Approfondimento di Pietro Alessio Palumbo

Criticità della disciplina sulla inconferibilità e incompatibilità degli incarichi - Parte 1

Servizi Comunali Incompatibilità Inconferibilità
di Palumbo Pietro Alessio
17 Giugno 2020

Approfondimento di Pietro Alessio Palumbo                                                          

Criticità della disciplina sulla inconferibilità e incompatibilità degli incarichi

Pietro Alessio Palumbo

 

Il pantouflage

Il termine pantouflage deriva da “pantoufle” (“pantofola”), vocabolo inserito per la prima volta nel gergo dell’École Polytechnique (Accademia militare francese di alta formazione e ricerca) nel 1880, con il quale si indicava la somma di denaro che un iscritto doveva restituire all’istituzione pubblica nel caso avesse rinunciato al servizio di Stato, per essere assunto da una ditta privata, prima di aver completato dieci anni di servizio.

La sanzione in danaro aveva la funzione di ripagare le spese di formazione, ma soprattutto di dissuadere intenti di acquisire grandi capacità e competenze da utilizzare per poi “scivolare” nel mercato del lavoro privato: da “la botte” (stivale militare) a “la pantoufle” (scarpetta civile).

La Legge n. 190/2012 ha contemplato l’ipotesi relativa alla cd. “incompatibilità successiva” (pantouflage), introducendo all’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001, il comma 16-ter, ove è disposto il divieto per i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle Pubbliche Amministrazioni, di svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività dell’Amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri.

La normativa sul divieto di pantouflage prevede specifiche conseguenze sanzionatorie, quali la nullità del contratto concluso e dell’incarico conferito in violazione del predetto divieto.

Inoltre, ai soggetti privati che hanno conferito l’incarico è preclusa la possibilità di contrattare con le Pubbliche Amministrazioni nei tre anni successivi, con contestuale obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti ed accertati ad essi riferiti.

Scopo della norma è quello di scoraggiare comportamenti impropri del dipendente, finalizzati a sfruttare la propria posizione all’interno dell’Amministrazione per precostituirsi situazioni lavorative vantaggiose presso il soggetto privato con cui è entrato in contatto in relazione al rapporto di lavoro.

Il divieto è anche volto a ridurre il rischio che soggetti privati possano esercitare pressioni o condizionamenti nello svolgimento dei compiti istituzionali, prospettando al dipendente di un’Amministrazione, opportunità di assunzione o incarichi, una volta cessato dal servizio.

 

Ratio e vuoti della disciplina

A ben vedere con la disposizione in esame il legislatore ha integrato la disciplina della prevenzione della corruzione nell’ambito della complessa e articolata materia degli incarichi pubblici, mediante l’introduzione di misure in materia di post-employment (appunto, il pantouflage o “incompatibilità successiva”), preordinate a ridurre i rischi connessi all’uscita del dipendente dalla sfera pubblica e al suo passaggio, per qualsivoglia ragione, al settore privato.

Con riferimento alla disposizione in esame l’Autorità, nell’ambito della propria attività consultiva e di vigilanza, ha potuto riscontrare una serie di difficoltà applicative solo parzialmente risolte dalla recente sentenza del Consiglio di Stato n. 7411/2019, con la quale il supremo consesso amministrativo ha riconosciuto il potere di ANAC di vigilanza e di applicazione delle conseguenze previste dall’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001, nell’ambito del più generale potere di vigilanza in materia di inconferibilità e incompatibilità alla stessa attribuito dall’art. 16 del D.Lgs. 39/2013.

Nella Delib.448/2020 ANAC mette in luce le criticità più evidenti riscontrate per le quali il mero criterio interpretativo da essa posto in essere si rivela insufficiente: ormai resta poco da fare, necessitano interventi normativi.

In buona sostanza il legislatore ha concentrato in pochissime righe la regolamentazione di un istituto piuttosto complesso, la cui applicazione è stata messa in atto dall’Autorità pur tra notevoli difficoltà tanto in sede consultiva quanto in sede vigilanza, oltre che di predisposizione del PNA.

In primis per ANAC sarebbe opportuno accorpare la disciplina del pantouflage in un unico testo normativo che contenga tutta la regolamentazione della materia, tenendo conto della ratio comune che è possibile riconoscere alla disciplina di pre-employment, in-employment e post-employment.

 

L’Amministrazione di provenienza

Con riguardo alla nozione di amministrazione di provenienza l’ANAC rileva un disancoramento tra l’art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165/2001, che annovera tra le pubbliche amministrazioni solo gli enti pubblici non economici, e l’art. 1, co. 2, lett. b), del D.lgs. 39/2013, applicabile in forza della previsione contenuta nel successivo art. 21, che invece fa riferimento agli enti pubblici in generale, senza alcuna distinzione fra ente economico e non economico.

