Approfondimento sulle modifiche al Codice dei Contratti previste dal “Dl Infrastrutture”
ANCI – 29 maggio 2025
L’integrazione della retta per l’assistenza è a carico del disabile, non della famiglia
Servizi Comunali Servizi alla personaApprofondimento di Amedeo Di Filippo
L’integrazione della retta per l’assistenza è a carico del disabile, non della famiglia
Amedeo Di Filippo
L'accoglienza di disabile grave non autosufficiente all'interno di strutture residenziali deve essere attuata da parte degli enti preposti all'assistenza senza che sia possibile condizionarla al previo impegno al pagamento parziale o totale dei relativi costi da parte dell'interessato o dei suoi familiari. Il recupero dei costi da parte del Comune non può avere corso presso i familiari né esso può essere riconosciuto, in assenza di specifiche norme civilistiche, sulla base delle regole generali in tema di alimenti o di mantenimento, mentre può avvenire sulla base di accordi volontari con i congiunti degli interessati. Sono i principi sanciti dalla prima sezione civile della Corte di cassazione con la sentenza n. 23932 depositata il 29 ottobre (file allegato).
L’assistenza
Un Comune richiede alla madre di un disabile di versare la differenza tra le rette di ricovero presso una residenza sanitaria per disabili anticipate dall’ente e gli importi della pensione di invalidità e indennità di accompagnamento di cui il figlio era titolare, già confluite presso il Comune stesso.
La Cassazione afferma che il caso di un soggetto disabile gravissimo le cui condizioni di non autosufficienza rendessero necessaria l'assistenza in sede residenziale rientra nell'ipotesi di cui all'art. 22, comma 2, lett. g), della Legge n. 328/2000 e dunque rappresenta uno degli interventi che costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi secondo le caratteristiche e i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale.
E questo a prescindere dalle ragioni (ad es. assenza, incapacità o impossibilità del nucleo familiare ad assisterlo) o da eventuali responsabilità di chi sia tenuto ma non presti l'assistenza. Talché l'intervento pubblico, sul piano sanitario e assistenziale, è in tali casi dovuto da parte degli enti a ciò preposti (il Comune nel caso di specie).
Anzi, afferma la Suprema Corte, “l'indispensabilità assoluta per la persona, considerata nella sua individualità, esclude qualsiasi margine di discrezionalità, organizzativa o finanziaria, rispetto all'an della protezione” e l'obbligatorietà dell'assistenza esclude anche che essa sia condizionabile dalla previa assunzione di impegni economici da parte dei beneficiari o di chi abbia obblighi di mantenimento nei loro confronti.
Le spese
La Cassazione poi si sofferma sulla questione relativa al regime economico delle prestazioni assistenziali e del recupero dei costi sopportati dall'ente erogatore. Il Comune, secondo quanto disposto dall'art. 6, comma 4, della Legge n. 328/1990, è senza dubbio tenuto ad «assumere gli obblighi connessi all'eventuale integrazione economica», ove l'eventualità sta a significare che gli oneri sono destinati a restare a carico del Comune nei limiti in cui le capacità del beneficiario non consentano di farvi fronte.
Ma questo non attribuisce all’ente erogatore la facoltà di cui all'art. 438, primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata, ossia azioni dirette nei confronti dei congiunti del beneficiario. Né, osserva per completezza, azioni di tal fatta sono previste dal DPCM n. 159/2013 che ha aggiornato il sistema dell’ISEE.
Questa la conclusione: “gli obblighi di integrazione della retta, per quanto da calibrare sulla base delle capacità economiche della famiglia come definita in ambito ISEE, sono civilisticamente a carico del solo assistito”. Anche perché la famiglia considerata nei calcoli dell’ISEE non coincide con quella di cui agli artt. 433 e seguenti del codice civile. Dunque, solo una normativa espressamente dedicata alle rivalse civilistiche potrebbe consentire l’esercizio legislativo di uno strumento di estrema delicatezza sociale, ma ciò non esclude che si possano avere accordi volontari di regolazione delle compartecipazioni dei congiunti.
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