Approfondimento di Vinvenzo Giannotti

Danno all’immagine se l’utilizzo della vettura in dotazione avviene durante l’orario di servizio per fini personali

Servizi Comunali Responsabilità amministrativa
di Giannotti Vincenzo
29 Ottobre 2020

Approfondimento di Vinvenzo Giannotti                                                                       

Danno all’immagine se l’utilizzo della vettura in dotazione avviene durante l’orario di servizio per fini personali.

Vincenzo Giannotti

Il Collegio contabile, Sezione giurisdizionale per il Trentino – Alto Adige (sentenza n.48/2020), ha riconosciuto colpevole di danno all’immagine il dipendente condannato in via definitiva, pur in presenza di una sentenza patteggiata, per un reato contro la pubblica amministrazione (peculato), reo di aver utilizzato per fini personali e durante l’orario di servizio la vettura di servizio. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la risarcibilità del danno all’immagine subito dalla persona giuridica pubblica in presenza di condanne penali dei dipendenti pubblici per uno dei reati previsti contro la PA. Sulla medesima posizione anche la giurisprudenza contabile, che ha affermato la necessità di provare il danno all’immagine subito dall’Ente pubblico sulla base di determinati parametri, quali l’attività dell’Ente, la posizione funzionale dell’autore dell’illecito, la sporadicità o la continuità o la reiterazione dei comportamenti illeciti, la necessità o meno di interventi sostitutivi o riparatori dell’attività illecitamente tenuta. Nel caso di specie, a seguito della condanna definitiva in sede penale di peculato (per utilizzo della vettura di servizio durante l’orario di lavoro per scopi privati) e di truffa aggravata (per avere il dipendente del Comune fatto timbrare ad altri le proprie presenze in ufficio attestando falsamente la propria attività lavorativa), il Collegio contabile ha, tuttavia, diminuito la condanna erariale dall’intera retribuzione annua prevista dalla Procura ad una somma equitativa di minore importanza avendo accolto la non abitualità delle violazioni riscontrate.

La vicenda

La Procura contabile ha rinviato a giudizio un dipendente condannato in via definitiva in sede penale, mediante rito abbreviato, per peculato e truffa aggravata. In particolare le contestazioni al dipendente muovevano dall’accertato e dimostrato utilizzo nell’orario di servizio a fini personali della vettura di servizio avuta in dotazione (reato di peculato) nonché il dipendente faceva timbrare ad altri le proprie presenze in ufficio attestando falsamente la propria attività lavorativa (truffa aggravata). Secondo la Procura al dipendente deve essere contestato il danno all’immagine subito dall’ente locale, sia per indirizzo consolidato del giudice di legittimità, in ragione dei reati ascritti che, nel caso di specie, ha affermato la risarcibilità del danno all’immagine subito dalla persona giuridica pubblica (Cassazione Civ., Sez. I, sent. n. 15233/2002; Cassazione Civ., SS.UU., sent. n. 17674/2003), sia per indirizzo consolidato della stessa giurisprudenza contabile secondo cui sarebbe consentito provare il danno all’immagine subito dall’Ente pubblico sulla base di determinati parametri, quali l’attività dell’Ente, la posizione funzionale dell’autore dell’illecito, la sporadicità o la continuità o la reiterazione dei comportamenti illeciti, la necessità o meno di interventi sostitutivi o riparatori dell’attività illecitamente tenuta. A dire sempre della Procura, in considerazione della gravità dei reati contestati al dipendente, e valutato il riflesso mediatico avuto dalla vicenda, ha ritenuto equo determinare il danno all’immagine pari alla somma corrispondente alla retribuzione percepita dal convenuto nell’anno (circa 50.000 euro).

