Le corrette risposte dell'Ufficiale d'anagrafe
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Il tema di questa analisi è uno dei più controversi che impatta sugli operatori demografici: la gestione delle convivenze di fatto e, in particolare, dei contratti di convivenza riguardanti cittadini stranieri e il rapporto tra questi istituti e la regolarità del soggiorno. Una materia scivolosissima, oggetto di molte controversie giudiziarie e che racchiude più di un elemento di complessità: i vincoli giuridici dell’ufficiale d’anagrafe, procedure amministrative nel complesso non sempre coerenti, giudici che interpretano le norme e cittadini (ben rappresentati da agguerriti avvocati) che pretendono provvedimenti anagrafici fantasiosi.
Ricostruiamo questa intricata vicenda.
Perché – Il quadro normativo
La legge 76/2016 e le convivenze di fatto
Le convivenze di fatto, istituite dalla legge 20 maggio 2016, n. 76, hanno raccolto un quadro di diritti e responsabilità, anche nei confronti di terzi, fino ad allora tutelati solo da singole normative di settore o dai Tribunali. L’anagrafe è stata “naturalmente” individuata dal legislatore quale luogo amministrativo deputato a raccogliere le dichiarazioni dei conviventi di fatto – e dei relativi eventuali contratti – e garantirne la pubblicità.
L’articolo 1, comma 36, della legge n. 76/2016 definisce conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.
Il successivo comma 37 consente di spostarci sul piano operativo collegando l’istituto all’anagrafe: “Per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223”.
Quindi, l’appartenenza alla stessa famiglia anagrafica è un pre-requisito naturale della possibilità di registrare i conviventi di fatto. Ed è già evidente, allora, che l’essere iscritti in anagrafe ne è il presupposto di partenza. Sussistendo questa condizione, i conviventi (residenti nella stessa famiglia) possono dichiarare la volontà di essere conviventi di fatto. Fin qui, nulla di nuovo.
Prima del recente intervento di cui parleremo, il Ministero dell’Interno era intervenuto con sola circolare n. 7 del 1 giugno 2016 precisando che “l’attività degli uffici anagrafici riguarderà, quindi, l’iscrizione delle convivenze di fatto, la registrazione dell’eventuale contratto di convivenza, ed il rilascio delle relative certificazioni. L’iscrizione delle convivenze di fatto dovrà essere eseguita secondo le procedure già previste e disciplinate dall’ordinamento anagrafico ed, in particolare, dagli artt. 4 e 13, D.P.R. n. 223/1989, come espressamente richiamati dal comma 37 dell’art. 1 della legge n. 76/2016”.
Ma ancor più rilevante, per quanto si andrà a sostenere, è il seguente passaggio: "L'iscrizione delle convivenze di fatto dovrà essere eseguita secondo le procedure già previste e disciplinate dall'ordinamento anagrafico ed in particolare dagli artt. 4 e 13 DPR n. 223/1989, come espressamente richiamati dal comma 37 dell'art. 1 della legge n. 76/2016".
Come
Il contratto di convivenza: registrazione e certificazione
L'art. 1, comma 5, della L. n. 76/2016 dispone che “i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza". Dunque il contratto può essere stipulato tra i già conviventi di fatto. Il successivo comma 52 prevede che “ai fini dell'opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l'atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al Comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223”.
Il contratto di convivenza è elemento qualificante la convivenza di fatto così come disciplinata dai commi 36 e 37 della legge. Nella legge, tale contratto è chiaramente individuato come corollario eventuale (possibile, ma non necessario) della convivenza. Un ulteriore istituto che l’anagrafe dovrà registrare nelle schede anagrafiche dei conviventi di fatto, pertanto non potrà che riguardare persone residenti nella stessa famiglia che abbiano già reso la dichiarazione di conviventi di fatto, o che la rendano al momento della comunicazione del contratto (avendo però i requisiti previsti dal comma 37).
È la convivenza di fatto il presupposto per la sottoscrizione di un eventuale contratto e non il contrario. La riprova è data dal comma 59 lett. a) della legge in commento che prevede la risoluzione del contratto per accordo delle parti, senza per questo porre fine alla convivenza di fatto. Questa, infatti, viene meno nel caso di trasferimento, morte, matrimonio o costituzione di unione civile di uno dei due componenti oppure per una decisione delle parti. Il contratto è dunque solo uno strumento con il quale la coppia può eventualmente gestire al meglio le questioni patrimoniali.
In base a quanto sin qui detto, dal punto di vista dell’operatore comunale non si può che ribadire che l’istituto si fonda e si gestisce senza dubbio nell’ambito di concetti e registrazioni anagrafiche (altrimenti non ce ne occuperemmo!): è indispensabile, quindi, che chi voglia costituire la convivenza di fatto sia iscritto (o iscrivibile) in anagrafe.
