Stabilizzazione professionisti al sud assunti da Agenzia per coesione, a supporto enti locali per 36 mesi
Risposta del Dott. Matteo Barbero
“EQUO COMPENSO” PER GLI AVVOCATI (E GLI ALTRI PROFESSIONISTI)
ANCHE NEI RAPPORTI CON LE P.A.
di Marco Mariani
3 dicembre 2017
Il 30 novembre 2017 la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge di conversione del cd. decreto legge fiscale[1], che fra le altre disposizioni introduce la norma[2] sull'equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati.
In estrema sintesi, la norma introduce il principio generale secondo cui i compensi fissati nei contratti tra avvocati e alcune categorie di clienti cd. forti – tra cui anche le Pubbliche Amministrazioni - non possono essere inferiori ai parametri stabiliti dal DM n. 55/2014[3]. Ciò in quanto il compenso dell'avvocato determinato nelle convenzioni deve essere «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» nonché «al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale». E' opportuno specificare che la norma non reintroduce tout court il sistema dei minimi tariffari inderogabili, bensì in riferimento ai rapporti contrattuali con i cd. clienti forti collega l’equità del compenso spettante all'avvocato ai paramenti tariffari contenuti nel DM n. 55/2014.
Vediamo più nel dettaglio le nuove disposizioni.
Ambito soggettivo di applicazione: la previsione dell'”equo compenso” si applica solo in riferimento a determinate categorie di committenti, ritenute contraenti “forti” in confronto all'avvocato, e più precisamente banche, assicurazioni, grandi imprese[4] e pubbliche amministrazioni. Risulta alquanto problematico il richiamo alla categoria delle “pubbliche amministrazioni” in quanto non ne viene data una definizione, né è possibile rinvenirne nell'ordinamento una generale ed astratta[5]. Pertanto, mentre è certo che i Comuni rientrino in tale nozione, è dubbio che vi rientrino tutte le società comunque partecipate da enti locali.
Sono beneficiari della disposizione gli avvocati iscritti all'albo, sia come singoli che come partecipanti ad associazioni o società tra avvocati. E' importante segnalare che la disposizione in commento, prevista nel testo originario solo in riferimento agli avvocati, nella versione finale è stata estesa ai professionisti[6], anche iscritti agli ordini e ai collegi[7].
In definitiva, restano esclusi i rapporti tra avvocati (e altri professionisti) e consumatori, medie e piccole imprese.
Ambito oggettivo di applicazione: le nuove disposizioni sull'equo compenso si applicano nel caso in cui le convenzioni[8] siano predisposte unilateralmente dalle imprese. E' rilevante segnalare che, a tutela del libero professionista (ritenuto in tali circostanze parte debole), tali convenzioni si presumono predisposte “unilateralmente” dal committente (comma 3 dell’art. 13-bis). E fatta salva la possibilità della prova contraria – ossia che la clausola contenente un prezzo inferiore all'equo compenso è stata oggetto di specifica trattativa (con obbligo di indicazione delle modalità con cui tale trattativa si è svolta) ed approvazione, .
Nozione di “equo compenso”: si definisce equo il compenso dell'avvocato determinato nelle convenzioni quando è «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» nonché «al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale» tenuto conto dei parametri di cui al DM n. 55/2014. Per gli altri professionisti, diversi dall'avvocato, iscritti in ordini e collegi è effettuato un rinvio ai parametri definiti dai relativi decreti ministeriali[9]. Proprio questo collegamento dell'equità del compenso a parametri tariffari è il punctum dolens della nuova disposizione, e su di esso si sono concentrate le critiche dell'Autorità per la concorrenza e il mercato[10], sull'assunto che ciò equivale a reintrodurre di fatto i c.d. minimi tariffari, che a dire dell'Antitrust produrrebbe l’effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti nelle relazioni commerciali con alcune tipologie di clienti. Ciò, secondo l'Antitrust, determinerebbe un’ingiustificata inversione di tendenza rispetto all’importante ed impegnativo processo di liberalizzazione delle professioni. Di segno completamente opposto l'approccio del Consiglio Nazionale Forense, che invece ha rivendicato la necessità di regolare il mercato concorrenziale delle professioni assicurando un equo compenso ai professionisti di fronte ai committenti cd. “forti”[11].
