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Divieto di pantouflage e passaggio del dipendente in una società in house
Servizi Comunali Anticorruzione Incarichi professionali IncompatibilitàApprofondimento di Pietro Alessio Palumbo
Divieto di pantouflage e passaggio del dipendente in una società in house
Pietro Alessio Palumbo
L’art. 53, comma 16-ter, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 stabilisce che i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri.
I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni, con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.
Ebbene tale disposizione è stata introdotta nel D.Lgs. 165/2001 dall’art. 1, comma 42, della L. 190/2012 (cd. Legge Anticorruzione), con finalità di contenimento del rischio di situazioni di corruzione connesse all’impiego del dipendente successivo alla cessazione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione.
Come chiarito dall’Autorità nazionale anticorruzione il rischio valutato dalla norma è che durante il periodo di servizio il dipendente possa “artatamente” precostituirsi delle situazioni lavorative vantaggiose e così sfruttare a proprio fine la sua posizione e il suo potere all’interno dell’amministrazione per ottenere un lavoro per lui attraente presso l’impresa o il soggetto privato con cui entra in contatto.
La norma prevede quindi una limitazione della libertà negoziale del dipendente per un determinato periodo successivo alla cessazione del rapporto per eliminare la “convenienza” di accordi fraudolenti.
Ambito soggettivo e cd. periodo di “raffreddamento”
A ben vedere quindi l’ambito soggettivo di applicabilità della norma è riferito a quei dipendenti che, nel corso del servizio presso la pubblica amministrazione, abbiano esercitato poteri dispositivo o contrattuali per conto dell’ente di appartenenza.
A tali soggetti è imposto un cd. “periodo di raffreddamento” non potendo svolgere attività di lavoro o di professione per i soggetti privati destinatari dell’attività dell’ente per cui abbiano svolto funzioni “chiave” nei rapporti con l’ente privato in questione.
Invero sono considerati dipendenti delle pubbliche amministrazioni anche i soggetti titolari di uno degli incarichi di cui al D.Lgs. 39/2013, ivi compresi i soggetti esterni con i quali l'amministrazione, l'ente pubblico o l'ente di diritto privato in controllo pubblico stabilisce un rapporto di lavoro, subordinato o autonomo.
Infatti come osservato dall’ANAC nel Piano Nazionale Anticorruzione 2019 si è inteso così estendere la sfera dei soggetti “assimilabili” ai dipendenti pubblici, “rafforzando” la finalità dell’istituto in argomento quale presidio del rischio corruttivo.
Il passaggio dall’amministrazione controllante all’ente “in house” controllato
La vicenda finita sotto la lente d’analisi dell’Authority di via Minghetti riguarda il passaggio di un funzionario da un incarico presso l’amministrazione controllante ad un incarico presso l’ente di diritto privato da questa direttamente e totalmente controllato.
Ebbene con riferimento a questa fattispecie, l’Autorità anticorruzione ha ritenuto che in simili circostanze non possono configurarsi gli elementi costitutivi della fattispecie dell’art. 53, comma 16 ter, del D.Lgs. n.165/2001, in quanto l’attribuzione dell’incarico di destinazione nell’ambito di una società controllata avviene nell’interesse della stessa amministrazione controllante e ciò determina la carenza di uno degli elementi essenziali della fattispecie preclusiva descritta: il “dualismo di interessi” pubblico-privato ed il conseguente rischio di “strumentalizzazione” dei pubblici poteri rispetto a finalità privatistiche.
Nel caso del passaggio tra amministrazione controllante ed ente di diritto privato controllato viene quindi a mancare il rischio che il dipendente pubblico, durante lo svolgimento dell’incarico presso la prima, venga distolto dal perseguimento dell’interesse pubblico in vista del futuro incarico presso il secondo. E ciò non potendosi identificare un interesse di natura privatistica contrapposto a detto interesse pubblico, proprio in considerazione del rapporto di controllo tra gli enti che conferiscono gli incarichi in questione.
A ben vedere la società in house non sarebbe un vero e proprio soggetto giuridico, mancando del requisito della “alterità” soggettiva rispetto all’amministrazione pubblica.
Ad ogni buon conto qualunque sia la prospettazione che si intenda seguire, la società in house conserva, una forte peculiarità organizzativa, imposta dal diritto europeo, che la rende non riconducibile al modello generale di società, quale definito dalle norme di diritto privato.
Ai fini della valutazione dell’applicabilità dell’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001, la questione dell’autonomia soggettiva che si voglia o meno riconoscere alle società in house è tuttavia secondaria a quella dell’identificazione dell’interesse perseguito dalle stesse, che non può essere considerato distinto ed autonomo rispetto a quello perseguito dall’amministrazione controllante che ne detiene il capitale, che ha poteri di nomina della governance, e che ha significativi poteri di direzione e controllo dell’attività svolta.
Pertanto, rammentando la ratio fondante, sottesa al divieto imposto dalla disposizione in parola, nella fattispecie in oggetto, a fronte dell’insussistenza della contrapposizione interesse pubblico/privato nell’attività degli enti interessati e, quindi, del rischio che il primo possa essere strumentalizzato per finalità di natura personale o privata, per l’Autorità nazionale anticorruzione viene meno uno degli elementi costitutivi della fattispecie vietata.
Dal che trattasi di fattispecie non ascrivibile al divieto di cd. “pantouflage”.
27 gennaio 2021
Garante per la protezione dei dati personali – 3 aprile 2025
Presentata dalla dott.ssa Grazia Benini e da Gioele Dilevrano
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IFEL – 5 febbraio 2024
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