Come gestire il caso
Lo straniero e il requisito della regolarità del soggiorno
Entriamo nel cuore della nostra analisi: le istanze di costituzione di convivenza di fatto – o, meglio, di registrazione di contratti di convivenza – in cui uno dei due è un cittadino straniero non residente e sprovvisto del permesso di soggiorno.
Due le strade a cui gli Ufficiali d’anagrafe hanno assistito in questi anni.
È evidente che così facendo si violerebbero i principi fondamentali che sorreggono la disciplina dell’iscrizione anagrafica dello straniero e che risiedono, in buona sostanza, nel seguente principio: è possibile iscrivere in anagrafe esclusivamente gli stranieri regolarmente soggiornanti, ai sensi dell’art. 6, comma 7, del D.Lgs. 286/1998 (Testo Unico sull’Immigrazione). Il corollario è persino più importante: non è l’Ufficiale d’anagrafe – che non ha alcuna competenza in materia di immigrazione – a stabilire chi è regolarmente soggiornante ma è l’autorità di pubblica sicurezza o, in determinati casi particolari e definiti, il Ministero dell’Interno che sovraintende alla materia.
Tale requisito, quindi, non può essere “indagato” ma deve essere – per la sua natura oggettiva – documentato: come espressamente indicato dall’art. 5, comma, 3 del decreto legge n. 5/2012 in materia di iscrizione anagrafica in tempo reale, la regolarità del soggiorno è un pre-requisito per rendere le dichiarazioni di residenza, che va pertanto verificato a monte e non può neppure essere integrato successivamente. Insomma, un netto dentro/fuori, soprattutto al momento della prima iscrizione anagrafica (più sfumato in alcuni casi particolari può essere il mantenimento dell’iscrizione).
Il primo e principale metodo per documentarlo è il possesso di un permesso di soggiorno in corso di validità, cioè entro la data di scadenza o nei 60 giorni successivi a tale data, essendo quello il termine entro cui lo straniero deve presentare istanza di rinnovo.
Vi sono, naturalmente, altre casistiche, delle quali non ci occuperemo direttamente in queste note ma che, in estrema sintesi, riguardano situazioni di attesa di rinnovo o di primo rilascio di permesso in alcune specifiche situazioni (lavoro subordinato, ricongiungimento familiare) espressamente definite dal Ministero dell’Interno con apposite circolari. Con le quali l’organo competente, avendo inquadrato una situazione di palese regolarità del soggiorno pur in assenza del titolo, ha autorizzato gli ufficiali d’anagrafe ad applicare un trattamento eccezionale, provvedendo all’iscrizione anagrafica “nelle more” del rilascio di quel titolo.
L’applicazione dell’art. 3, D.Lgs. 30/2007: possibile, ma non in anagrafe
La tesi dei legali di molti ricorrenti pone l’accento sull’applicazione dell’art. 3 della Direttiva 2004/38/CE e del D.Lgs. n. 30/2007. Tale norma, infatti, identifica il partner tra le categorie di “altri familiari” che, pur distinti dai familiari in senso stretto che godono di un diritto di soggiorno sostanzialmente automatico, disciplinato anche nelle procedure anagrafiche (art. 9 del decreto e disposizioni ministeriali collegate), dovrebbero avere anch’esse una qualche forma di “agevolazione” da parte dello Stato membro ospitante.
Secondo questo ragionamento, il contratto di convivenza tra cittadino italiano e cittadino straniero assolverebbe alla prova della stabile relazione comprovata con documentazione ufficiale di cui all'art. 3 del D.Lgs. 30/2007 richiesta al partner di cui all’art. 3.
La condizione del partner in qualità di "altro familiare" è tuttavia del tutto peculiare: lo stesso articolo ricorda infatti che l'impianto normativo del decreto si applica ai familiari di cui all'art. 2, mentre alle casistiche inserite all'art. 3 ci si limita a raccomandare che lo Stato "agevoli l'ingresso e il soggiorno", tra l'altro a seguito di "un esame approfondito della situazione personale" (comma 3).
L’agevolazione, quindi, non potrebbe che consistere con l’esame da parte dell’organo competente (la Questura) della situazione di fatto, ivi compreso l’eventuale contratto di convivenza, ma che non potrà richiedere mai e poi mai la previa iscrizione anagrafica.
Nella pratica, tuttavia, spesso le Questure non consentono di presentare la domanda di permesso in assenza di registrazione anagrafica. Va ricordato poi che, in assenza di specifiche indicazioni del Ministero dell’Interno - anche se la domanda di permesso venisse presentata, il cittadino straniero sarebbe in possesso della sola ricevuta di richiesta di permesso per motivi familiari, ben diversa dalla ricevuta di richiesta di permesso per ricongiungimento familiare oggetto di specifica deroga – contenuta nella circolare ministeriale n. 43/2007 – che consente di provvedere a iscrizione anagrafica nelle more del rilascio del titolo.