La vessatorietà delle clausole lesive dell'equo compenso: la nuova norma considera vessatorie le clausole contenute in convenzioni che determinano, anche in considerazione della non equità del compenso previsto, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell'avvocato. In particolare, si considerano vessatorie 9 clausole, tra cui ad esempio:
l'anticipo delle spese a carico esclusivo del professionista;
tempi di pagamento delle fatture oltre 60 giorni;
possibilità di modificare il contratto unilateralmente, ossa, solo da parte del committente;
l'imposizione al dover rinunciare al rimborso delle spese.
L'azione volta a far dichiarare la vessatorietà – e dunque la nullità - di tali clausole può essere proposta entro 24 mesi, solo a vantaggio dell'avvocato. In tali casi il Giudice, se ritiene non equo il compenso e vessatoria la clausola che lo prevede, dichiara la nullità parziale della convenzione e ridetermina il compenso spettante all'avvocato tenendo conto dei parametri di cui al DM n. 55/2014.
Conclusioni: ragionevole tutela delle professioni intellettuali o violazione del principio di concorrenza in materia di servizi?
Per comprendere le ragioni del contenuto e della attualità della nuova disciplina sull'equo compenso occorre rammentare la recentissima sentenza con cui il Consiglio di Stato ha giudicato legittimo il bando di un Comune che, nel prevedere l'assegnazione del rilevantissimo appalto di servizi intellettuali per la redazione del piano strutturale, aveva previsto una base d'asta simbolica di 1 euro[12]. In tal caso, il Consiglio di Stato aveva ritenuto che il “ritorno di immagine” potesse considerarsi come una remunerazione. E' di immediata percezione la ragione per cui una siffatta sentenza abbia gravemente preoccupato tutti gli ordini professionali.
Il tema di fondo è infatti la necessità di contemperare i principi euro unitari di libera concorrenza - che certamente si applicano agli appalti di servizi – con quelli dell'equo compenso per le prestazioni lavorative.
Il tema non può essere affrontato ignorando quattro elementi:
la disposizione sull'equo compenso delle prestazioni dell'avvocato si applica solo in riferimento ai c.d. clienti forti;
nell'ambito degli appalti di servizi, i servizi di natura intellettuali hanno una disciplina peculiare derivante dalla loro natura personalissima; le attività degli avvocati hanno poi una ulteriore specificità – riconosciuta e tutelata anche in sede comunitaria[13] - in funzione della loro partecipazione al funzionamento del servizio (recte, funzione) Giustizia;
l'art. 36, comma 1, della Costituzione – che riconosce il diritto del lavoratore ad una retribuzione adeguata - riguarda ogni forma di lavoro, sia dipendente che autonomo[14];
l’art. 2233, comma 2, del Codice civile, occupandosi del contratto d’opera intellettuale, prevede espressamente che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione” .
Il Consiglio Nazionale Forense e l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato si pongono ai due poli della discussione: il primo non ha mai veramente accettato l'idea della fine del sistema tariffario obbligatorio disposta con le cd. “lenzuolate” di Bersani[15] del 2006, mentre l'Antitrust pare rifiutare a priori ogni deroga al generale principio di libera concorrenza[16] derivante dall'esistenza di altri principi (di rango comunitario e nazionale) che rilevano nello svolgimento della professione forense. A tal proposito l'Antitrust pare non tenere nella dovuta considerazione l'essenziale circostanza che l'attività forense è peraltro soggetta a particolari e penetranti divieti di concorrenza e obblighi deontologici[17], al fine di garantire l'indipendenza e l'autonomia degli avvocati, quali indispensabili condizioni dell'effettività della difesa e della tutela dei diritti.
