Approfondimento sulle modifiche al Codice dei Contratti previste dal “Dl Infrastrutture”
ANCI – 29 maggio 2025
La Cassazione spiega la differenza tra distacco e comando
Servizi Comunali ComandoApprofondimento di Vincenzo Giannotti
La Cassazione spiega la differenza tra distacco e comando.
Vincenzo Giannotti
La questione, affrontata dal giudice di legittimità, ha riguardato le doglianze di un dipendente oggetto di distacco presso una struttura decentrata del Ministero che è insorto contro l’amministrazione per mancato trasferimento definitivo, in ragione della priorità riservata dalla legge ai dipendenti che prestano servizio in condizione di comando, censurando il comportamento dell’Ente di coprire i posti vacanti con personale proveniente da enti locali che, tra l'altro, non era in possesso della professionalità necessaria per l'espletamento delle delicate funzioni di responsabile della cancelleria contenzioso e del lavoro. La Cassazione (Ordinanza n.12498/2020 – nel file allegato) rigettando la priorità chiesta dal dipendente rispetto alla copertura avvenuta con personale di enti locali, ha colto l’occasione per indicare la differenza tra distacco (di natura privata e non regolata dalla legge) e comando.
La vicenda
Un dipendente del Ministero della Giustizia che aveva ottenuto il distaccato presso la sede di un Tribunale, ha chiesto ai giudici del lavoro il suo diritto ad essere trasferito in via definitiva, chiedendo la nullità del provvedimento di diniego frapposto dall’amministrazione di appartenenza. Infatti, a dire del dipendente, prima del distacco, il Ministero aveva respinto la richiesta iniziale di trasferimento definitivo del dipendente, precisando che i provvedimenti di trasferimento avrebbero potuto essere adottati solo a seguito di procedura che prevedeva la pubblicazione dei posti vacanti con relativo interpello. Sempre il dipendente, nei motivi di doglianza, ha evidenziato che con il distacco fosse stata mutata in via definitiva la sede di servizio e che, in ogni caso, distacco presso un ufficio diverso della medesima amministrazione non è disciplinato né dalla legge né dalla contrattazione collettiva ed è frutto di una prassi formatasi nel tempo, che si pone irrimediabilmente in contrasto con le disposizioni che regolano il trasferimento dei dipendenti pubblici. A supporto del trasferimento definitivo, oltre alle doglianze evidenziate, è stato precisato che l’Amministrazione avrebbe dovuto, in ogni caso, procedere all’applicazione in via analogica delle disposizioni di cui al comma 2-bis dell’art.30 del d.lgs. 165/01 secondo le quali, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, di immettere in ruolo i dipendenti di altra amministrazione in posizione di comando. In merito all’istituto del comando rispetto a quello del distacco, il dipendente si duole della sua mancata applicazione estensiva perché altrimenti i dipendenti distaccati presso altra sede della medesima amministrazione verrebbero ingiustamente discriminati rispetto a quelli comandati da altro ente. Nel caso di specie, pertanto, il giudice avrebbe dovuto evidenziare l’illegittimità della successiva copertura dei posti vacanti con personale proveniente da enti locali a danno del ricorrente.
Il Tribunale di primo grado e, successivamente la Corte di appello hanno respinto il ricorso e, il dipendente ha presentato ricorso in Cassazione evidenziando ribadendo i motivi sopra indicati.
La decisione della Cassazione
Nel giudicare essenzialmente inammissibile e infondato il ricorso prestato dal dipendente, i giudici di Piazza Cavour forniscono alcune importanti precisazioni sulla differenza tra distacco, trasferimento d’ufficio e comando di un dipendente pubblico.