Le anagrafi, ad ogni modo, non sono certamente in grado né hanno alcuna competenza ad adottare autonomamente l’agevolazione genericamente prevista dall’art. 3, comma 2, del D.Lgs. 30/2007 disponendo un’iscrizione del partner straniero come “altro familiare” in assenza di specifiche indicazioni ministeriali. Resterebbe, nei fatti, un’iscrizione anagrafica di uno straniero sprovvisto di permesso di soggiorno.
Molti ricorsi sono arrivati davanti ai giudici i quali, in alcuni casi, hanno sancito il diritto degli stranieri a vedersi riconosciuto il legame affettivo e, quindi, all'iscrizione anagrafica e al permesso di soggiorno. I ragionamenti dei giudici si sono basati, infatti, non soltanto sul contratto di convivenza, ma sull'effettivo e documentato legame more uxorio con il cittadino italiano, inquadrabile in sostanza nell’art. 3 D.Lgs. 30/2007 e nel permesso per motivi familiari.
Ma a tale conclusione può giungere esclusivamente il giudice, grazie all'interpretazione della situazione di fatto e dei principi dell'ordinamento che spetta alla sua funzione e che non può - come si è anzidetti evidenziato - mai e poi mai spettare all'ufficiale d'anagrafe. Quest'ultimo, infatti, è chiamato ad un'attività amministrativa e per definizione vincolata, a maggior ragione nell'esame di un requisito - quale la regolarità del soggiorno - che spetta chiaramente all'autorità di PS.
L’intervento dell’Avvocatura di Stato e la circolare ministeriale
Il Ministero dell'Interno, a lungo interpellato anche da moltissimi Comuni italiani, si era sempre limitato a singole risposte (certamente poche rispetto alle richieste), è intervenuto qualche settimana fa con la circolare n. 78 del 21 settembre 2021, riportando un parere in materia dell'Avvocatura di Stato, cui si era rivolta un'Avvocatura distrettuale.
"Afferma l’Avvocatura Generale che “dalla disciplina surrichiamata, emerge come la registrazione del contratto di convivenza sia solo l’ultimo di una serie imprescindibile di atti, così riassumibili:
Pertanto, “alla registrazione del contratto di convivenza non può essere certamente riconosciuto il carattere di debita attestazione, dal momento che, a monte, manca la preliminare regolarità del soggiorno in Italia del soggetto extracomunitario, “necessaria per concludere il contratto stesso””.
Quest’ultimo, in particolare, non può essere considerato un componente della famiglia anagrafica, “in quanto privo di valido documento di soggiorno e quindi irregolare sul territorio dello Stato”.
Secondo l'Avvocatura generale il “requisito della dichiarazione anagrafica previsto dal predetto comma 37 dell’art. 1 della legge n. 76/2016, è posto dall’Ordinamento al fine di consentire la puntuale identificazione di tutti i soggetti stranieri che circolano sul territorio dello Stato, e quindi, a tutela di un interesse generale, quale quello della sicurezza e dell’ordine pubblico”».
Il Ministero, su questa base, fornisce una chiara indicazione alle anagrafi, che conferma quanto posto sin qui in evidenza. Si conferma che, in mancanza di iscrizione anagrafica del cittadino straniero non è possibile procedere alla registrazione del contratto di convivenza, onde ottenerne il riconoscimento giuridico. Di conseguenza, lo straniero deve prima essere regolarmente soggiornante ai fini dell'iscrizione anagrafica e soltanto poi registrare la sua convivenza di fatto (ed eventualmente il contratto sottoscritto).
In conclusione
Si è ristabilito, quindi, l'ordine logico e giuridico delle cose. Tutto bene? Fino ad un certo punto. È certamente vero che le anagrafi non potevano e non possono forzare il proprio chiarissimo ordinamento andando a interpretare una generica formulazione di "agevolazione" del partner, peraltro neppure estesa espressamente allo straniero né oggetto di alcuna indicazione da parte del Ministero dell'Interno, arrivando senza alcuna direttiva a iscrivere uno straniero privo del permesso di soggiorno per il solo contratto di convivenza stipulato (davanti a un notaio o avvocato che evidentemente - chissà perché - ha ritenuto di riceverlo senza verificare né la registrazione anagrafica della convivenza né la regolarità del soggiorno!).
Tuttavia è auspicabile che - al di là della necessaria fermezza contro prassi elusive della normativa in materia di immigrazione - i veri partner di cittadini italiani (o Ue) siano nelle condizioni di poter presentare la richiesta di permesso di soggiorno per motivi familiari presso le Questure competenti, che le esaminino nel merito dello stabile legame affettivo (senza richiedere l'iscrizione anagrafica quale "lasciapassare") e rilascino, in presenza dei requisiti di legge, il permesso di soggiorno in tempi umanamente accettabili. Soltanto allora, l'anagrafe garantirà l'iscrizione, come sempre, in tempo reale.
Articolo a cura della Redazione
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 marzo 2025
Agenzia delle Entrate – Circolare n. 7/E del 4 giugno 2025
ANCI – 29 maggio 2025
Corte Costituzionale – Sentenza 30 maggio 2025, n. 77 e comunicato stampa
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