Come può argomentarsi dall'analisi della normativa e della giurisprudenza eurounitaria[18], la materia del compenso degli avvocati non è compiutamente disciplinata dal diritto comunitario.
Per rivolgere lo sguardo al futuro, la tutela dei liberi professionisti quali contraenti deboli potrebbe in futuro evolversi sulle direttrici tracciate dalle vigenti disposizioni del c.d. Job’s Act sul lavoro autonomo (Legge 22.5.2017, n. 81), che prevedono forme di tutela in favore di tutti i professionisti, con rimedi anche inibitori e risarcitori in loro favore e con la possibilità di irrogare sanzioni amministrative a carico del contraente forte, compresa la pubblica amministrazione, nel caso in cui imponga “clausole abusive”[19].
[1] AC 4741: "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili. Modifica alla disciplina dell'estinzione del reato per condotte riparatorie".
[2] L'art. 19-quaterdecis del DDL in parola introduce un articolo 13-bis nel corpo della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (“Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense”), rubricato “Equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati” e dal seguente tenore:
“1. Il compenso degli avvocati iscritti all’albo, nei rapporti professionali regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività di cui all’articolo 2, commi 5 e 6, primo periodo, in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, è disciplinato dalle disposizioni del presente articolo, con riferimento ai casi in cui le convenzioni sono unilateralmente predisposte dalle predette imprese.
2. Ai fini del presente articolo, si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni di cui al comma 1 quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale, tenuto conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6.
3. Le convenzioni di cui al comma 1 si presumono unilateralmente predisposte dalle imprese di cui al medesimo comma salva prova contraria.
4. Ai fini del presente articolo si considerano vessatorie le clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 che determinano, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico dell’avvocato.
5. In particolare si considerano vessatorie, salvo che siano state oggetto di specifica trattativa e approvazione, le clausole che consistono: a) nella riserva al cliente della facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto; b) nell’attribuzione al cliente della facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto; c) nell’attribuzione al cliente della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che l’avvocato deve eseguire a titolo gratuito; d) nell’anticipazione delle spese della controversia a carico dell’avvocato; e) nella previsione di clausole che impongono all’avvocato la rinuncia al rimborso delle spese direttamente connesse alla prestazione dell’attività professionale oggetto della convenzione; f) nella previsione di termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data di ricevimento da parte del cliente della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente; g) nella previsione che, in ipotesi di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, all’avvocato sia riconosciuto solo il minore importo previsto nella convenzione, anche nel caso in cui le spese liquidate siano state interamente o parzialmente corrisposte o recuperate dalla parte; h) nella previsione che, in ipotesi di nuova convenzione sostitutiva di altra precedentemente stipulata con il medesimo cliente, la nuova disciplina sui compensi si applichi, se comporta compensi inferiori a quelli previsti nella precedente convenzione, anche agli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati; i) nella previsione che il compenso pattuito per l’assistenza e la consulenza in materia contrattuale spetti soltanto in caso di sottoscrizione del contratto.
6. Le clausole di cui al comma 5, lettere a) e c), si considerano vessatorie anche qualora siano state oggetto di trattativa e approvazione.
7. Non costituiscono prova della specifica trattativa ed approvazione di cui al comma 5 le dichiarazioni contenute nelle convenzioni che attestano genericamente l’avvenuto svolgimento delle trattative senza specifica indicazione delle modalità con le quali le medesime sono state svolte.
8. Le clausole considerate vessatorie ai sensi dei commi 4, 5 e 6 sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il resto. La nullità opera soltanto a vantaggio dell’avvocato.
9. L’azione diretta alla dichiarazione della nullità di una o più clausole delle convenzioni di cui al comma 1 è proposta, a pena di decadenza, entro ventiquattro mesi dalla data di sottoscrizione delle convenzioni medesime.
10. Il giudice, accertate la non equità del compenso e la vessatorietà di una clausola a norma dei commi 4, 5 e 6 del presente articolo, dichiara la nullità della clausola e determina il compenso dell’avvocato tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6.