A propria difesa il dipendente ha precisato come il testo dell’art. 1, c. 1-sexies, della legge n. 20/1994 prevede che, l’entità del danno all’immagine subito dalla PA e derivante dalla commissione di un reato contro la PA medesima accertato con sentenza passata in giudicato “si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.  Nel caso di specie, si tratterebbe di quantificare il danno erariale per truffa aggravata pari a 3 ore complessive. Per il reato di peculato d’uso continuato il danno patrimoniale si collegherebbe all’utilizzo a fini privati dell’auto di servizio per un totale di 225 km. In altri termini, il danno sarebbe cumulativamente non superiore a 154 euro che, nella fattispecie non potrebbe superare il doppio previsto dalla normativa citata, ossia pari a 308 euro. In merito alla sanzione più consistente, pari ad un minimo di sei mensilità della retribuzione, previsto dall’art. 55-quater, c. 3-quater, secondo, terzo e quarto periodo, del d.lgs. n. 165/2001, si ricorda che la sanzione è stata dichiarata incostituzionale con sentenza della Consulta n. 61/2020. Infine, si è precisato come le condotte illecite poste in essere si riferiscono ad un breve periodo di tempo (circa 1 mese), ad un numero limitato di ore lavoro (3 ore complessive a fine giornata), ad un utilizzo temporaneo del bene comunale (Fiat Panda). Inoltre, non può non tenersi conto che il dipendente abbia sempre svolto con efficienza le proprie prestazioni di lavoro e che lo stesso ha subito lasciato il lavoro e prontamente versato la somma concordata con la Magistratura Requirente, che la condanna ha riconosciuto le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena.

Le conclusioni del Collegio contabile

I giudici contabili aditi hanno evidenziato, in via preliminare, come la decisione penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., ancorché non avente efficacia nei giudizi civili ed amministrativi, è equiparata ad una sentenza di condanna come previsto dall’art. 445, c. 1 bis, del c.p.p. Infatti, il c.d. “patteggiamento” presuppone l’accertamento circa l’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. ed implica la valutazione del Giudice in ordine alla corretta qualificazione giuridica del fatto–reato oltre che alla congruità della pena rispetto alla gravità dell’offesa. Si tratta, in altri termini, di una forma di ammissione di responsabilità, vincibile solo attraverso specifiche prove contrarie, in mancanza delle quali, la veridicità dei fatti accertati nella sentenza ex art. 444 c.p.p. risulta attendibile ed è idonea ad acquisire valore di prova anche nel giudizio contabile. Nel caso di specie devono, quindi, ritenersi acclarate le condotte illecite, accertate in via definitiva dal Giudice penale e non contestate dal convenuto nel presente giudizio.

Si tratta, quindi, di uno dei reati propri contro la pubblica amministrazione (peculato), oltre che per il delitto di truffa e per la fattispecie di cui all’art. 55-quinquies del d.lgs. n. 165/2001 che, in base a consolidata giurisprudenza, è connotata da significativi tratti di specialità rispetto alla disciplina generale del danno all’immagine, tali per cui, in questi casi, non sarebbe neppure richiesta la sentenza penale passata in giudicato ai fini della procedibilità per danno all’immagine.

In merito, tuttavia, alla quantificazione del danno all’immagine nel giudizio di specie, va disattesa sia la tesi della Procura che quella della difesa, quest’ultima da considerare inadeguata nel caso del pagamento del doppio del danno patrimoniale arrecato al datore di lavoro pubblico, trattandosi di somme irrisorie che non riflettono l’effettivo vulnus arrecato al prestigio e alla personalità dell’Amministrazione. A fronte della declaratoria di incostituzionalità, ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 61/2020, dell’automatismo recato dall’art. 55-quater, c. 3-quater, del d.lgs. n. 165/2001 che quantificava il danno all’immagine subito dal datore di lavoro pubblico, nelle fattispecie di falsa attestazione della presenza in servizio ex art. 55-quinquies, nella misura minima di 6 mensilità di stipendio, il Collegio contabile ha ritenuto equo, senza attenuare la gravità dei comportamenti dolosi posti in essere con estrema leggerezza dal dipendente, il danno può essere calcolato in via equitativa in euro 5.000,00, tenuto conto che i delitti commessi si sono concentrati in un breve lasso temporale e non sono stati reiterati, non avendo assunto la connotazione di abitualità

28 ottobre 2020

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