Mancata attribuzione del codice fiscale a cittadino extracomunitario che presenta richiesta di iscrizione anagrafica
Risposta della Dott.ssa Liliana Palmieri
Risposta del Dott. Andrea Antognoni
QuesitiIn questo comune è ubicato un istituto penitenziario e la direttrice ha richiesto l'iscrizione anagrafica di un detenuto extracomunitario senza permesso di soggiorno. Mi è stata inviata la copia del modulo di prima identificazione con foto e mi è stato comunicato che il detenuto non ha precedente iscrizione anagrafica ma è un senza fissa dimora. Si chiede se sia possibile procedere.
Trattasi di tematica assai discussa e controversa. Il parere di chi scrive è positivo, per le ragioni che si andranno di seguito a indicare.
Sulla questione è intervenuto a fine 2022 un illuminante parere, il Garante per i detenuti, che si è rivolto ai Ministeri competenti (Giustizia e Interno) e alle direzioni degli istituti di pena (chiamati a rendere le dichiarazioni di residenza in convivenza ai sensi dell’art. 5 del DPR 223/1989). Nel parere si fa riferimento al "consolidato principio in base al quale il provvedimento del giudice penale di applicazione della misura privativa della libertà contenga in sé stesso l'autorizzazione a permanente sul territorio italiano" nonostante il quale a causa della "situazione generalizzata" della mancata iscrizione anagrafica "i cittadini stranieri ristretti privi di permesso di soggiorno rimangono senza identità anagrafica, invisibili ai Comuni nei cui territori si trovano costretti anche per anni a dimorare".
Il Garante evidenzia "l'impatto determinante sui diritti fondamentali delle persone straniere interessate che private dello status di residenti vengono espropriate del diritto di essere viste e considerate come persone con una propria dignità sociale”, richiamando non a caso i principi ben descritti dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2020. “Sconosciute al nucleo sociale di fattuale appartenenza e prossimità, rischiano di sprofondare in una dimensione di minorità e isolamento, senza possibilità di vedersi riconoscere prestazioni assistenziali indispensabili in presenza di determinate fragilità e, più in generale, di accedere a misure non detentive e attivare percorsi di vita esterni una volta riacquistata la libertà personale".
Secondo il Garante si tratta di una questione di "illegittimità sostanziale", "in netto contrasto con le regole generali in materia di convivenze anagrafiche e con la disciplina specifica introdotta dall'art. 45 del nuovo regolamento penitenziario con il decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 123".
L’articolo 11, lett. r) n. 2 del Decreto legislativo n. 123/2018 di riforma dell’ordinamento penitenziario, ha introdotto il quarto comma all’articolo 45 della legge n. 354/1975, così formulato: “Ai fini della realizzazione degli obiettivi indicati dall'articolo 3, commi 2 e 3, della legge 8 novembre 2000, n. 328, il detenuto o l'internato privo di residenza anagrafica è iscritto, su segnalazione del direttore, nei registri della popolazione residente del comune dove è ubicata la struttura. Al condannato è richiesto di optare tra il mantenimento della precedente residenza anagrafica e quella presso la struttura ove è detenuto o internato. L'opzione può essere in ogni tempo modificata”.
Si tratta, a parere di chi scrive, di un’ulteriore conferma dell’assoluto e indiscutibile diritto-dovere all’iscrizione anagrafica del detenuto, che tuttavia vista la sua particolare condizione, può godere di un margine di flessibilità più ampio rispetto alla valutazione del Comune competente, potendo anche scegliere di non trasferire la residenza presso la convivenza anagrafica dell’istituto di detenzione.
Il Garante evidenzia che la nuova norma "ha riconosciuto a favore del detenuto e dell'internato privi di residenza anagrafica il diritto all'iscrizione, su segnalazione del direttore, nei registri della popolazione residente del Comune ove è ubicata la struttura", considerando anche la Relazione illustrativa del decreto che motiva la disposizione con la necessità di garantire l'accesso a "tutte le prestazioni sociali a competenza territoriale e ad alcune importanti prestazioni socio-sanitarie".
Non garantire il diritto alla residenza, quindi, va contro tutti questi principi tutelati anche costituzionalmente. Il Garante evidenzia anche un altro aspetto: il fatto che l'art. 6 c . 7 del Testo unico sull'Immigrazione, in cui si fa riferimento a iscrizioni e variazioni anagrafiche, non specifica la tipologia di titolo e, quindi, escludere gli stranieri detenuti sprovvisti del permesso porterebbe a un'applicazione del diritto alla residenza "non conforme allo spirito della norma" nonché "una violazione del divieto di discriminazione censurabile in sede giudiziaria" e "in contrasto con i principi fondamentali della Carta Costituzionale".
Questo, in fondo, era anche il primo orientamento del Ministero dell’Interno: nel 2000 una nota del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, ripresa da una Circolare del Ministero dell’Interno del 2005, sosteneva che il provvedimento giudiziario di detenzione era comprensivo dell’autorizzazione a soggiornare sul territorio nazionale, escludendo quindi, la necessità di ottenere tale titolo.
“Riguardo alla posizione di soggiorno dei cittadini stranieri detenuti ammessi alle misure alternative previste dalla legge, quali la possibilità di svolgere attività lavorativa all’esterno del carcere si rappresenta che la normativa vigente non prevede il rilascio di un permesso di soggiorno ad hoc per detti soggetti. In queste circostanze non si reputa possibile rilasciare un permesso di soggiorno per motivi di giustizia né ad altro titolo, ben potendo l’ordinanza del Magistrato di sorveglianza costituire ex sé un’autorizzazione a permanere sul territorio nazionale. (Ministero dell’Interno - Dipartimento della P.S. Circ. del 2-12-2000 n. 300.c2000/706/P/12.229.39/1^ div.).
Come noto, tale circolare fu sconfessata in seguito da alcuni “pareri” formulati da alcuni funzionari dello stesso Ministero in risposta ad alcuni quesiti dal 2010 in avanti secondo cui, invece, anche lo straniero detenuto (ovviamente con condanna definitiva) avrebbe dovuto essere munito del permesso di soggiorno ai fini dell’iscrizione presso il carcere. Pareri che ebbero ampio risalto in dottrina, dimenticando la precedente circolare.
Chi scrive è pienamente d'accordo con le osservazioni del Garante e con il precedente, chiarissimo, orientamento del Ministero dell'Interno divulgato in modo certamente più rituale ancorché non diretto a tutti i Comuni, purtroppo. Ciò sia per motivi di pura ragionevolezza (che dovrebbe sempre guidare l'azione amministrativa) sia perché di rango più elevato rispetto a semplici pareri. Anche dal punto di vista logico, è inspiegabile come si possa ritenere non autorizzato un soggiorno obbligato: anche senza permesso di soggiorno, il titolo che ne dimostra la condizione di regolarmente soggiornante (unica verifica a cui è chiamato l'ufficiale d'anagrafe) potrebbe e dovrebbe essere il provvedimento di condanna o la sola attestazione dell'istituto di pena che certifica la detenzione.
6 Maggio 2024 Andrea Antognoni
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