11. Per quanto non previsto dal presente articolo, alle convenzioni di cui al comma 1 si applicano le disposizioni del codice civile ».
La novella legislativa introduce anche novità per gli altri professionisti, diversi dall'avvocato:
“2. Le disposizioni di cui all’articolo 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dal comma 1 del presente articolo, si applicano, in quanto compatibili, anche alle prestazioni rese dai professionisti di cui all’articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81, anche iscritti agli ordini e collegi, i cui parametri ai fini di cui al comma 10 del predetto articolo 13-bis sono definiti dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.
3. La pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
4. Dall’attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”
[3] Decreto Ministero Giustizia 10 marzo 2014, n. 55: “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247”.
[4]In base alle definizioni contenute nell'art. 2 dell'Allegato della Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione del 6 maggio 2003, a contrariis possono definirsi grandi imprese quelle che occupano almeno 250 persone, il cui fatturato annuo supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo supera i 43 milioni di euro.
[5] A livello normativo non esiste una definizione unica, bensì molteplici definizioni di “pubblica amministrazione” riferite ai singoli settori, tra cui si citano:
1) la Legge n. 241/1990 (art. 22, comma 1, lett. e) in riferimento al diritto di accesso definisce “pubbliche amministrazioni”:
a) tutti i soggetti di diritto pubblico;
b) i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario. Sono senz’altro ricompresi anche gli enti pubblici economici. Si noti che una novella del 2005 ha incluso nel concetto di pubblica amministrazione, ai fini della disciplina sull’accesso, anche i soggetti di diritto privato limitatamente all’attività di interesse pubblico (ad esempio, i soggetti privati concessionari di lavori e servizi pubblici, e in generale tutti i soggetti portatori di munera pubblici, tra cui anche soggetti agenti nell’ambito di programmi finanziati da soggetti pubblici);
2) il D.Lgs n. 165/2001 (art. 1, comma 2) – recante le norme generali sul pubblico impiego – individua come pubblica amministrazione:
a) tutte le amministrazioni dello Stato compresa la scuola;
b) le aziende e amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo;
c) tutte le amministrazioni territoriali (Regioni, Province, Comuni,
Comunità montane e consorzi);
d) le Università, gli Istituti autonomi case popolari (oggi ATER) le camere di commercio e le loro associazioni;
e) tutti gli enti pubblici non economici, nazionali e regionali;
f) gli enti del servizio sanitario nazionale;
3) l’art. 1, comma 5, Legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Legge finanziaria 2005), rubricato “Limite all’incremento delle spese delle pubbliche amministrazioni”, ha disposto che “al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede di Unione europea, indicati nel Documento di programmazione economico- finanziaria e nelle relative note di aggiornamento, per il triennio 2005-2007 la spesa complessiva delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, individuate per l’anno 2005 nell’elenco 1 allegato alla presente legge e per gli anni successivi dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) con proprio provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
non oltre il 31 luglio di ogni anno, non può superare il limite del 2 per cento rispetto alle corrispondenti previsioni aggiornate del precedente anno, come risultanti dalla Relazione previsionale e programmatica.”
Tra le amministrazioni pubbliche inserite nell’elenco allegato alla legge, il Legislatore ha compreso gli “Enti nazionali di previdenza e assistenza” e le “Autorità amministrative indipendenti”, senza ulteriori specificazioni.
In attuazione della disposizione richiamata, a decorrere dall’anno 2006 e in sostituzione dell’elenco direttamente previsto dalla legge, l’Istat ha provveduto a individuare le amministrazioni inserite nel conto economico consolidato con provvedimento del 29 luglio 2005.
Con l’art. 1, comma 3, della Legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e di finanza pubblica), è stato infine specificamente previsto che per amministrazioni pubbliche tenute al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica “si intendono gli enti e gli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuati dall’Istituto nazionale di statistica sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari”.
