Riforma fiscale avviata dalla legge delega: quale impatto sugli enti locali?

Analisi dei contenuti presenti nei Dlgs. 30 dicembre 2023, n. 219 e Dlgs. 30 dicembre 2023, n. 220

Servizi Comunali Contenzioso tributario Entrate tributarie Interpello
di Barbero Matteo
21 Febbraio 2024

 

Il quadro generale
La legge delega fissa all’art. 14 i “Principi e criteri direttivi per la revisione del sistema fiscale dei comuni, delle città metropolitane e delle province”, di fatto riproponendo un tema, quello del c.d. federalismo fiscale, che dopo la sovraesposizione mediatica degli anni fra il 2009 ed il 2011 (quando venne definito “la madre di tutte le riforme” con conseguente impegno a “raddrizzare l’albero storto” della finanza locale), era passato nel dimenticatoio.  Di quel periodo intenso di lavori e studi (con tanto di commissioni di esperti, dossier e convegni) rimane ben poco: la legge n. 42/2009 (anch’essa una delega al governo ma più focalizzata sul ridisegno delle relazioni finanziarie fra Stato ed enti territoriali) è rimasta perlopiù lettera morta e dei relativi decreti legislativi di fatto rimane pienamente in vigore solo il n. 118/2011, ovvero quello sull’armonizzazione contabile (che non a caso accentra anziché decentrare). Tutto il resto è stato travolto dagli eventi successivi, che hanno ancora una volta dimostrato come la tendenza del nostro sistema di finanza pubblica sia, specialmente nei momenti di crisi, centripeta e non centrifuga. 

La nuova delega fiscale ora prova, come detto, a rilanciare la questione, perlopiù attraverso un richiamo diretto agli stessi principi e criteri direttivi della legge n. 42 (si veda in particolare l’art. 2), oltre che mediante quelli riportati nel citato art. 14. Questi ultimi lasciano ampi spazi al legislatore delegato, che potrà, fra l’altro, “razionalizzare e riordinare i singoli tributi locali, con particolare riferimento ai soggetti passivi, alla base imponibile, al numero delle aliquote, alle esenzioni e alle agevolazioni fiscali, salvaguardandone la manovrabilità a garanzia del mantenimento della dimensione complessiva dei gettiti e degli equilibri di bilancio”. Nulla si dice sul come farlo, ad esempio non vi è alcun riferimento alla possibilità di tassare l’abitazione principale (che invece era espressamente esclusa nella legge n. 42 con evidenti criticità dal punto di vista del principio del beneficio) ed è anche scomparso il richiamo (contenuto nel disegno di legge iniziale presentato dal Governo) di riportare ai comuni il gettito degli immobili destinati a uso produttivo appartenenti al gruppo catastale D (attualmente spettante allo Stato fino a concorrenza dell’aliquota base).

Analogamente, su province e città metropolitane la delega evidenzia correttamente la necessità di ripensare in toto un sistema oggi insostenibile in quanto basato sul gettito di tributi collegati al trasporto su gomma su cui si è sovrapposto il meccanismo di “concorso alla finanza pubblica” previsto a valle della legge Delrio. Ma anche qui le indicazioni al legislatore delegato sono scarne: in entrambi i casi si prevede “un tributo proprio destinato ad assicurare l'esercizio delle funzioni fondamentali, con adeguata manovrabilità e una compartecipazione a un tributo erariale di carattere generale, anche in sostituzione di tributi attualmente esistenti”.  

Rimane sullo sfondo anche il tema della fiscalizzazione dei trasferimenti erariali, obiettivo qualificante della legge n. 42 e ripreso solo per sommi capi dalla delega laddove (art. 14, comma 1, lett. c) si indica la necessità di “assicurare la piena attuazione del federalismo fiscale, attraverso il potenziamento dell’autonomia finanziaria, garantendo tributi propri, compartecipazioni a tributi erariali e meccanismi di perequazione, in grado di assicurare l’integrale finanziamento delle funzioni fondamentali”.
Positivo, invece, a parere di chi scrive lo sforzo di attribuire agli enti locali la facoltà di prevedere direttamente, in virtù dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa di cui all’articolo 119 della Costituzione, tipologie di definizione agevolata, anche sotto forma di adesione a quelle introdotte per le entrate erariali, in materia di entrate di spettanza degli enti locali, attraverso l’esercizio della potestà regolamentare”. Anche qui è quasi una delega in bianco, per cui dovremo attendere i prossimi decreti legislativi per capire la portata della novità.  