In merito l’ANAC ritiene irrilevante ai fini dell’applicabilità della disciplina in materia, la distinzione tra enti pubblici economici e non economici, in quanto sono espressamente ricompresi nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 39/2013 sia gli enti pubblici economici che quelli classificati come non economici.

Questa ricostruzione ermeneutica è sposata anche dal Consiglio di Stato che con la sentenza n.126/2018 ha rimarcato che l’assunto interpretativo rivolto a escludere dall’ambito di applicazione della normativa del D.Lgs. 39/2013 gli enti pubblici economici, è irragionevole e contro il principio di uguaglianza: sarebbero trattate in maniera diversa situazioni simili senza una valida giustificazione, considerato che il rischio di vicende corruttive collegate al conferimento degli incarichi di vertice si pone in maniera simile per entrambe le tipologie di enti.

Nessun dubbio per il Consiglio di Palazzo Spada: tra due interpretazioni, di cui l’una in contrasto con le norme costituzionali, l’interprete è tenuto a preferire quella che appaia conforme al dettato costituzionale.

Ebbene pur potendosi ritenere risolta la questione sul piano interpretativo è per ANAC opportuno, nell’ottica di una revisione organica della disciplina sul pantouflage, un intervento normativo volto a indicare esplicitamente l’applicabilità della stessa a tutti gli enti pubblici.

Allo stesso modo, sempre per chiarezza del dato normativo, il divieto per gli enti in provenienza dovrebbe estendersi anche agli enti di diritto privato in controllo pubblico – non contemplati nel comma 16-ter, trattandosi di norma inserita nel testo unico sul pubblico impiego –in coerenza con l’art. 21 del D.Lgs. 39/2013.

Segnatamente i problemi maggiori per cui è necessario un chiarimento normativo sono: l’individuazione della definizione di ente di diritto privato in controllo pubblico alla quale fare riferimento per l’applicazione della disciplina del pantouflage in considerazione delle differenti nozioni di ente di diritto privato in controllo pubblico contenute nel D.Lgs. 175/2016 e nel D.Lgs. 39/2013; estendere l’applicazione della disciplina del pantouflage anche agli enti di diritto privato regolati e finanziati che svolgano attività di pubblico interesse.

Anche in tal caso è necessario per ANAC chiarire a quale definizione fare riferimento per l’individuazione di tale tipologia di enti.

 

La nozione di soggetto privato

Circa i privati destinatari dei poteri negoziali e autoritativi della pubblica amministrazione, l’ANAC ha ribadito l’opportunità di una lettura ampia della nozione di soggetto privato, che va a considerare tali non soltanto, società, imprese e studi professionali, ma anche soggetti che, pur formalmente privati, sono partecipati o controllati da una pubblica amministrazione, atteso che la loro esclusione comporterebbe una irrazionale limitazione dell’ambito di applicazione della norma e una situazione di disparità di trattamento tra situazioni analoghe.

Inoltre relativamente agli enti destinatari sorge il dubbio di come trattare il caso dell’esercizio di un potere negoziale verso un soggetto pubblico che opera come privato ai sensi di legge.

In tali casi, se è vero che il soggetto affidatario è un soggetto pubblico, è altrettanto vero che, nella fattispecie, agisce in qualità di operatore economico affidatario di una commessa pubblica, al pari dunque di una qualunque altra impresa o società operante sul mercato ai sensi del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

La norma lascia dunque aperti dubbi interpretativi su cui occorre un intervento del legislatore per precisare le tipologie di enti in destinazione cui applicare il divieto.

 

Tipologie di dipendenti

Per altro verso ANAC evidenzia la necessità di precisare e rendere più organica la disciplina delle tipologie di dipendenti sottoposte al divieto in esame.

Secondo l’orientamento dell’Autorità, i dipendenti che esercitano poteri autoritativi e negoziali sono tutti i soggetti che esercitano in concreto tali poteri tramite l’adozione di provvedimenti amministrativi e il perfezionamento di negozi giuridici mediante la stipula di contratti in rappresentanza giuridica ed economica dell’ente.

Segnatamente l’ANAC ha ritenuto di ricomprendere in tale ambito anche altre tipologie di soggetti quali le figure dei dirigenti e dei funzionari che svolgono incarichi dirigenziali.

Tra le situazioni lavorative cui si applica il divieto, l’ANAC ritiene di dover ricomprendere anche le situazioni che possano configurare anche in capo al dipendente il potere di incidere in maniera determinante sulla decisione oggetto del provvedimento finale, come la collaborazione all’istruttoria e l’elaborazione di atti endoprocedimentali obbligatori che vincolano il contenuto della decisione.