Sulla base di tale norma e del Regolamento UE n. 2223/96-SEC 95, è stato adottato il comunicato Istat recante l’elenco delle Amministrazioni pubbliche da inserire nel conto consolidato dello Stato per l’anno 2011, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 30 settembre 2011, n. 228 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 28.11.2012 n. 6014);
4) il D.Lgs. n. 163/2006 e ora il D.Lgs. n. 50/2016 e smi, art. 3 (Codice dei contratti pubblici) ritiene che le “amministrazioni aggiudicatrici” sono: le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti.
L’“organismo di diritto pubblico” è qualsiasi organismo, anche in forma societaria:
- istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;
- dotato di personalità giuridica;
- la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico;
5) il D.Lgs n. 97/2016 recante “Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” dispone che: “Ai fini del presente decreto, per «pubbliche amministrazioni" si intendono tutte le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, ivi comprese le autorità portuali, nonché le autorità amministrative indipendenti
di garanzia, vigilanza e regolazione.”;
6) il D.Lgs. n. 175/2016 recante “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” prevede che ai fini dell’applicazione del presente decreto, si intendono per “amministrazioni pubbliche”: le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, i loro consorzi o associazioni per qualsiasi fine istituiti, gli enti pubblici economici e le autorità portuali.
[6] La legge 2 maggio 2017, n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, all'art. 1 disciplina l'ambito di applicazione: “ 1. Le disposizioni del presente capo si applicano ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile, ivi inclusi i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell'articolo 2222 del codice civile. 2. Sono esclusi dall'ambito di applicazione del presente capo gli imprenditori, ivi compresi i piccoli imprenditori di cui all'articolo 2083 del codice civile.“
[7]Cfr. art. 19-quaterdecies, comma 2, versione finale AC 4741
[8]Cfr. art. 13, comma 3, della Legge n. 347/2012: “La pattuizione dei compensi è libera: è ammessa la pattuizione a tempo, in misura forfetaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento e ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello strettamente patrimoniale, il destinatario della prestazione.”
[9]Il riferimento è ai decreti ministeriali da adottarsi in base all'art. 9 del D.L. n. 1/2012 convertito con modificazioni dalla Legge n. 27/2012.
[10]Il riferimento è, da ultimo, alla Segnalazione del 24 novembre 2017 inviata ai presidenti delle due Camere e al presidente del Consiglio dei Ministri, nella quale si assume che “tramite la disposizione in esame viene sottratta alla libera contrattazione tra le parti la determinazione del compenso dei professionisti (ancorché solo con riferimento a determinate categorie di clienti). Tale obiettivo viene realizzato, sia affermando il principio del diritto all’equo compenso sopra descritto, sia qualificando (al comma 5) come vessatorie clausole contrattuali che incidono sul compenso del professionista.(...) Se da un lato è vero, infatti, che verrebbe introdotta una nullità di protezione, azionabile esclusivamente dal professionista, dall’altro è altamente improbabile che i clienti accettino la fissazione di un compenso a livelli inferiori assumendosi, così, il rischio di vedersi contestare in corso d’opera o anche successivamente il mancato rispetto del principio dell’equità. Con riferimento alla pubblica amministrazione, si osserva poi che, in base al comma 3 dell’articolo in esame, la PA è tenuta a garantire «il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo l'entrata in vigore della presente legge». È dunque preclusa alla PA la possibilità di accettare prestazioni con compensi inferiori a quelli fissati nei decreti ministeriali. (...) In quest’ottica, l’effettiva presenza di una concorrenza di prezzo nei servizi professionali non può in alcun modo essere collegata ad una dequalificazione della professione, giacché, come più volte ricordato dall’Autorità, è invece la sicurezza offerta dalla protezione di una tariffa fissa o minima a disincentivare l’erogazione di una prestazione adeguata5 e a garantire ai professionisti già affermati sul mercato di godere di una rendita di posizione determinando la fuoriuscita dal mercato di colleghi più giovani in grado di offrire, all’inizio, un prezzo più basso. È noto, infatti, che la qualità di una prestazione professionale si percepisce nel tempo e, al momento della scelta, la reputazione del professionista assume un’importanza cruciale, scalfibile solo attraverso offerte particolarmente vantaggiose che inducono il cliente a dare fiducia a un professionista meno affermato. Sarebbero proprio i newcomer ad essere pregiudicati dalla reintroduzione delle tariffe minime in quanto vedrebbero drasticamente compromesse le opportunità di farsi conoscere sul mercato e, in definitiva, di competere con i colleghi affermati che dispongono di maggiori risorse per l’acquisizione di clientela, anche di particolare rilievo.”