In via principale, le critiche del dipendente sull’esclusione del trasferimento di ufficio disposto in via unilaterale dall’Ente rispetto al distacco, risulta contraddetto dal medesimo ricorrente dal momento in cui ha rilevato che l'atto adottato, di durata temporanea, rispondeva agli interessi di entrambe le parti perché, da un lato, soddisfaceva le esigenze di servizio dell'ufficio di momentanea destinazione, dall'altro veniva incontro alle ragioni personali rappresentate dal ricorrente. Mentre è palesemente infondato l'argomento secondo cui il distacco, in quanto istituto affermatosi nella prassi ma non disciplinato dalla legge e dalla contrattazione collettiva, dovrebbe essere ricondotto ad un trasferimento d'ufficio. Precisa la Cassazione sul punto come, non si ravvisano disposizioni che impediscano al datore di lavoro pubblico, il quale esercita nella gestione del rapporto i medesimi poteri di quello privato, di disporre, in via momentanea e con il consenso del dipendente, l'assegnazione ad una sede diversa da quella di servizio. Inoltre, se ciò non fosse vero, allora dall'asserita violazione di disposizioni inderogabili di legge o di contratto deriverebbe, semmai, la nullità del provvedimento, con la conseguente inidoneità dello stesso a produrre effetti giuridici, non già la conversione in un atto non rispondente alla volontà del datore e del quale non sussistevano i presupposti perché, come la stessa ricorrente finisce per riconoscere, il trasferimento doveva essere preceduto da una procedura mai attivata dal Ministero. E’ da considerarsi infondata anche la tesi del ricorrente dell’illegittima immissione in ruolo di due dipendenti degli enti locali in luogo del ricorrente sforzandosi di verificare una analogia rispetto all’istituto del comando. Per i giudici di legittimità, infatti, la priorità del comando è riservata a dipendenti di altre amministrazioni e va fatta valere nell'ambito della procedura di mobilità, che, per definizione, determina una modificazione soggettiva del rapporto di impiego, sicché la disposizione non può essere invocata dai dipendenti dell'amministrazione che indice la procedura e che si trovino momentaneamente in servizio presso un ufficio dello stesso datore di lavoro, ubicato in luogo diverso da quello di assegnazione.
Il comando, infatti, al quale si riferisce l'art. 30 del d.lgs. n. 165/2001 è l'istituto originariamente disciplinato dall'art. 56 del d.P.R. n. 3/1957 ed è ravvisabile allorquando il dipendente viene destinato a prestare servizio, in via ordinaria e abituale, presso un'amministrazione diversa da quella di appartenenza, circostanza, questa, che determina una dissociazione fra titolarità del rapporto d'ufficio, che resta immutata, ed esercizio dei poteri di gestione, in quanto « fermo restando il cd. rapporto organico (che continua ad intercorrere tra il dipendente e l'ente di appartenenza), si modifica il cd. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nell'amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera» ( Cass. 8.9.2005 n. 17842). Il distacco è, invece, un istituto invalso nella prassi, da non confondere con quello disciplinato dall'art. 30 del d.lgs. n. 276/2003, e comporta solo l'utilizzazione temporanea del dipendente pubblico presso un ufficio diverso da quello che costituisce la sua sede di servizio, distinguendosi dalla trasferta in quanto risponde ad esigenze di entrambe le parti del rapporto mentre quest'ultima è disposta unilateralmente dal datore di lavoro, nell'esclusivo suo interesse. E’ evidente, pertanto, che la disposizione invocata dal ricorrente non possa trovare applicazione, neppure in via analogica, perché il ricorso all'analogia è consentito dall'art. 12 delle preleggi solo quando manchi nell'ordinamento una specifica disposizione regolante la fattispecie concreta e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti incolmabile in sede giudiziaria (Cass. n. 2015/2656), trovandosi nella fattispecie concreta il potere del datore di lavoro pubblico di assegnazione del dipendente ad una determinata sede di lavoro anziché ad altra, potere che è già compiutamente disciplinato dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Il ricorso è stato, quindi, dichiarato inammissibile e, in ogni caso, infondato per le sopra indicate motivazioni.
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