In questa prospettiva il divieto di pantouflage si applica non solo al soggetto che ha firmato l’atto, o che sia ad esso sovraordinato, ma anche a coloro che hanno partecipato al procedimento istruttorio.

Ebbene evidenza ANAC è auspicabile che il suo orientamento interpretativo trovi esplicita disciplina al fine di consentire una maggiore chiarezza applicativa.

 

Gli enti privati in controllo pubblico

Qualora si ritenga di estendere l’ambito di applicazione della disciplina del pantouflage anche agli enti di diritto privato in controllo pubblico o regolati e finanziati, è necessario per ANAC svolgere ulteriori considerazioni.

In base al dato letterale dell’art. 21 del D.Lgs. 39/2013, che fa riferimento unicamente ai titolari di uno degli incarichi considerati dal D.Lgs. 39/2013, sono sottoposti al divieto di pantouflage gli amministratori e i direttori generali, in quanto muniti di poteri gestionali, mentre sembrano esclusi i dipendenti, invece ricompresi nel comma 16-ter.

Per altro verso, anche l’art. 4 del D.Lgs. 39/2013, che rappresenta una norma simmetrica rispetto a quella del comma 16-ter, in quanto disciplina gli incarichi che il settore pubblico affida a soggetti provenienti da enti privati dallo stesso regolati o finanziati, prevede l’inconferibilità, per 2 anni, per i soli incarichi amministrativi di vertice, di amministrazione e gli incarichi dirigenziali esterni dell’amministrazione che esercita i poteri di regolazione.

Considerazioni analoghe valgono per i dirigenti ordinari.

Al riguardo, nelle linee guida di cui alla determinazione ANAC dell’8 novembre 2017, n. 1134 relative alle società in controllo e agli obblighi previsti all’art. 14 del Decreto Lgs. del 14 marzo 2013, n. 33, è stata operata una distinzione fra i direttori generali, dotati di poteri decisionali e di gestione, e la dirigenza ordinaria che, salvo casi particolari, non risulta destinataria di autonomi poteri di amministrazione e gestione.

In coerenza con tale previsione, i dirigenti degli enti regolati o finanziati sono oggi esclusi dall’applicazione del comma 16-ter, salvo in caso in cui lo statuto o specifiche deleghe attribuiscano loro determinati poteri autoritativi o negoziali.

Tuttavia l’ANAC ritiene opportuno estendere l’applicabilità del pantouflage negli enti di diritto privato in controllo pubblico e regolati o finanziati anche alle figure dirigenziali ordinarie e non dirigenziali che abbiano comunque partecipato all’adozione dei provvedimenti autorizzativi o negoziali in materia decisiva o vincolante.

Ciò anche alla luce di un approccio sostanziale e non formale, sposato anche dall’Autorità anticorruzione, secondo cui sono sottoposti al divieto non solo i soggetti apicali e i dirigenti, ma anche i funzionari che, partecipando in qualsivoglia forma all’istruttoria, hanno il potere di incidere in maniera determinante sulla decisione oggetto del provvedimento finale.

Dal che ANAC auspica un intervento normativo finalizzato a una complessiva armonizzazione dei criteri di passaggio dall’ente pubblico a quello privato e viceversa, allineando quanto previsto dal comma 16-ter per l’uscita dal pubblico e l’ingresso nel privato a quanto stabilito dall’art. 4 per il percorso inverso, anche rispetto al periodo di raffreddamento, fissato in 3 anni per il primo caso e in 2 anni per il secondo.

 

Gli incarichi di natura politica

Circa gli incarichi politici l’Autorità anticorruzione ha segnalato che una visione completa del regime delle inconferibilità e delle incompatibilità avrebbe richiesto la previsione di una disciplina per le cariche politiche non solo per la “provenienza” ma anche per la “destinazione”.

A tale riguardo l’ANAC propone di circoscrivere l’intervento normativo alle cariche politiche conferite per nomina, quindi non elettive, al fine di evitare di entrare nella tematica dei regimi di incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità, oggetto di distinte discipline, molto complesse da rivedere.

Occorre inoltre ampliare gli incarichi vietati in destinazione.

Nell’esperienza dell’Autorità anticorruzione si sono presentate situazioni che non facevano espresso riferimento ad attività professionali o lavorative subordinate, bensì incarichi di destinazione in organi di indirizzo politico amministrativo ovvero in comitati direttivi o scientifici, quale prezzo della cattura.

Deriva che limitare le ipotesi ad attività lavorative subordinate o professionali rischia di tenere fuori dall’applicazione della normativa ipotesi più rilevanti.

16 giugno 2020

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