Trattamento personale trasferito a soggetto privato a seguito esternalizzazione servizio

Risposta al quesito del Dott. Angelo Maria Savazzi

Quesiti
di Savazzi Angelo Maria
13 Gennaio 2021

L'ente ha esternalizzato il servizio di raccolta rifiuti, con il trasferimento del personale in carico, nr 3 dipendenti di cat.A1, B3, A3. Con un verbale con i sindacati è stato concertato che i diritti dei dipendenti devono essere mantenuti, stesso contratto e stessa retribuzione.

Se ciò non accade cosa può fare l’ex dipendente comunale che di fatto ha avuto una nuova assunzione e non un vero e proprio trasferimento, trattandosi di diverso datore di lavoro dal pubblico a privato?

Sono state modificate le ore lavorative, da 36 a 40, ridotti gg di ferie, retribuzione più bassa, in sintesi diritti calpestati.

Risposta

Preliminarmente trattandosi di nuova assunzione e di applicazione di un nuovo CCNL é a quest’ultimo che occorre fare riferimento ai fini della corretta individuazione del trattamento economico e dell’applicazione degli istituti giuridici, salvo quanto esposto di seguito.

Nel caso specifico l’art. 31 del DLgs. 165/2001 prevede che nel caso di trasferimento di dipendenti ad altri soggetti pubblici o privati si applica l’art. 2112 del codice civile. Quest’ultimo stabilisce che trasferimento si intende qualsiasi operazione di mutamento della titolarità di una attività “a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato”, per cui non dovrebbero esservi dubbi circa l’applicabilità della disposizione al caso prospettato nel quesito.

Lo stesso art. 2112 del codice civile stabilisce che il “cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello”.

Ciò premesso si ritiene che i dipendenti debbano adire il giudice del lavoro per far valere il principio generale del divieto di reformatio in pejus, da intendersi quale diritto alla corresponsione di trattamento economico ad personam, parametrato sulla retribuzione fondamentale e riassorbibile con i futuri miglioramenti contrattuali, applicabile, in assenza di norme speciali, al lavoratore subordinato. Ciò in applicazione del richiamato art. 2112 del codice civile e dell’art.47 della Legge 428/1990 espressamente richiamati dall’art. 31 del Dlgs. 165/2001.

11 gennaio 2021           Angelo Maria Savazzi

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