l diritto di accesso dei consiglieri comunali: la previsione normativa e la ratio legis
L’art. 43, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), nel disciplinare le prerogative dei consiglieri comunali, dispone che “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge.”
Lo spazio di accesso dei consiglieri comunali, come noto, è alquanto ampio, ben maggiore di quello riservato dall’ordinamento ai cittadini ai sensi dell’art. 10 del TUEL, dalla legge n. 241/1990 e dal d.lgs. n. 33/2013, in ragione del munus (potere) pubblico di cui sono investiti per effetto della loro democratica elezione da parte del corpo elettorale ed in relazione alle prerogative d’indirizzo e di controllo che individualmente e collegialmente dispongono ai sensi del TUEL.
Come più volte sostenuto dalla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi (in particolare, Plenum del 2.2.2010 e del 23.2.2010 e parere del 5.10.2010), il "diritto di accesso" ed il "diritto di informazione" dei consiglieri comunali nei confronti della P.A. trovano la loro disciplina specifica nell'art. 43 del d.lgs. n. 267/00 che riconosce ai consiglieri comunali e provinciali il "diritto di ottenere dagli uffici, ... del comune, nonché dalle ... aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato".
La ratio della norma che riconosce ai consiglieri comunali la più ampia ed esaustiva conoscenza di tutte le notizie relative all’organizzazione amministrativa è infatti quella di favorire lo svolgimento del loro mandato rappresentativo della collettività con metodo democratico, mediante la verifica ed il controllo dell’attività degli organi dell’ente locale; per tale ragione è sufficiente che la conoscenza dei dati, delle informazioni e dei documenti sia utile all’espletamento del mandato rappresentativo, senza che sia richiesta anche la sussistenza di uno specifico nesso funzionale tra tale conoscenza e l’esercizio del mandato.
Come sopra accennato, tale maggiore ampiezza di legittimazione è riconosciuta in ragione del particolare munus espletato dal consigliere comunale, affinché questi possa valutare con piena cognizione di causa la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, onde potere esprimere un giudizio consapevole sulle questioni di competenza della stessa amministrazione, opportunamente considerando il ruolo di garanzia democratica e la funzione pubblicistica da questi esercitata (a maggior ragione, per ovvie considerazioni, qualora il consigliere comunale appartenga alla minoranza, istituzionalmente deputata allo svolgimento di compiti di controllo e verifica dell'operato della maggioranza).
Conseguentemente, gli uffici comunali non hanno il potere di sindacare il nesso intercorrente tra l'oggetto delle richieste di informazioni avanzate da un consigliere comunale e le modalità di esercizio del potere da questi espletato.
Il contenuto del diritto di accesso de quo
Come precisato dal Consiglio di Stato, “… il particolare diritto di accesso del consigliere non è illimitato, vista la sua potenziale pervasività e la capacità di interferenza con altri interessi primariamente tutelati” (Consiglio di Stato, Sez. V, 3 febbraio 2022, n. 769).
Deve, dunque, precisarsi che “non appare sufficiente rivestire la carica di consigliere per essere legittimati sic et simpliciter all’accesso, ma occorre dare atto che l’istanza muova da un’effettiva esigenza collegata all’esame di questioni proprie dell’assemblea consiliare. Del resto, la finalizzazione dell'accesso ai documenti in relazione all'espletamento del mandato costituisce il presupposto legittimante ma anche il limite dello stesso, configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del consigliere” (Consiglio di Stato, V, 2 gennaio 2019, n. 12).
I limiti derivanti da condotte emulative ed ostruzionistiche
Secondo la giurisprudenza richiamata anche nei vari pareri del Ministero dell’Interno (cfr. fra le molte, la sentenza n. 393/2020 del T.A.R. per il Veneto), "il riconoscimento da parte dell'articolo 43 del d.lgs. 18 agosto 2000 n.267 (Testo Unico sugli Enti Locali) di una particolare forma di accesso costituita dall'accesso del consigliere comunale per l'esercizio del mandato di cui è attributario, non può portare allo stravolgimento dei principi generali in materia di accesso ai documenti e non può comportare che, attraverso uno strumento dettato dal legislatore per il corretto svolgimento dei rapporti cittadino-pubblica amministrazione, il primo, servendosi del baluardo del mandato politico, ponga in essere strategie ostruzionistiche o di paralisi dell'attività amministrativa con istanze che a causa della loro continuità e numerosità determinino un aggravio notevole del lavoro negli uffici ai quali sono rivolte e determinino un sindacato generale sull'attività dell'amministrazione oramai vietato dall'art.24, comma 3, della L. n.241 del 1990" (… sentenza Consiglio di Stato, sez. IV, 12 febbraio 2013, n.846)”.