I primi decreti attuativi
I primi due decreti attuativi della riforma (dlgs 219/2023 e 220/2023) hanno una portata generale, riguardando rispettivamente la modifica dello Statuto del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212) e il contenzioso tributario. Tuttavia, è evidente che essi interessano anche gli enti locali.
In particolare, il novellato art. 1 dello Statuto dispone, al comma 3, che gli enti regolano la materia secondo i (nuovi) principi stabiliti dalla legge. Il successivo comma 3-bis prevede che le nuove disposizioni valgano come principi per gli enti locali, che adeguano gli ordinamenti. Infine, il comma 3-ter precisa che gli enti locali non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate dalle disposizioni di cui al comma 3-bis.

In questo quadro, ogni ente è chiamato ad una attenta verifica dei propri regolamenti, in particolare per quanto riguarda le norme su contraddittorio, tutela dell’affidamento, ne bis in idem, proporzionalità e autotutela. Ad esempio, il nuovo art. 6-bis stabilisce che tutti gli atti autonomamente impugnabili dinnanzi agli organi della giustizia tributaria devono essere preceduti obbligatoriamente da un contraddittorio con il contribuente che sia informato ed effettivo. Restano esclusi, in base al comma 2, gli atti automatizzati, quelli sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni, nonché i casi in cui vi sia un fondato pericolo per la riscossione. È evidente che tali previsioni andranno recepite adattandole alle peculiarità dei tributi locali, che non saranno inclusi nell'emanando decreto attuativo del ministero dell’economia e delle finanze. Il rischio è che ciò possa comportare un rallentamento dell’attività accertativa e un appesantimento degli adempimenti a carico degli uffici tributari. Analoghe considerazioni valgono per la disciplina dell’autotutela, sia obbligatoria (art. 10-quater) che facoltativa (art. 10-quinquies), mentre sembra essere venuto meno l’obbligo di disciplinare l’interpello. 

L’Ifel sostiene, correttamente, che ogni ente possa adottare un unico regolamento di attuazione dei principi generali dettati dallo Statuto, oppure procedere all’inserimento delle disposizioni nel regolamento generale delle entrate. Qualunque sia la scelta, si ritiene che il regolamento non soggiaccia al termine ultimo previsto per l’approvazione dei bilanci comunali, trattandosi di disposizioni che sono tecnicamente di recepimento di norme legislative, peraltro non riguardanti la disciplina dei tributi, ma di natura essenzialmente procedurale. D’altro canto, sia l’originario art. 1, comma 4, della L. 212/2000, sia l’art. 12 del dlgs. 156/2015 assegnavano agli enti locali il termine di sei mesi per adeguare il proprio ordinamento, confermando, quindi, che gli atti normativi comunali di attuazione non erano soggetti ai termini di approvazione delle delibere tributarie. Inoltre, va evidenziato che con le precedenti disposizioni l’obbligo di adeguamento riguardava sia lo statuto comunale che gli atti normativi, mentre oggi la disposizione fa riferimento all’ordinamento, sicché sarà sufficiente il recepimento dei nuovi principi in un regolamento comunale. Infine, Ifel chiarisce che nelle more dell’adeguamento dell’ordinamento comunale, o in assenza di aggiornamento dello stesso, i principi generali disciplinati dallo Statuto rimangono comunque direttamente applicabili, sebbene il mancato adattamento di detti principi alla particolare disciplina dei tributi comunali, da realizzarsi con il regolamento comunale, potrebbe essere fonte di contrasto interpretativo e contenzioso.

Conclusioni
C’è diffusa preoccupazione per i rischi di appesantimento procedurale e anche di aumento dei costi di gestione innescati dalla riforma, che impongono una rivisitazione complessiva dei processi fin qui adottati nel senso del più deciso orientamento dell’azione di controllo fiscale all’incremento dell’adesione spontanea alla riscossione, sia nella fase delle scadenze di pagamento ordinarie sia nel corso del processo di accertamento, valorizzando gli obblighi di maggior tutela del contribuenti che promanano dalle nuove norme dello Statuto del contribuente in termini di miglioramento del rapporto tributario e di maggiore tasso di riscossione precedente all’avvio della fase coattiva o del contenzioso. Al contempo, anche sulla base degli ulteriori interventi attuativi della delega fiscale attesi per le prossime settimane, in particolare quelli riguardanti i tributi locali, la riscossione e l’accertamento, è quanto mai necessario assicurare una efficace traduzione attuativa dei criteri di rafforzamento delle capacità di controllo e di snellimento degli strumenti di supporto alla riscossione coattiva, la cui funzione deterrente è altrettanto essenziale per pervenire ad un assetto della gestione della riscossione più incisivo e aderente alle esigenze della fiscalità locale.


Articolo di Matteo Barbero


--> Per approfondire l'argomento si rimanda all'articolo Le prime novità della riforma fiscale: le modifiche allo statuto del contribuente del Dottor Luigi D'Aprano

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