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Gestione dei fondi pubblici: via libera alle istanze di Accesso Civico
Servizi Comunali AccessoApprofondimento di Pietro Alessio Palumbo
Gestione dei fondi pubblici: via libera alle istanze di Accesso Civico
Pietro Alessio Palumbo
Il Comune ha l’obbligo di dar corso all’istanza di accesso civico sulle modalità di gestione dei fondi pubblici poiché i relativi dati e documenti attengono a “scelte” amministrative, all’esercizio di funzioni istituzionali, all’organizzazione e alla spesa pubblica, sicché ben possono essere considerati di interesse pubblico e, quindi, conoscibili, salvo prevalenti interessi pubblici o privati.
A ben vedere, ha chiarito di recente il TAR Lazio con la sentenza n.583 del 25 maggio scorso, l’accesso generalizzato deve essere considerato quale estrinsecazione di una libertà e di un bisogno di “cittadinanza attiva”, i cui limiti sono fissati unicamente dalla legge e sono di stretta interpretazione.
Dal “bisogno” di conoscere al “diritto” di conoscere
Il “Freedom Of Information Act” (c.d. FOIA) italiano si fonda sul riconoscimento del c.d. “diritto di conoscere” alla stregua di un diritto fondamentale, al pari di molti altri ordinamenti europei ed extraeuropei secondo cui le disposizioni dettate per l’accesso civico, costituiscono livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche ai fini di trasparenza, prevenzione, contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, a norma dell’art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione.
A ben vedere come chiarito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 20/2019, l’accesso civico generalizzato è espressione della pubblica trasparenza che va declinata come “accessibilità totale” del cittadino alle scelte degli amministratori.
Nell’ottica del legislatore il diritto alla trasparenza è un diritto fondamentale in sé, che inoltre contribuisce, al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.
In altre parole il diritto di accesso civico è precondizione per l’esercizio di ogni altro diritto fondamentale nel nostro ordinamento perché solo conoscere consente di determinarsi, in una visione nuova del rapporto tra potere e cittadino che, improntata ad un aperto e, perciò stesso, dialettico confronto tra l’interesse pubblico e quello privato, fuoriesce dalla logica binaria e conflittuale tra autorità e libertà.
Trasparenza per arginare corruzione e ravvicinare cittadini e istituzioni
La trasparenza si pone non solo come forma di prevenzione dei fenomeni corruttivi, ma anche come strumento ordinario e primario di riavvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione, destinata sempre più ad assumere i contorni di una “casa di vetro”, nell’ambito di una visione più ampia dei diritti fondamentali sanciti dall’art. 2 della Costituzione, che non può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri.
Come suggestivamente chiarito dalla recente Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 2 aprile scorso “la luce della trasparenza feconda il seme della conoscenza tra i cittadini” e concorre, da un lato, al buon funzionamento della pubblica amministrazione, dall’altro al soddisfacimento dei diritti fondamentali della persona.
Se è vero che organizzazione amministrativa e diritti fondamentali sono strettamente interrelati, non c’è organizzazione che, direttamente o indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l’organizzazione.
La normativa eurounitaria dispone che ogni persona ha diritto alla libertà di espressione e tale diritto include la libertà di ricevere informazioni senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche.
L’esercizio di queste libertà può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la tutela di una serie di interessi, pubblici e privati.
La Corte di Strasburgo ha chiarito che la disponibilità del patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni è indispensabile per assicurare un esercizio effettivo del diritto individuale di esprimersi e per alimentare il dibattito pubblico su materie di interesse generale.
Le eccezioni legittime
Il diritto d’accesso civico generalizzato è dunque la “terza generazione” del diritto all’accesso, dopo quello documentale di cui alla L. 241/1990 e quello civico c.d. semplice di cui all’originaria formulazione del D. Lgs. 33/2013.
Occorre quindi interrogarsi sulle eccezioni a tale esercizio di democrazia.
Ebbene nella disciplina delle eccezioni relative ed assolute il nostro ordinamento ha seguito una soluzione simile a quella adottata dall’ordinamento anglosassone, che distingue tra “absolute exemptions” e “qualified exemptions”.
Segnatamente nel nostro ordinamento sono dettate tre ipotesi di eccezioni assolute: i documenti coperti da segreto di Stato; gli altri casi di divieti previsti dalla legge, compresi quelli in cui l’accesso è subordinato al rispetto di specifiche condizioni, modalità e limiti; le ipotesi contemplate dall’art. 24 della L. 241/1990.
Le eccezioni assolute sono sancite nel nostro ordinamento per garantire un livello di protezione massima a determinati interessi, ritenuti di particolare rilevanza per l’ordinamento giuridico, come è in modo emblematico per il segreto di Stato: il legislatore ha operato a monte una valutazione e li ha ritenuti superiori rispetto alla conoscibilità diffusa di dati e documenti amministrativi. Dal che in questo caso la pubblica amministrazione esercita un potere vincolato, che deve essere necessariamente preceduto da un’attenta e motivata valutazione in ordine alla ricorrenza, rispetto alla singola istanza, di una eccezione e circa la sussunzione del caso nell’ambito (di stretta interpretazione) di una specifica eccezione assoluta.