[11]Il richiamo è alla lettera inviata a fine novembre 2017 dal presidente del CNF, Avv. Mascherin, al Presidente dell'Antitrust, nella quale si espone l'esigenza che “l’Autorità garantisca un mercato equo e rispettoso della Costituzione, dunque anche della dignità dei lavoratori, nessuno escluso. Il “mercato” non è più quello di 15 anni fa: è in atto un feroce impoverimento del ceto medio, favorito anche dallo strapotere finora riconosciuto ai soggetti economicamente e finanziariamente forti. La concorrenza al ribasso e senza regole (anche morali) è concorrenza malata, che porta ad una Società malata, all’aumento della povertà, a guerre tra poveri e dunque al sacrificio di ogni forma di solidarietà. Ciò vale anche per le lavoratrici e i lavoratori autonomi, nessuno escluso”.
“
[12]Il riferimento è alla sentenza della Quinta sezione del Consiglio di Stato (presidente Giuseppe Severini, relatore Stefano Fantini) del 3 ottobre 2017, n. 4614, con la quale è stata riformata ha riformato una pronuncia del TAR Calabria che – in linea con le aspettative dei ricorrenti e con ogni ragionevole pronostico – aveva annullato un bando di gara contenente la previsione della gratuità della prestazione dell'appaltatore. Nel caso di specie Il caso di specie è piuttosto particolare. Il Comune di Catanzaro aveva indetto una gara di appalto per servizi pubblici per l'affidamento di servizi attinenti alla progettazione, prevedendo come basa d'asta il valore di un euro, con l'ovvio significato di intendere la prestazione come gratuita. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che una tale previsione del bando di gara comunque configuri un “appalto di servizi (che per definizione normativa è un contratto “oneroso”, non gratuito) sulla base della originale considerazione che il professionista incaricato beneficierebbe comunque di una remunerazione, anche se non di immediato valore economico: “L’effetto, indiretto, di potenziale promozione esterna dell’appaltatore, come conseguenza della comunicazione al pubblico dell’esecuzione della prestazione professionale, appare costituire, nella struttura e nella funzione concreta del contratto pubblico, di cui qui si verte, una controprestazione contrattuale anche se a risultato aleatorio, in quanto l’eventuale mancato ritorno (positivo) di immagine (che è naturalmente collegato alla qualità dell’esecuzione della prestazione) non può dare luogo ad effetti risolutivi o risarcitori.”
[13]Cfr. art. 17 del D. Lgs n. 50/2016 e smi (nuovo Codice dei contratti pubblici) e il corrispondente art. 10 della Direttiva UE n. 24 del 2014.
