Approfondimento sulle modifiche al Codice dei Contratti previste dal “Dl Infrastrutture”
ANCI – 29 maggio 2025
Danno erariale al Consigliere comunale quale socio “tiranno” della società cui i rimborsi per permessi erano diretti.
Servizi Comunali Amministratori locali Responsabilità amministrativaApprofondimento di Vincenzo Giannotti
Danno erariale al Consigliere comunale quale socio “tiranno” della società cui i rimborsi per permessi erano diretti.
Vincenzo Giannotti
Il rimborso dei permessi fruiti per l’espletamento del proprio mandato elettorale disposti dal Comune alla società, ove un Consigliere comunale rivestiva la carica di amministratore unico, sono stati considerati illeciti, con conseguente danno erariale pari ai pagamenti disposti. Infatti, secondo la Corte dei conti del Molise (sentenza n.33/2020) il contratto di lavoro dipendente stipulato all’indomani dell’elezione comunale con la società, in cui il consigliere rivestiva la carica di socio per il 99% delle quote, avrebbe generato la figura, prospettata anche dalla giurisprudenza civilistica, del cosiddetto socio sovrano, che ricorre quando il titolare di una partecipazione societaria maggioritaria si serva della struttura sociale come schermo, così trasformandosi in “socio tiranno”, al fine di gestire i propri affari con responsabilità patrimoniale limitata.
La vicenda
A seguito di esposto di altro consigliere comunale, è stato accertato che un consigliere risultava essere lavoratore dipendente di una società di capitali di piccole dimensioni di cui deteneva il 99% delle azioni e la restante quota dell’1% intestata alla figlia. Prima delle elezioni amministrative il consigliere svolgeva le funzioni di amministratore unico e, in coincidenza con le elezioni l’assemblea dei soci deliberava di assumerlo a tempo indeterminato con la qualifica di Direttore Generale, mentre il ruolo di amministratore unico veniva svolto in modo gratuito da un prestanome, totalmente disinformato delle vicende gestorie della società. La Procura contabile, a seguito del citato accertamento, proponeva il rinvio a giudizio per i mandati di pagamenti disposti dal Comune per il rimborso dei permessi fruiti dal consigliere per l’espletamento del proprio mandato elettorale, ammontanti nel periodo considerato a circa 88.000 euro. Secondo, infatti, la Procura si sarebbe trattato di una erogazione illecita trattandosi di abuso della personalità giuridica, ravvisabile, secondo la Suprema Corte di Cassazione, nel caso in cui il socio cosiddetto sovrano, vale a dire il socio di controllo di una società di capitali, si serva della struttura sociale come schermo, trasformandosi così in socio cosiddetto tiranno, al fine di gestire i propri affari con responsabilità limitata. Inoltre, la Procura ha precisato che per questa vicenda pende attualmente procedimento penale a carico del consigliere e dell’amministratore unico della società, a seguito di denuncia sporta, presso la Procura della Repubblica, dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate.
La difesa del consigliere ha stigmatizzato come la sua assunzione in qualità di direttore generale sarebbe stata motivata dall’esigenza di fronteggiare una crescente mole di lavoro, e che l’essere avvenuta a stretto ridosso dell’elezione del medesimo a consigliere comunale non avrebbe alcun rilievo.
La decisione del Collegio contabile
Secondo i magistrati contabili la questione riguarda due aspetti, ossia da un lato, infatti, va scrutinata la genuinità del rapporto di lavoro dipendente instaurato tra la società ed il convenuto; dall’altro, deve essere valutata la responsabilità di quest’ultimo agli effetti della costituzione del rapporto suddetto. Entrambi gli aspetti muovono dal presupposto di una società dal carattere spiccatamente personalistico, di cui il consigliere deteneva una quota del 99% percento mancando il principio di pluralità dell’assetto societario, e a figura dell’Amministratore unico, la cui effettiva titolarità del potere gestorio viene negata dal Pubblico Ministero e messa fortemente in discussione dalle risultanze degli accertamenti in atti. Secondo il Collegio contabile il rapporto di lavoro, che lega il consigliere alla società non può qualificarsi dipendente e subordinato nei termini postulati dall’art. 2094 del Codice civile. Pur prendendo atto il Collegio contabile sull’astratta configurabilità di un rapporto di lavoro dipendente tra il socio (o chi ricopra incarichi gestori nella società di capitali) e la società stessa, tuttavia, affinché tale rapporto possa dirsi genuino, sia la giurisprudenza di legittimità che l’Amministrazione previdenziale hanno indicato tassativi parametri di ri-scontro che, però, non si ritengono soddisfatti nella fattispecie. Anzitutto, sul piano della genesi del rapporto, risulta agli atti che il consigliere è stato assunto per iniziativa di un’assemblea societaria di cui deteneva il 99% delle quote, vale a dire sulla base del consenso da se medesimo manifestato. La Cassazione (ved sentenza n.4532/1998) ha avuto modo di precisare come il socio non può assumere la figura di lavoratore subordinato di una società di capitali allorquando abbia una partecipazione al capitale capace di assicurargli da sola la maggioranza richiesta per la validità delle deliberazioni delle assemblee (ordinarie e straordinarie), sicché in concreto dalla sua volontà finiscono per dipendere la nomina e la revoca degli amministratori, l'irrogazione delle sanzioni disciplinari, l'assunzione di lavoratori ed il loro licenziamento, l'esercizio del potere direttivo e di controllo sul personale. In tali casi il socio si presenta come l'effettivo e solo titolare del potere gestionale della società sì da risultare vero e proprio "sovrano" della stessa. Anzi, volendo pure emarginare la parte di opera ipoteticamente prestata dal convenuto in qualità di lavoratore dipendente, si impone la constatazione che la qualifica di Direttore generale da lui assunta presentava caratteri tali di apicalità che ne consentivano l’assoggettamento al solo Amministratore unico. Quest’ultimo non era stato in grado di offrire, ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, risposte su fatti gestori anche semplici, eppure assai rilevanti per la società. Inoltre, il medesimo ha avuto modo di dichiarare di essere lavoratore dipendente di un’altra società, con mansioni di operaio, e di svolgere l’attività di amministratore unico della del consigliere a titolo di amicizia, fuori dell’orario di lavoro effettuato alle dipendenze del proprio datore di lavoro.
Conclusioni
In base alle considerazioni sopra esposte, il Collegio contabile ha ritenuto che il convenuto abbia deliberatamente e, quindi, dolosamente, agito nell’intento di procurare alla società i rimborsi disposti dal Comune per la fruizione dei permessi per il mandato elettivo, ex artt. 79 e 80 del Tuel, il cui esborso costituisce, pertanto, a tutti gli effetti – a fronte della sostanziale inconsistenza del rapporto di subordinazione cui essi accedono – un danno per le casse comunali. La responsabilità così ricostruita lambisce i contorni della figura, prospettata anche dalla giurisprudenza civilistica, del cosiddetto socio sovrano, che ricorre quando il titolare di una partecipazione societaria maggioritaria si serva della struttura sociale come schermo, così trasformandosi in “socio tiranno”, al fine di gestire i propri affari con responsabilità patrimoniale limitata, potendo in tali casi incorrere nel fenomeno definito dell'abuso di personalità giuridica, ravvisabile allorché alla forma societaria corrisponda una gestione in tutto e per tutto individuale (tra le tante Cass. Civ. Sez. I, sent. n. 804/2000); situazione che, nel caso di specie, il Collegio contabile ha ritenuto essersi verificata.
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