetto abbia la qualifica di coltivatore diretto o IAP. Pertanto, se il proprietario concede in locazione o comodato il terreno a terzi, perde il beneficio IMU (a meno che il terzo non sia una società di persone di cui fa parte il proprietario stesso, quale socio-coltivatore), come precisato anche dalla Circolare MEF n. 3/DF/2012 (vedasi pag. 24).
Occorre poi ricordare che dal 1° gennaio 2019, ai sensi dell'art. 1, comma 705, della Legge n. 145/2018, «I familiari coadiuvanti del coltivatore diretto, appartenenti al medesimo nucleo familiare, che risultano iscritti nella gestione assistenziale e previdenziale agricola quali coltivatori diretti, beneficiano della disciplina fiscale propria dei titolari dell'impresa agricola al cui esercizio i predetti familiari partecipano attivamente». Quindi, se il possessore dei terreni perdesse la qualifica di coltivatore diretto per diventare coadiuvante, potrebbe continuare a beneficiare dell'esenzione IMU se sussistessero tutte le condizioni previste dalla norma appena citata (appartenenza al medesimo nucleo familiare, iscrizione nella previdenza agricola e partecipazione attiva alla conduzione dei terreni). Tuttavia, dando per scontato che lo zio appartenga ad un nucleo familiare diverso da quello del nipote, il primo perderebbe il diritto all'esenzione e dovrebbe versare l'IMU: la norma appena citata non sarebbe applicabile e verrebbe a mancare il requisito del possesso da parte di un coltivatore diretto. Il coadiuvante non è infatti coltivatore diretto né IAP (vedasi Corte di Cassazione, Ordinanza n. 12423/2017, che ha negato i benefici ICI/IMU ai coadiuvanti agricoli, in riferimento a periodi d'imposta precedenti al 2019).
Infine e per completezza, si deve far presente che la questione relativa al riconoscimento dell'esenzione IMU per i terreni agricoli posseduti da pensionati coltivatori diretti è, al momento, controversa. La Corte di Cassazione ha sostenuto più volte l'incompatibilità delle agevolazioni per i terreni agricoli con lo status di pensionato (vedasi Sentenza n. 13745/2017), ritenendo che l'intento del legislatore fosse quello di agevolare solo i soggetti che ritraggono dall'attività agricola la loro esclusiva fonte di reddito. Tuttavia, le pronunce della Cassazione non si riferivano all'IMU, ma alla vecchia ICI, caratterizzata da un contesto normativo in parte differente e più restrittivo: l'art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 504/1992 agevolava i terreni posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli “a titolo principale”, escludendo inoltre quelli posseduti dalle società (stante il mancato richiamo al D.Lgs. n. 99/2004). Inoltre, nella disciplina IMU non è stato più riprodotto il contenuto dell'art. 58, comma 2, del D.Lgs. n. 446/1997, che considerava coltivatori diretti ai fini ICI «le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi comunali previsti dall’articolo 11 della legge 9 gennaio 1963, n. 9, e soggette al corrispondente obbligo dell’assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia»; tale norma portava ad escludere dalle agevolazioni per i terreni agricoli chi fosse cancellato dai suddetti elenchi a seguito del conseguimento della pensione.
Il MEF, rilevando tali differenze tra ICI ed IMU e ricordando che è possibile essere iscritti nella previdenza agricola anche se si è già pensionati e si continua a svolgere effettivamente l’attività agricola, ha ritenuto applicabili le agevolazioni IMU anche ai pensionati coltivatori diretti o IAP (così la Risoluzione n. 1/DF/2018). Anche alcune Commissioni Tributarie sono allineate alla posizione del Ministero (ad esempio C.T.P. Brescia, Sentenza n. 17/2019 e C.T.P. di Mantova, n. 179/2018). Esistono tuttavia pronunce di segno opposto (ad esempio C.T.P. Modena, n. 18/2020, che ha negato l'esenzione IMU al pensionato coltivatore, richiamando l'orientamento della Cassazione in ambito ICI). Pertanto, in attesa che la Suprema Corte si pronunci anche in riferimento all'IMU, spetterà al funzionario responsabile adottare l'una o l'altra interpretazione. Se fosse adottata quella più estensiva, il pensionato potrebbe continuare a godere dell'esenzione se mantenesse la propria azienda agricola e continuasse a versare i contributi previdenziali come coltivatore diretto; ma se il terreno ricadesse in un Comune “montano” esso sarebbe, come già detto, in ogni caso esente.
25 maggio 2020 Andrea Cassino