[14] Cfr. Corte costituzionale n. 30/1965 e n. 75/1964, nelle quali non si esclude che i principi di proporzionalità e sufficienza stabiliti dall’art. 36, comma 1 (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa“) possano essere applicati al lavoro autonomo, con particolare riferimento alle professioni intellettuali. Per completezza occorre anche ricordare che tuttavia in numerose pronunce la Corte costituzionale non ha equiparato le due figure riguardo ad ogni profilo, così come la Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 6 novembre 2015 n. 22701 (“È sufficiente il riferimento all'insegnamento di questa Corte secondo cui il principio della retribuzione sufficiente di cui all'art. 36 Cost. riguarda esclusivamente il lavoro subordinato e non può essere invocato in tema di compenso per prestazioni lavorative autonome, ancorché rese, con carattere di continuità e coordinazione, nell'ambito di un rapporto di collaborazione“)
[15]Sulla materia è intervenuta dapprima la c.d. legge Bersani (legge n. 248 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006) che ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano l'obbligatorietà dei minimi tariffari. Il definitivo superamento del sistema tariffario è stato successivamente disposto dell'art. 9 del DL n. 1 del 2012, che ha previsto l'abrogazione definitiva delle tariffe delle professioni regolamentate (oltre ai minimi, vengono meno anche i massimi tariffari), introducendo una nuova disciplina del compenso professionale: il professionista può liberamente pattuire qualunque compenso con il cliente, purché adeguato all'importanza dell'opera. Inoltre ha previsto che, in caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, la determinazione del compenso professionale debba essere effettuata con riferimento a parametri tariffari stabiliti con decreto del ministro vigilante. Con particolare riferimento alla professione forense, la legge professionale (legge n. 247 del 2012, art. 13) ha previsto l'aggiornamento ogni 2 anni dei parametri per la liquidazione dei compensi indicati nel DM giustizia, su proposta del CNF. Al momento si fa riferimento al D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247), i cui parametri trovano applicazione: a) quando il giudice liquida le spese al termine dei giudizi; b) quando avvocato e cliente non hanno determinato il compenso in forma scritta; c) quando avvocato e cliente non hanno determinato il compenso consensualmente.
[16] Il confronto tra CNF e Antitrust si è svolto anche dinanzi all'autorità giudiziaria, in quanto con provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014 l'AGCM aveva inflitto una multa di 912 mila euro al CNF accusato di aver realizzato – per mezzo la circolare n. 22-C/2006 (con la quale il CNF aveva considerato quale illecito disciplinare la richiesta di compensi inferiori ai minimi tariffari) -“un’intesa unica e continuata, restrittiva della concorrenza, consistente nell’adozione di due decisioni volte a limitare l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato”.
[17]Il nuovo Codice deontologico forense è stato approvato il 31 gennaio 2014.
[18] La sentenza 8 dicembre 2016 (Corte di Giustizia Europea, caso C-532/15) pare non confermare l'opzione ermeneutica in base alla quale la liberalizzazione dei compensi e l'abrogazione delle tariffe minime obbligatorie sono state rese necessarie dal diritto comunitario.
[19] Così dispongono gli art. 2 della Legge n. 81/2017: “Le disposizioni del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, si applicano, in quanto compatibili, anche alle transazioni commerciali tra lavoratori autonomi e imprese, tra lavoratori autonomi e amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, o tra lavoratori autonomi, fatta salva l'applicazione di disposizioni piu' favorevoli.” e art. 3 (“1. Si considerano abusive e prive di effetto le clausole che attribuiscono al committente la facolta' di modificare unilateralmente le condizioni del contratto o, nel caso di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, di recedere da esso senza congruo preavviso nonche' le clausole mediante le quali le parti concordano termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data del ricevimento da parte del committente della fattura o della richiesta di pagamento.
2. Si considera abusivo il rifiuto del committente di stipulare il contratto in forma scritta.
3. Nelle ipotesi di cui ai commi 1 e 2 il lavoratore autonomo ha diritto al risarcimento dei danni, anche promuovendo un tentativo di conciliazione mediante gli organismi abilitati.
4. Ai rapporti contrattuali di cui al presente capo si applica, in quanto compatibile, l'articolo 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192, in materia di abuso di dipendenza economica. “).
Risposta del Dott. Matteo Barbero
Risposta del Dott. Massimo Monteverdi
Risposta del Dott. Fabio Bertuccioli
Risposta della Dott.ssa Ylenia Daniele
Risposta del Dott. Angelo Maria Savazzi
Ricevi via email i nuovi contenuti pubblicati nel portale
In collaborazione con: