Approfondimento sulle modifiche al Codice dei Contratti previste dal “Dl Infrastrutture”
ANCI – 29 maggio 2025
Smart working: ancora attacchi immotivati
Servizi Comunali Telelavoro - Lavoro agileApprofondimento di Luigi Oliveri
Smart working: ancora attacchi immotivati
Luigi Oliveri
L’articolo pubblicato su Il Sole 24 ore del 31.8.2020 “Uffici deserti: ko trasporti, mense e servizi” a firma di Michela Finizio è l’ennesimo attacco al lavoro agile, nella linea di difendere rendite di posizione di attività che vanno necessariamente modificate ed adeguate alle necessità messe a nudo dall’emergenza Covid-19.
L’articolo mette in evidenza alcuni dati sul trasporto: “secondo le stime dell' Anav, l' associazione delle aziende di trasporto pubblico locale aderente a Confindustria, la riduzione media di passeggeri trasportati nel periodo gennaio-agosto, rispetto allo stesso periodo del 2019, è stata pari a circa due miliardi di unità (il 60% circa). Per l' ultimo quadrimestre dell'anno, tenuto conto del riavvio delle attività didattiche e del distanziamento obbligatorio sui mezzi, si attende un ulteriore calo nell' ordine del 30% circa (pari a 510 milioni di spostamenti). Un impatto che, sui ricavi delle aziende del settore, si traduce in perdite da mancati biglietti per 1.300 milioni a fine agosto e che potrebbe arrivare a un miliardo e 700mila euro in tutto il 2020”.
Ma il dato più rilevante è questo: “Prima della pandemia il tempo dedicato mediamente dagli italiani agli spostamenti casa-lavoro risultava essere di un'ora e 30 minuti al giorno e la distanza media percorsa era di 49 km al giorno. Per un totale di 22,4 milioni di occupati che quotidianamente si muovevano con i mezzi pubblici per raggiungere il luogo di lavoro (dato Istat 2019)”.
Ora, oggettivamente non si capisce come la difesa a spada tratta di un sistema di imprese, per altro largamente inefficienti, quale quello delle imprese del trasporto pubblico locale, possa trascurare del tutto che il lavoro agile può e deve essere il rimedio ai disastri ambientali, organizzativi e sociali causati dall’eccessiva concentrazione del lavoro in poche zone direzionali delle città.
E’ oggettivamente inaccettabile ed un enorme problema per la vita delle città e la rete dei trasporti che lo spostamento per il lavoro duri, mediamente, un’ora e mezza (quindi, in media 45 minuti all’andata ed al ritorno) e si concentri tutto in una ristretta fascia oraria di punta.
E’ questa organizzazione del lavoro e dei tempi delle città che le rende, da troppi anni, invivibili e pregiudica anche la stessa produttività del lavoro.
Non si capisce quale sia il senso di “spremere” le persone per 45 minuti in media, solo per raggiungere la sede operativa.
L’intento di salvaguardare le rendite di posizione di chi gestisce mense aziendali o i baretti che erogano i pasti nella pausa pranzo pregiudica con ogni evidenza l’efficienza del lavoro e delle città.
L’articolo del quotidiano di Confindustria passa poi all’attacco, evidenziando le ripercussioni che il lavoro agile determina sulla ristorazione: “Lo smart working prolungato, inoltre, si potrebbe tradurre in 340 milioni di pasti in meno serviti dalle mense aziendali nel 2020: l' osservatorio Oricon ricorda che ci sono ancora 61mila lavoratori in esubero o in cassa integrazione (su 96mila) nella ristorazione collettiva, per lo più donne e con un' età media intorno ai 50 anni, quindi difficili da ricollocare. A giugno la ristorazione aziendale segnava un calo del 68% del fatturato. I ricavi dell’intero comparto, secondo le previsioni più ottimistiche, passeranno dai 4 miliardi del 2019 a poco più di 2,7 nel 2020 (-34%)”.
E ce n’è anche per servizi di manutenzione degli immobili e di pulizia: “Intorno al mondo degli uffici, infine, ruotano altri 300mila addetti che lavorano nei servizi immobiliari (facility management), un settore in piena crescita prima della pandemia. Scenari immobiliari ha stimato una flessione tra il 5 e il 10% del fatturato... le imprese di pulizie, infine, stimano un calo del 15% sul fatturato 2020”.
Appare un grave errore di prospettiva anche la volontà di salvaguardare i servizi di facility management, connessi per pregiudizio operativo solo agli enormi megacontenitori di uffici, quando si tratta di un servizio che può essere erogato in modo distribuito, tra molte sedi anche di piccole dimensioni.
