Compensi dei revisori dei conti degli enti locali: non più obbligatoria la decurtazione del 10 per cento

Servizi Comunali Organi di revisione
di Catania Luciano
16 Gennaio 2018

COMPENSI DEI REVISORI DEI CONTI DEGLI ENTI LOCALI: NON PIU’ OBBLIGATORIA LA DECURTAZIONE DEL 10 PER CENTO

 

Luciano Catania

 

Soggetti a nuova revisione i conti del compenso dell’organo di controllo contabile degli enti locali. Il compenso dei revisori contabili dei comuni e delle province, a partire dal primo gennaio di quest’anno, non è più soggetto alla decurtazione del 10% prevista dall’art. 6, comma 3 del Decreto Legge n. 78/2010.

Tale decurtazione non è stata, infatti, inserita nella manovra di bilancio 2018 e non è prevista una nuova proroga del taglio.

Il Dl 78/2010 sanciva che a "decorrere dal 1° gennaio 2011 le indennità, i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità comunque denominate, corrisposti dalle pubbliche amministrazioni […] ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati ed ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo, sono automaticamente ridotte del 10 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010. ".

Sull’applicabilità della decurtazione anche al collegio dei revisori degli enti locali è dovuta intervenire la sezione Autonomie della Corti dei Conti, che ne ha sancito la legittimità (deliberazione n. 29/2015)

Il termine di vigenza della decurtazione era inizialmente fissato al 2013, ma è stato poi più volte prorogato, con l’articolo 13, comma 1, del D.L. n. 244/2016 che, da ultimo, ne aveva prolungato l’efficacia fino al 31 dicembre 2017.

Spirato quest’ultimo termine, senza ulteriore proroga, i compensi dei revisori dei conti non debbono più scontare il taglio del 10%.

L’art. 241 del TUEL fissa i limiti massimi della retribuzione dei revisori (da aggiornarsi triennalmente, mediante decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro Economia e Finanza) in ragione della classe demografica di appartenenza dell’ente locale, delle spese di funzionamento e d’investimento dello stesso ente.

Il comma 7 dello stesso articolo sancisce che l'ente locale stabilisce il compenso spettante ai revisori con la stessa delibera di nomina, unico momento individuato dalla normativa vigente per intervenire sulla retribuzione dei professionisti.

I compensi deliberati fino al 31 dicembre 2017 sono assoggettati alle vecchie disposizioni e le deliberazioni che prevedono compensi decurtati del 10% continuano a trovare applicazione, anche dopo il venir meno del vincolo pubblicistico.

I revisori dei conti solo in un caso potrebbero chiedere l’adeguamento del compenso: qualora il Consiglio comunale (o provinciale) abbia deliberato il compenso massimo e successivamente su tale somma sia stata applicata la decurtazione, in forza del disposto legislativo.

Solo per questa fattispecie i professionisti potrebbero chiedere la corresponsione dell’importo deliberato e, quindi, recuperare dal primo gennaio 2018 la decurtazione.

Il venir meno del vincolo pubblicistico, però, non impedisce agli organi consiliari di continuare a deliberare un compenso decurtato del 10% (o in una diversa percentuale).

Quello che viene meno è solo l’obbligo di farlo, potendosi oggi deliberare il compenso massimo scevro da decurtazione.

Resta in capo al Consiglio, però, optare per compensi inferiori, non sussistendo nell’ordinamento alcun limite minimo al compenso, come recentemente affermato dalla sezione Autonomie della Corte dei conti (deliberazione n. 16/SEZAUT/2017/QMIG del 13 giugno 2017).

La sezione Autonomie, pur riconoscendo come le funzioni dell’organo di revisione richiedano un’elevata professionalità ed impongano garanzie d’imparzialità e indipendenza, ha negato l’esistenza nell’ordinamento di un limite minimo al compenso dei revisori dei conti degli enti locali ed ha escluso che detto limite minimo potesse essere ricostruito dalla giurisprudenza.

Secondo la sezione Autonomie, infatti, l’individuazione di limiti minimi del compenso dei componenti dell’organo di revisione degli enti locali non compete alla magistratura contabile nell’esercizio della funzione consultiva di cui all’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, ma spetta esclusivamente al legislatore.

La questione era stata affrontata da diverse sezioni regionali della Corte dei Conti, con orientamenti differenti.

Secondo la sezione controllo della Corte dei Conti della Lombardia (deliberazione n. 103/2017/QMIG), la retribuzione di ciascun componente dell’organo di revisione oltre ad incontrare un limite massimo, doveva conoscere un margine al ribasso, individuato nel compenso massimo previsto per i comuni della fascia demografica immediatamente inferiore, secondo la griglia definita dal DM 20 maggio 2005.

Mentre la sezione regionale di controllo della Corte dei Conti per la Liguria (deliberazione n. 95/2016/PAR), aveva rilevato come dovesse, comunque, tenersi conto di quanto stabilito dall’art. 2233, comma 2, del codice civile, con la misura del compenso sempre adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione. 

La Sezione di controllo per la Regione siciliana (deliberazione n. 272 del 9 ottobre 2015) aveva, al contrario, riconosciuto la discrezionalità dell’ente nello stabilire l’ammontare del corrispettivo (pur nel rispetto del limite massimo e degli altri criteri stabiliti dalla legge) ed aveva escluso la possibilità di un sindacato esterno sulla congruità del compenso basata sulla presunta esistenza di un limite minimo.

Per la sezione Autonomie, però, la natura il rapporto che viene ad instaurarsi tra il revisore e la Pubblica Amministrazione è privatistica e convenzionale.

Nemmeno la scelta tramite sorteggio incide sull’assetto civilistico del rapporto, trovando la propria ratio nella necessità di garantire la professionalità e indipendenza dei prescelti nell’esercizio delle rilevanti funzioni del controllo.

Secondo la sezione Autonomie, i limiti minimi del compenso dei revisori non possono essere determinati per altra via che non sia quella normativa.

“L’interprete – scrivono i magistrati - non può sostituirsi al legislatore al fine di colmare lacune dell’ordinamento, ma deve privilegiare interpretazioni aderenti al tenore letterale e alla ratio delle norme individuando la natura dei rapporti che soggiacciono ad esse ed evitando soluzioni ermeneutiche derogatorie o additive”.

La parola torna, quindi, al legislatore che da anni si disinteressa della questione.

15 gennaio 2018

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