Alla stregua di questo indirizzo, quindi, sono da ritenere non coerenti con il mandato dei consiglieri comunali richieste di accesso che, per il numero degli atti richiesti e per l'ampiezza della loro formulazione, si traducano in un eccessivo e minuzioso controllo dei singoli atti in possesso degli Uffici, in quanto siffatte richieste "... si configurano come forme di controllo specifico, non già inerente alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo" demandate dalla legge ai consigli comunali (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 28 novembre 2006, n.6960).
La regola del ragionevole bilanciamento propria dei rapporti tra diritti fondamentali
Come osservato dal Consiglio di Stato (Sez. V, sentenza 11 marzo 2021, n.2089), "il diritto di accesso del consigliere comunale è sottoposto alla regola del ragionevole bilanciamento propria dei rapporti tra diritti fondamentali”, atteso che se da un lato è vero che il diritto di accesso di un consigliere comunale è più ampio, ai sensi dell'art. 43, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000, per il proprio mandato politico-amministrativo, rispetto all'accesso agli atti amministrativi previsto dall'art. 7 della legge n. 241/1990, "è altrettanto vero che tale estensione non implica che esso possa sempre e comunque esercitarsi con pregiudizio di altri interessi riconosciuti dall'ordinamento meritevoli di tutela, e dunque possa sottrarsi al necessario bilanciamento con quest'ultimi".
Questo non solo perché ad esso si contrappongono diritti egualmente tutelati dall'ordinamento, ma anche per il limite funzionale intrinseco cui il diritto d'accesso, espresso dall'art. 43, comma 2 del d.lgs. n. 267 del 2000, è sottoposto con il richiamo alle notizie ed alle informazioni che possono essere richieste all'ente locale se si rivelino utili all'espletamento del proprio mandato.
Anche il T.A.R. Lazio (sez. I, sentenza del 3 febbraio 2023 n. 49) ha ribadito che "il diritto di accesso come concepito dal legislatore deve incontrare comunque un equilibrato rapporto in grado di garantire anche l'efficacia e l'efficienza dell'operato dell'amministrazione locale; tale diritto, quindi, deve essere verificato al fine di un suo esercizio che sia in concreto efficace sia per il consigliere sia per l'amministrazione comunale e non sia meramente emulativo …".
In base al citato orientamento, dunque, il consigliere comunale non può presentare istanze di accesso generalizzato ed indiscriminato a tutti i dati di un determinato settore dell'amministrazione, ma deve presentare istanze sproporzionate rispetto alle esigenze conoscitive sottese alla "ratio" della norma di cui all'art. 43 del TUEL.
D’altra parte, sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che, diversamente opinando, sarebbe introdotta una sorta di controllo dell'ente, attraverso i propri uffici, sull'esercizio delle funzioni del consigliere comunale (Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 2007, n.929; 9 dicembre 2004, n. 7900).
La problematica del bilanciamento tra diritto di accesso del consigliere comunale e tutela della riservatezza dei dati personali
Recentemente, il Ministero dell’Interno, affrontando il tema del diritto di accesso rispetto alla richiesta di un consigliere comunale di conoscere l’elenco di cittadini morosi verso l’Ente circa le esposizioni contributive TARI, ACQUA, IMU, ecc.., ha affermato che il rispetto del bilanciamento tra la riservatezza dei dati ed il diritto d'accesso dei consiglieri agli atti comunali si può raggiungere attraverso l'ostensione degli stessi, previa "mascheratura" dei nominativi e di ciò che li individua (Parere n. 25717 del 21.09.2023).
All’anzidetta conclusione il Ministero giunge affermando che “Il rapporto sinergico fra il diritto di accesso ed il diritto alla privacy rappresenta interessi e diritti di primario e pari rango che, in quanto tali, sono meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico.”
Infatti, secondo la giurisprudenza richiamata nel citato parere, la riservatezza non è opponibile ai consiglieri comunali, in quanto gli stessi sono tenuti al segreto d'ufficio ai sensi dell'art. 43, comma 2, TUEL (cfr., ad es, sentenza TAR Lazio-Latina, 3 marzo 2023, n.49), pur sottolineandosi l'importanza di un "equilibrato bilanciamento" tra la posizione del consigliere a poter esercitare pienamente e pressoché incondizionatamente il proprio mandato e la riservatezza dei terzi, i cui nominativi potrebbero formare oggetto di ostensione.