Chi insiste nell’attaccare lo smart working non ha ancora compreso che nell’emergenza si è attivato qualcosa di diverso, una sorta di home working o, se si vuole, telelavoro senza i vincoli che gli sono propri.
Il lavoro agile non è lavoro da casa, ma lavoro che si può svolgere in molte sedi. Restando alla PA, se un’attività può essere realizzata in lavoro agile, nessuno vieta alla grande città A di consentire al dipendente del quartiere Z di non recarsi al quartiere B, ma di restare al lavoro in quel quartiere, rendendo la prestazione, senza vincoli specifici di orario, in una o più sedi (un internet cafè, una sede comunale di quartiere, una sala affittata da un albergo o da un privato).
I risparmi di tempo e di traffico per la città sono chiari ed evidenti a tutti. Ma, accanto a questi, sono altrettanto enumerabili i risparmi sui costi di gestione degli edifici (affitti, utenze, rete telematica, pulizie, riscaldamento): l’ente potrebbe rimborsare al dipendente l’affitto di una singola postazione di lavoro resa disponibile da un privato, oppure valorizzare sedi di quartiere, troppo spesso abbandonate o date in comodato ad associazioni che le utilizzano pochissimo e lasciando spazi vuoti.
Lo stesso potrebbe decidere il comune C: un suo dipendente residente nel comune D potrebbe restare a lavorare presso quel comune D, sulla base di una convenzione tra enti, posta a regolare costi e modi, con i quali il comune D metta a disposizione del comune C spazi per il dipendente in lavoro agile.
Vero è che questo modo di intendere la gestione del lavoro può incidere sulle aziende di ristorazione e gestione del facility management, come anche sui bar del centro. E le imprese di trasporto vedrebbero ridotto il numero delle persone che viaggiano.
Ma, a ben vedere, questi dovrebbero essere obiettivi precisi da raggiungere. Occorrerebbe organizzare le città ed i servizi di trasposto al fine di diversificare gli orari di ingresso nelle scuole, negli uffici pubblici, nei servizi privati, per diluire la quantità di persone che, altrimenti, affollerebbe i trasporti pubblici sì da renderli invivibili e afflitti da continui ritardi. Occorre quanto più possibile eliminare le “ore di punta” e le concentrazioni di persone in pochi quartieri direzionali e in mega palazzoni.
Il sistema dei trasporti dovrà ritararsi e riorganizzarsi: non è possibile che viva della rendita connessa alla pessima organizzazione dei tempi e degli spazi, per altro con efficienza di estensione delle linee estremamente precaria (raggiungere con mezzi pubblici di trasporto le zone industriali dei paesi e delle città è praticamente impossibile): occorreranno nuovi piani industriali ed una riconversione dei bilanci e del finanziamento pubblico (gli enti locali dovranno, prima o poi, selezionare meglio le spese).
Le aziende di ristorazione dovranno ripensare la loro attività, magari pensando ad un catering diffuso. I bar e tavole calde delle periferie potranno acquisire quella clientela “ostaggio” dei centri direzionali e della politica sbagliata delle città; servizi di manutenzione e facility management avranno meno grandissimi edifici da gestire e più piccole sedi decentrate.
Il risparmio di tempi di trasporto (si parla a vanvera da anni del “mobility manager”), delle spese di trasporto, delle spese per affitti, per utenze, per manutenzioni, è imposto, nella PA, da 15 anni circa, da una serie di leggi finanziarie, quelle che hanno eliminato il rimborso delle trasferte o le auto di servizio (spesso scambiate per le auto blu), senza però davvero intaccare i volumi di spesa connessi alla gestione degli immobili e dei loro costi.
Il lavoro agile è un’occasione determinante per razionalizzare il lavoro nella PA, ridurne i costi, rendere più efficienti le reti di trasporto, gli orari, la vita di ogni giorno nelle città.
Non si può pensare ad una PA destinata a “produrre Pil” solo con i buoni pasto dei dipendenti a favore dei bar del centro, o con appalti costosissimi di facility management connessi ai casermoni ove alloggiano gli uffici o muovendo come nella celeberrima ammuina milioni di persone.
Un diverso sistema organizzativo del lavoro pubblico (ed anche privato) indurrà a servizi innovativi ed ad una loro maggiore diffusione e distribuzione, oltre a favorire in modo formidabile la produzione di app, piattaforme informatiche, reti sicure, applicativi per gestioni via web, la piena alfabetizzazione informatica.
Se si vuol pensare a salvaguardare il Camogli bruciato o i conti, comunque drogati, dell’azienda di trasporto che ammassa in mezzi inefficienti ed in ritardo, i benefici del lavoro agile, che appaiono molto superiori ai problemi di riconversione che affronteranno molte aziende, la lezione dell’emergenza Covid-19 non sarà servita a nulla.
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