Approfondimento di Mario Petrulli

Il regime di pubblicità della delibera consiliare di adozione dello strumento urbanistico

Servizi Comunali Pianificazione urbanistica
di Petrulli Mario
11 Settembre 2020

Approfondimento di Mario Petrulli                                                                                              

IL REGIME DI PUBBLICITÀ DELLA DELIBERA CONSILIARE DI ADOZIONE DELLO STRUMENTO URBANISTICO

Mario Petrulli

 

Per il regime di pubblicità della delibera consiliare di adozione dello strumento urbanistico trova applicazione l’art. 9, comma 1, della Legge n. 1150/1942[1], a mente del quale “il progetto di piano regolatore generale del comune deve essere depositato nella segreteria comunale per la durata di 30 giorni consecutivi, durante i quali chiunque ha facoltà di prenderne visione”. Da tale disposizione non risulta alcun ulteriore obbligo di pubblicità a carico dell’Ente, in quanto il comma 2 si limita a prevedere che “fino a 30 giorni dopo la scadenza del periodo di deposito possono presentare osservazioni le associazioni sindacali e gli altri enti pubblici ed istituzioni interessate”.

Come evidenziato dalla giurisprudenza, la pubblicità prevista da tale articolo “è finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal Comune, ma non è richiesta, di regola, per le successive fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a seguito dell’accoglimento di alcune osservazioni o di modifiche introdotte in sede di approvazione regionale[2]. Più precisamente, è stato affermato che in linea di principio, se la pubblicazione del progetto di piano regolatore generale prevista dalle diverse e concordanti leggi regionali è finalizzata alla presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano quale adottato dal Comune, essa non è richiesta di regola per le successive fasi del procedimento, anche se il piano risulti modificato a seguito dell'accoglimento di alcune osservazioni o modifiche introdotte in sede di approvazione regionale, salvo che si tratti di modifiche tali da stravolgere il piano e comportare nella sostanza una nuova adozione[3].

Il principio che da tali arresti giurisprudenziali può trarsi è quello per cui, salve ipotesi di stravolgimento del piano, l’accoglimento dell’osservazione proposta dal privato avviene con atto modificativo che non determina ex se l’obbligo che il piano faccia “navetta” e necessitino nuovi incombenti di pubblicizzazione del medesimo; tale principio, peraltro, è coerente con uno dei canoni dell’azione amministrativa, ossia il divieto di aggravamento del procedimento[4].

Come accennato, la ripubblicazione si rende necessaria quando, a seguito dell’accoglimento delle osservazioni avanzate dagli interessati, si ha una rielaborazione complessiva dello strumento di pianificazione territoriale. Ma in che cosa consiste la rielaborazione tale da obbligare alla ripubblicazione?

Soccorre sul punto la giurisprudenza, secondo cui può parlarsi di rielaborazione complessiva quando “fra la fase di adozione e quella di approvazione siano intervenuti mutamenti tali da determinare un cambiamento radicale delle caratteristiche essenziali del piano e dei criteri che presiedono alla sua impostazione[5]; inoltre, è escluso che si possa parlare di rielaborazione complessiva del piano quando in sede di approvazione vengano introdotte modifiche che riguardano la disciplina di singole aree o singoli gruppi di aree[6]; in altri termini, “l'obbligo de quo non sussiste nel caso in cui le modifiche consistano in variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l'impianto originario, quand'anche queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree[7].

Rimane da chiarire l’obbligo della ripubblicazione dinanzi alle modifiche apportate dalla Regione. Secondo la giurisprudenza, in linea generale, le modifiche allo strumento urbanistico introdotte d’ufficio dall’Amministrazione Regionale, ai fini specifici della tutela del paesaggio e dell’ambiente, non comportano la necessità per il Comune interessato di riavviare il procedimento di approvazione dello strumento, con conseguente ripubblicazione dello stesso, inserendosi tali modifiche - in conformità a quanto stabilito dall’art. 10, secondo comma, lettera c), della Legge n. 1150/1942 - nell’ambito di un unico procedimento di formazione progressiva del disegno relativo alla programmazione generale del territorio[8]. In merito, si è puntualizzato che occorre distinguere tra:

  • modifiche “obbligatorie”, in quanto indispensabili per assicurare il rispetto delle previsioni del piano territoriale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici, l’adozione di standard urbanistici minimi;
  • modifiche “facoltative”, consistenti in innovazioni non sostanziali;
  • modifiche “concordate”, conseguenti all’accoglimento di osservazioni presentate al piano ed accettate dal Comune.
    Solo per le modifiche facoltative e concordate, ove superino il limite di rispetto dei canoni guida del piano adottato, sussiste l’obbligo della ripubblicazione da parte del Comune (con conseguente possibilità di presentazione delle osservazioni da parte degli interessati); per le modifiche “obbligatorie”, invece, tale obbligo non sorge, poiché proprio il carattere dovuto dell’intervento regionale rende superfluo l’apporto collaborativo del privato, superato e ricompreso nelle scelte pianificatorie operate in sede regionale e comunale.
    9 settembre 2020
 

[1] C.d. Legge Urbanistica.

[2] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 13 marzo 2014, n. 1241; sez. II, sent. 31 agosto 2020, n. 5316.

[3] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 9 marzo 2011, n. 1503; sez. II, sent. 31 agosto 2020, n. 5316.

[5] Cfr., ex plurimis, TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 26 novembre 2018, n. 2677; sent. 23 settembre 2016, n. 1696.

[6] Cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 19 novembre 2018, n. 6484; sent. 4 dicembre 2013, n. 5769; sent. 30 luglio 2012, n. 4321; sent. 27 dicembre 2011, n. 6865.; sent. 12 marzo 2009, n. 1477; sent. 25 novembre 2003, n. 7782.

[7] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 14 novembre 2019, n. 7839; TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 12 agosto 2020, n. 1568; Brescia, sez. I, sent. 8 maggio 2017, n. 614; TAR Campania, Salerno, sez. I, sent. 8 maggio 2017, n. 880; TAR Veneto, sez. I, sent. 8 aprile 2019, n. 421.

[8] Consiglio di Stato, sez. II, sent. 14 novembre 2019, n. 7839.

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