Operatività delle previsioni di cui all'art. 10 bis e di cui all'art. 2, comma 7, della L. 241/1990
Risposta del Dott. Eugenio De Carlo
Risposta del Dott. Eugenio De Carlo
QuesitiI Consiglieri comunali e Assessori comunali con tessera di socio di cooperativa, e anche soci prestatori della cooperativa, possono prendere parte alla discussione e votazione di delibere di Giunta o di Consiglio dove si approva un accordo di programma tra Comune e la Cooperativa di cui sono soci con variante urbanistica che rende edificabile un terreno di proprietà della cooperativa medesima?
L’art. 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 dispone che: “gli amministratori di cui all’art. 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. L’obbligo di astensione non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministrazione o di parenti o affini fino al quarto grado”.
Il Consiglio di Stato (Sez. II, n. 5423 del 10.9.2020) ha chiarito che la suddetta disposizione si riferisce ad un principio generale di imparzialità da cui deriva, per gli Amministratori locali, l’obbligo di astensione, che deve pertanto ritenersi di carattere generale, rappresentando un corollario del principio di imparzialità, sancito dall’art. 97 Cost., di cui, assume portata generale. Sicché le ipotesi di astensione obbligatoria non sono tassative, e come tali da interpretarsi restrittivamente, ma piuttosto esemplificative di circostanze che mutuano l’attitudine a generare il dovere di astensione direttamente dal superiore principio di imparzialità, che ha carattere immediatamente e direttamente precettivo.
Costituisce chiara e coerente specificazione del suddetto principio generale la previsione di cui al comma 2 del citato art. 78, in base alla quale gli amministratori locali devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado, salvo che per i provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado. Pertanto, l’obbligo di astensione riguarda non solo la votazione, ma anche la “discussione” di delibere.
Quanto al concetto di “interesse” viziante la partecipazione alla deliberazione, questo comprende ogni situazione di conflitto o di contrasto di situazioni personali, comportante una tensione della volontà, verso una qualsiasi utilità che si possa ricavare dal contribuire all’adozione di una delibera.
Dunque, l’obbligo di astensione (ossia di discussione e di votazione) sorge in tutti i casi in cui l’amministratore locale rivesta una posizione suscettibile di determinare, anche in astratto, un conflitto di interesse (tra quello di tipo personale e quello istituzionale), a nulla rilevando che lo specifico fine privato ed egoistico sia stato o meno realizzato e che si sia prodotto o meno un concreto pregiudizio per l’ente locale.
Pertanto – ad avviso della giurisprudenza - la regola generale è che l’amministratore debba astenersi al minimo sentore di conflitto di interessi, reale o potenziale che sia, allontanandosi dalla seduta, al fine di garantire la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa.
Con specifico riferimento all’approvazione di provvedimenti normativi o di carattere generale, la giurisprudenza ha affermato più volte che il dovere di astensione degli amministratori locali costituisce principio generale che, in quanto tale, non ammette deroghe o eccezioni e ricorre ogni qualvolta sussista una correlazione diretta fra la posizione dell’amministratore e l’oggetto della deliberazione, anche se la votazione potrebbe non avere altro apprezzabile esito e la scelta fosse in concreto la più utile e la più opportuna per l’interesse pubblico (Consiglio di Stato, sez. IV, 26 maggio 2003, n. 2826; idem 4 dicembre 2003, n. 7050; idem 12 dicembre 2000, n. 6596).
Pertanto, il dovere di astensione sussiste in tutti i casi in cui gli amministratori versino in situazioni, anche potenzialmente, idonee a porre in pericolo la loro assoluta imparzialità e serenità di giudizio.
Il dovere di astensione, nella generalità dei casi, sussiste in presenza di un interesse - anche solo potenziale (purché apprezzabile) - dell'amministratore locale, indipendentemente dai vantaggi o dagli svantaggi che in concreto possano derivargliene; mentre nel caso di adozione di «provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici», sussiste solamente quando - alla stregua di una valutazione (spesso, per la verità, tutt'altro che agevole da compiersi di volta in volta - un siffatto interesse si appalesi come specifico e diretto.
Il dovere dell'amministratore di astenersi dalla deliberazione sorge per il solo fatto che egli rivesta una posizione capace di determinare, sia pure in astratto, un conflitto d'interessi, a nulla rilevando né che lo specifico fine privato sia stato realizzato, né che si sia prodotto un concreto pregiudizio per l'amministrazione (Cfr. C.d.S., sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4806; sez. IV, 28 gennaio 2011, n. 693; sez. IV, 26 maggio 2003, n. 2826; T.A.R. Liguria, sez. I, 26 maggio 2004, n. 818; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 13 febbraio 2004, n. 208.). È sufficiente, ad esempio, che l'amministratore (ovvero un suo parente o affine fino al quarto grado) risulti proprietario di aree oggetto della disciplina urbanistica deliberata (Cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 3 giugno 2005, n. 798. Diversamente, C.d.S., sez. IV, 26 gennaio 2012, n. 351: «L'obbligo di astensione dei consiglieri comunali relativamente alle delibere di approvazione del PRG, presuppone non il semplice fatto che lo stesso sia genericamente proprietario di fondi, ma la prova dell'effettivo vantaggio dal provvedimento. // In carenza della dimostrazione degli elementi fattuali a sostegno della censura ed in mancanza di alcuna prova certa vale a dire uno specifico interesse proprio, la censura è comunque infondata e deve essere respinta»).
Tale dovere, dunque, «non ammette deroghe, neppure a voler tenere conto delle specificità dei piccoli Comuni, in relazione ai quali un orientamento "realistico" della giurisprudenza di merito riconosce, al più, la possibilità di fare luogo a votazioni frazionate su singole componenti del piano, di volta in volta senza la presenza di quei consiglieri che possano astrattamente ritenersi interessati, in modo da conciliare l'obbligo di astensione con l'esigenza - improntata al rispetto del principio di democraticità - di evitare il ricorso sistematico al commissario "ad acta"» (Così T.A.R. Liguria, sez. I, 19 ottobre 2007, n. 1773. Cfr. T.A.R. Sardegna, sez. II, 6 ottobre 2008, n. 1815; T.A.R. Veneto, sez. I, 6 agosto 2003, n. 4159).
Dunque, gli amministratori, in base alle circostanze concrete, si dovranno attenere ai suddetti principi e criteri giurisprudenziali in ordine all’applicazione della disciplina in materia di doveri di astensione.
4 luglio 2022 Eugenio De Carlo
Per i clienti Halley: ricorrente QS n. 2263, sintomo n. 2336
Risposta del Dott. Eugenio De Carlo
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