Si badi, come chiarito dal citato massimo consesso della giustizia amministrativa la vigente disciplina delle eccezioni non può essere letta nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedano casi di accesso limitato e condizionato. Se fosse così, il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella determinata materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe l’accesso civico generalizzato, con ciò gravemente limitandolo nella logica legislativa e nella pratica applicativa.
A ben vedere invece il rapporto tra le discipline dell’accesso documentale, dell’accesso civico generalizzato, di quelle settoriali non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, bensì secondo un canone ermeneutico di completamento.
La logica di fondo sottesa alla relazione tra le discipline non è quella della separazione, bensì quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta per materia delle singole discipline.
In altri termini necessita indagare caso per caso e non per interi ambiti di materia, se il filtro posto dal legislatore a determinati casi di accesso sia incompatibile con l’accesso civico generalizzato quale esercizio di libertà democratica dei cittadini.
Persino le eccezioni assolute insomma, non sono preclusioni assolute perché la Pa che deve valutare l’effettiva volontà del legislatore di fissare in determinati casi, limiti effettivi all’accesso civico generalizzato.
NO ai “buchi neri” della trasparenza
Dal che la lettura costituzionalmente orientata alla luce anche delle decisioni delle corti europee, impone al funzionario di evitare letture della disciplina del FOIA che possano tradursi in “buchi neri” della trasparenza con un ritorno all’opacità dell’azione amministrativa per effetto di una interpretazione che trasformi l’eccezione in regola e conduca fatalmente alla creazione di “segreti di fatto” accanto ai “segreti di diritto”, espressamente contemplati dalla legge.
….per cui piena accessibilità sulla gestione dei fondi pubblici
Nella vicenda affrontata dal TAR capitolino nella recente sentenza 583 del 25 maggio 2020 un amministratore di condominio aveva presentato al Comune una istanza di accesso agli atti sia ex art. 22 l. 241/90 che di accesso civico ex art. 5 D.Lgs n. 33/2013 al fine di conoscere la disponibilità dei fondi ex L. 219/81 sul relativo capitolo di spesa.
L’amministratore aveva in particolare chiesto di conoscere: i pagamenti compiuti sui detti fondi negli ultimi cinque anni; l'elenco degli aventi diritto con priorità e le somme loro erogate; gli atti relativi all'utilizzo ed al riparto di detti fondi; il relativo contenzioso; le comunicazioni relative al rifinanziamento di detti fondi, regionali e statali; la motivazione del mancato saldo del contributo di ricostruzione in favore del comparto condominiale.
A tal fine l’amministratore aveva motivato l’istanza invocando il diritto costituzionale di conoscere “le scelte del Comune” in ordine alla gestione dei fondi in parola, ai fini del controllo sulla gestione delle risorse e del dibattito pubblico e democratico sul loro impiego, nonché ai fini di ogni eventuale azione anche a tutela di diritti individuali e collettivi lesi.
Tuttavia, anche a seguito di richiesta di riesame, l’istanza del cittadino coinvolto era rimasta senza esito nonostante una “motivazione rafforzata” dalla dimostrazione di rientrare tra gli aventi diritto ai contributi a finanziarsi con i citati fondi pubblici.
Ebbene il TAR ha chiarito che l’accesso civico generalizzato è stato codificato dal legislatore quale diritto di “chiunque” non sottoposto ad alcun limite quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente e senza alcun onere di motivazione circa l’interesse alla conoscenza.
Un diritto - si badi - riconosciuto e tutelato allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.
A ben vedere dunque, ancorché non manchino letture tese ad escludere qualsivoglia funzionalizzazione dell’accesso in parola al raggiungimento delle finalità indicate, alla luce del quadro normativo in materia, “unico” presupposto di ammissibilità dell’istanza di accesso civico generalizzato è la sua strumentalità alla tutela dell’interesse generale.
Di talché una istanza ostensiva, va disattesa solo laddove l’interesse generale della collettività non emerga in modo chiaro ed evidente, oltre che, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia stata proposta per finalità manifestamente private ovvero individuali.
Il precipitato razionale è che nel caso di richiesta di informazioni sulle scelte operate dall’Amministrazione in ordine alle modalità di gestione dei fondi pubblici non vi sono dubbi sulla coerenza e congruenza tra la richiesta e le finalità cui è preordinato lo strumento dell’accesso civico generalizzato; e segnatamente la sua strumentalità rispetto allo scopo di favorire forme di riscontro del cittadino sul corretto utilizzo delle risorse pubbliche.
5 luglio 2020
Garante per la protezione dei dati personali – 3 aprile 2025
Presentata dalla dott.ssa Grazia Benini e da Gioele Dilevrano
IFEL – 11 marzo 2024
IFEL – 5 febbraio 2024
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