Approfondimento di Vincenzo Giannotti

Il decreto “Rilancio” non cancella il precedente reato di peculato per il mancato versamento dell’imposta di soggiorno.

Servizi Comunali Imposte e tasse Responsabilità amministrativa
di Giannotti Vincenzo
11 Novembre 2020

Approfondimento di Vincenzo Giannotti                                                                                                   

Il decreto “Rilancio” non cancella il precedente reato di peculato per il mancato versamento dell’imposta di soggiorno.

Vincenzo Giannotti

Prima delle modifiche introdotte dal decreto rilancio, il mancato versamento all’ente locale, da parte del gestore della struttura ricettiva, dell’imposta di soggiorno trattenuta al cliente integrava il reato di peculato poiché lo svolgimento dell'attività ausiliaria di responsabile della riscossione e del versamento, strumentale all'esecuzione dell'obbligazione tributaria intercorrente tra l'ente impositore e il cliente della struttura, determinava l'attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio al soggetto privato cui era demandata la materiale riscossione dell'imposta. Il giudice di legittimità ha avuto modo di precisare come la qualità di incaricato di pubblico servizio sussisteva in capo al gestore della struttura ricettiva residenziale, anche in assenza di preventivo specifico incarico da parte della pubblica amministrazione (in genere attraverso regolamento comunale) trattandosi di agente contabile e non di un sostituto di imposta, incaricato dell'espletamento di un'attività ausiliaria nei confronti dell'ente impositore ed oggettivamente strumentale all'esecuzione dell'obbligazione tributaria intercorrente in via esclusiva tra il Comune ed il soggetto alloggiante nella struttura ricettiva. Infatti, il denaro entrava nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento stesso dell'incasso dell'imposta di soggiorno da parte del gestore, cosicché ogni imputazione delle somme riscosse dai contribuenti alla copertura di voci di altra natura, esulanti dal fine pubblico per il quale erano state versate e ricevute, integrava la condotta appropriativa (peculato ex art.314 c.p.).

La modifica legislativa

Il cosiddetto decreto “Rilancio” (d.l. n.34/2020) al comma 4 dell’art. 180 ha previsto che “il gestore della struttura ricettiva è responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno di cui al comma 1 e del contributo di soggiorno di cui all'art. 14, comma 16, lett. e) d.l. 31 maggio 2010 n. 78 conv. con modif. nella I. 30 luglio 2010 n. 122 con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. La dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo, secondo le modalità approvate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato - città ed autonomie locali, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento. Per l'omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell'importo dovuto. Per l'omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno si applica una sanzione amministrativa di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (ndr sanzione pari al 30% del mancato o parziale importo versato)". Con le modifiche introdotte, pertanto, sono stati modificati i compiti affidati al gestore della struttura ricettiva nella riscossione del tributo da ausiliario del soggetto tenuto alla riscossione (ente locale) a soggetto responsabile del pagamento dell'imposta e del contributo di soggiorno con diritto di rivalsa sul fruitore del servizio, secondo lo schema ricavabile dall'art. 64, comma 3, TUIR. Pertanto, il mancato versamento dell'imposta non rientra più nel delitto di peculato (art. 314 cod. pen.) – come in precedenza nel quale il gestore assumeva la veste giuridica di incaricato di pubblico servizio – e ciò a partire dal 19 maggio 2020, ossia dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 34 del 2020.

Niente abolizione del reato nei casi pendenti

La questione esaminata dalla Cassazione, riguarda la configurabilità della posizione dei soggetti la cui causa risulti pendente, ai fini dell’applicazione della nuova normativa, ovvero di quella precedente. Infatti, secondo i giudici di Piazza Cavour la normativa sopravvenuta non ha abolito il reato ma ha esclusivamente modificato le attribuzioni di un soggetto,  il titolare della struttura ricettivo – alberghiera, che opera solamente dall'entrata in vigore della novella e non per il passato.  In altri termini, mentre in precedenza il gestore raccoglieva e custodiva il denaro pubblico versato dai clienti a titolo di imposta di soggiorno per poi riversarlo all'ente titolare della riscossione, oggi deve versare il tributo a prescindere dal pagamento da parte opera degli ospiti della struttura ricettiva, sui quali può esercitare diritto di rivalsa secondo modalità tipiche della figura del responsabile d'imposta di cui all'art. 64 TUIR e in particolare del suo comma 3. Su questioni identiche le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n.24468/2009) hanno avuto modo di precisare che “in materia di successione di leggi penali, in caso di modifica della norma incriminatrice, per accertare se ricorra o meno abolitio criminis è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, (ne) consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio" di applicazione.

Il caso

L’applicazione concreta dei citati principi espressi nelle motivazioni del giudice di legittimità, hanno riguardato un caso concreto nel quale un gestore di una attività ricettiva è stato condannato dal GIP del Tribunale, per peculato, con pena concordata con il Pubblico Ministero ridotta ad un terzo per la scelta del rito. Avverso la sentenza ha presentato ricorso in Cassazione il gestore deducendo erronea applicazione dell'art. 314 cod. pen. poiché il fatto contestato – costituito dall'appropriazione di somme di danaro corrispondenti all'imposta di soggiorno pagata dai clienti del residence da lei gestito da riversare all'amministrazione comunale competente a riscuotere il tributo - non costituirebbe reato. In ogni caso, il contribuente ha chiesto l’applicazione del meno grave reato di peculato d’uso, stante il valore economico asseritamente modesto delle somme oggetto di appropriazione. Dopo aver la Cassazione negato il reato di peculato d’uso, in quanto il medesimo non mai configurabile rispetto alle somme di denaro, data la sua natura fungibile che non consente dopo l'uso la restituzione della stessa cosa ai fini dell'integrazione della ipotesi attenuata, ha affrontato le modifiche legislative introdotte dal decreto “Rilancio” ripercorrendo le motivazioni sopra richiamate. Pertanto, ha concluso ribadendo la rilevanza penale a titolo di peculato delle condotte del ricorrente, poiché commesse in epoca anteriore alla nuova normativa.  

8 novembre 2020

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