La premessa è che il c.d. “scavalco di eccedenza”, ai sensi dell’art. 1, c. 557, L. n. 311/2004, permette a un lavoratore a tempo pieno di svolgere un massimo di ulteriori 12 ore settimanali di lavoro in un altro ente.
Tale facoltà è soggetta esclusivamente all’autorizzazione dell’ente di appartenenza, il quale non deve accordarsi con l’ente di destinazione.
Quest’ultimo, infatti, procede autonomamente a stipulare con il lavoratore un separato contratto di lavoro a tempo determinato che ne regola tutti gli aspetti giuridici ed economici.
Ora, ai sensi dell’art. 29, c. 1, CCNL 16.11.2022:
“1. L’orario ordinario di lavoro è di 36 ore settimanali ed è funzionale all’orario di servizio e di apertura al pubblico. Ai sensi di quanto disposto dalle disposizioni legislative vigenti, l’orario di lavoro è articolato su cinque giorni, fatte salve le esigenze dei servizi da erogarsi con carattere di continuità, che richiedono orari continuativi o prestazioni per tutti i giorni della settimana o che presentino particolari esigenze di collegamento con le strutture di altri uffici pubblici."
Il personale a tempo pieno, cioè, può distribuire il proprio orario di lavoro su cinque o, eccezionalmente, su sei giorni alla settimana.
Si deve perciò escludere che sia legittimo un orario di lavoro che distribuisca le 36 ore su quattro giorni a settimana (dal martedì al venerdì), come ipotizzato nel quesito.
Ciò, in realtà, dovrebbe impedire che l’ente di appartenenza conceda la prescritta autorizzazione allo scavalco di eccedenza.
Ne segue che, se il contratto ex c. 557 prevede un impegno lavorativo di 9 ore settimanali, questo deve essere compatibile con l’orario di lavoro nell’ente di appartenenza, ammettendo cioè una distribuzione delle 9 ore che non interferisca con quella prevista dal contratto a tempo indeterminato.
12 febbraio 2024 Massimo Monteverdi
Per i clienti Halley: ricorrente QP n. 6962, sintomo n. 7062