In questo senso, il rispetto di un equilibrato bilanciamento si può utilmente raggiungere con la predetta soluzione, non essendo, invece, legittimo che l'amministrazione comunale si limiti a fornire documenti di sintesi e dati aggregati in quanto tale forma di comunicazione non darebbe al consigliere la possibilità di effettuare una verifica effettiva sulla gestione dell'attività dell'ente.
Anche il Garante della protezione dei dati personali, nei propri pareri condivide la suddetta posizione giurisprudenziali, ritenendo che nel caso in cui la richiesta di accesso riguardi documentazione contenente dati personali, laddove dalla circolazione delle informazioni richieste dal consigliere possa derivare un grave pregiudizio per la vita privata e la dignità degli interessati, il diritto di accesso dei consiglieri potrebbe, essere validamente soddisfatto consentendo l’accesso alle sole informazioni che risultano indispensabili per lo svolgimento del mandato, fornendo, ad esempio, dati resi anonimi o aggregati (cfr. provv. del Garante 25 luglio 2013, doc. web n. 2604062).
Tuttavia, detta modalità di bilanciamento richiederà, come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa e dai pareri sopra citati, che l’Amministrazione, tramite i competenti uffici, valuti che la richiesta dei consiglieri sia comunque legata da quel nesso di strumentalità necessaria con le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, non rientrando tra i compiti dei consiglieri quello “di sostituirsi al singolo interessato né [quello di effettuare] un riesame di legittimità di singoli provvedimenti”, posto che la comunicazione di dati personali, in tali casi, oltre a non rivestire un’utilità concreta ed aggiuntiva, comporterebbe un inutile sacrificio del diritto alla riservatezza degli interessati, con possibile violazione della normativa in materia di protezione dei dati personali (Cons. Stato, Sez. V, 11 febbraio 2021, n. 2089).
Il rapporto con i terzi eventualmente controinteressati
Posto che al consigliere comunale non può essere legittimamente opposto un diniego sull’istanza di accesso motivato con riferimento alla esigenza di assicurare la riservatezza dei dati contenuti nei documenti richiesti e dunque il diritto alla privacy di soggetti terzi, in quanto, con riguardo all’esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali, tale esigenza è salvaguardata dall’art. 43, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 267 del 2000, che impone ad essi il segreto ove accedano ad atti che incidono sulla sfera giuridica e soggettiva di terzi, per cui va escluso che “il diritto di accesso del consigliere comunale [comporti] i vincoli e le limitazioni previsti dalla disciplina generale di cui alla legge n. 241 del 1990 (ed in particolare quelli relativi alla riservatezza dei terzi)”, con conseguente inconfigurabilità, sul piano processuale, di una posizione di controinteresse in capo al soggetto titolare dell’interesse alla riservatezza” (Cons. Stato, sez. V, 11 dicembre 2013, n. 5931).
Gli obblighi di segretezza e di utilizzo vincolato alle finalità di mandato incombenti sul consigliere comunale
Superato il vaglio di ammissibilità di cui si è detto ed effettuato il bilanciamento tra i contrapposti interessi, anche ricorrendo alla tecnica della “mascheratura” dell’ostensione dei dai personali, restano in capo al consigliere comunale istante sia l’obbligo di rispettare, in ogni caso, il segreto “nei casi specificamente determinati dalla legge” (di cui all’art. 43 TUEL), sia il divieto di divulgazione dei dati personali previsti dal Codice sulla protezione dei dati personali d.lgs. n. 196/2003, conseguendo, altrimenti, la responsabilità dei medesimi per l’eventuale utilizzo improprio delle informazioni, non solo sul piano penale della rivelazione di segreti d’ufficio ex art. 326 c.p., ma anche sul piano della disciplina in materia di protezione dei dati personali, in quanto i dati personali eventualmente acquisiti dal consigliere possono essere utilizzati per le sole finalità realmente pertinenti al mandato (v. al riguardo, Provv. Garante 28 febbraio 2008, doc. web n. 39348; Provv. 29 maggio 2008, doc. web n. 1531687; Provv. n. 161 del 18 maggio 2012, doc. web n. 1912477).
Al consigliere, dunque, è fatto divieto di divulgare tali dati se non ricorrono le condizioni di cui al d.lgs. n. 196/2003 e nella ipotesi di eventuale violazione di tale obbligo di riservatezza si configura una responsabilità personale dello stesso.
Articolo di Eugenio De Carlo