Come identificare l'erede del contribuente deceduto?

Ecco in sintesi una breve guida tra i principi fondamentali della nozione di erede nel codice civile

Servizi Comunali Anagrafe triburataria Entrate tributarie
di Martini Lorella
19 Giugno 2024

 

Tra le difficoltà con cui si scontrano nell’operato quotidiano gli uffici tributi dei Comuni, va senza dubbio menzionata la gestione dell’attività accertativa in ipotesi di decesso del contribuente.
Prima ancora dei dubbi sulla corretta intestazione degli avvisi di accertamento e sulle modalità della loro notifica, il problema che gli operatori del settore si trovano ad affrontare è l’individuazione dell’erede del contribuente deceduto. La questione è fuor di dubbio intricata in primo luogo perchè la sua risoluzione presuppone la conoscenza delle norme del Codice Civile che disciplinano il diritto delle successioni.
Quindi, perché anche conoscendo i predetti fondamentali giuridici, quella delle successioni è una materia oggettivamente complessa in quanto connotata da una certa insuperabile incertezza dei rapporti giuridici

L’apertura della successione e la delazione 
A seguito del decesso del contribuente si apre la successione.
Quest’ultima potrà esplicarsi secondo le norme di legge ovvero secondo le disposizioni contenute nel testamento, nei limiti in cui rispettino le norme del Codice Civile in materia di successione.

Con l’apertura della successione inizia una fase che possiamo definire “intermedia” o “di limbo”, che prende il nome di delazione. In questa fase non abbiamo ancora degli eredi ma dei semplici successori o delati.
I successori, siano essi legittimari o testamentari, assumono la qualifica di chiamati all’eredità ovvero acquistano il diritto di accettare l’eredità.
Finchè non vi è accettazione si rimane quindi nella fase della delazione, durante la quale comunque tutti i soggetti chiamati hanno l’obbligo di gestire a soli fini conservativi il patrimonio del de cuius.

L’accettazione dell'eredità
E’ solo con l’accettazione che il successore diventa erede in senso proprio.
E’ importante ricordare che l’accettazione ha efficacia retroattiva, ovvero, a prescindere dal momento in cui essa venga esercitata, produce i suoi effetti sin dal momento dell’apertura della successione.

Se già la predetta retroattività può complicare la gestione degli accertamenti a seguito del decesso del contribuente, a rendere ancora più difficile l’operato degli uffici è il termine previsto dall’ordinamento entro cui il delato può legittimamente accettare l’eredità.
L’art. 480 c.c. fissa tale termine in ben 10 anni con decorrenza dall’apertura della successione, anche per i chiamati ulteriori (salvo che non vi sia stata prima accettazione dei precedenti chiamati poi venuta meno), ovvero dall’avveramento della condizione qualora prevista in testamento ovvero dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione.

E’ immediatamente intuibile come un termine tanto lungo crei una notevole incertezza nei rapporti giuridici e come tale precarietà necessiti di un contrappeso adeguato.
Da qui l’actio interrogatoria disciplinata dall’art. 481 c.c.. La norma riconosce ai soggetti interessati la facoltà di chiedere al Giudice la fissazione di un termine breve entro il quale il delato manifesti la sua accettazione o rinuncia.
Soggetti interessati saranno ovviamente i chiamati ulteriori, i legatari, i creditori dell’eredità (tra cui i Comuni per le imposte di competenza maturate in vita dal de cuius e da questi non versate ovvero per quelle relative agli immobili caduti in successione e maturate durante la fase della delazione), i creditori personali del primo chiamato, l’esecutore testamentario e il curatore dell’eredità giacente.

Onde evitare un incremento dell’incertezza dei rapporti giuridici, il Legislatore ha disposto che l’accettazione sia irrevocabile e che possa essere impugnata esclusivamente per violenza e dolo (art. 482 c.c.).
Ricordiamo infine che il chiamato all’eredità, se è nel possesso dei beni, è tenuto a fare e completare l’inventario nel termine di 3 mesi dall’apertura della successione. Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato completato, il chiamato sarà considerato erede puro e semplice (art. 485 c.c.).

L’accettazione tacita 
Un ulteriore aspetto che contribuisce alla complessità della questione è la modalità con cui l’eredità può essere accettata.
Se l’accettazione espressa, ovvero quella formalizzata in un atto pubblico davanti ad un Notaio o presso le Cancellerie dei Tribunali ma anche in una scrittura privata, non è foriera di complicazioni, tutt’altro deve dirsi per l’accettazione tacita dell’eredità.

Come indicato dall’art. 476 c.c., l’accettazione tacita è quella che avviene per atti concludenti ovvero attraverso il compimento di atti giuridici che vengono qualificati come sinonimo di accettazione. Deve ovviamente trattarsi di atti che hanno “un qualcosa in più” rispetto agli atti conservativi e di vigilanza che sono richiesti ai successori anche nella fase della delazione.

Il Codice Civile ha tipizzato due ipotesi di accettazione tacita, ovvero la donazione/vendita/cessione dei diritti di successione da parte del chiamato a terzi o ad altri chiamati (art. 477 c.c.) ovvero la rinunzia a fronte di un corrispettivo o solo a favore di alcuni altri chiamati (art. 478 c.c.).
Tale individuazione non è certo tassativa, per cui la qualificazione di un atto giuridico come accettazione tacita è rimessa all’interpretazione dell’operatore.

La giurisprudenza tende a rinvenire un’accettazione tacita di eredità nella concessione in locazione dell’immobile caduto in successione ovvero nella riscossione dei canoni locativi.
Quanto al pagamento dei debiti del de cuius si opera un distinguo: se il pagamento avviene con denaro prelevato dall’asse ereditario allora si tratterebbe di accettazione tacita; diversamente, se il pagamento avviene con denaro personale del successore ci si troverebbe davanti semplicemente al pagamento di un terzo.

Un’ulteriore fattispecie interpretata da certa giurisprudenza come accettazione tacita è quella della voltura catastale, sebbene altra giurisprudenza non riconosca alle risultanze catastali valore probatorio e certificativo quanto alla qualifica di erede.

A prescindere dalle fattispecie che di volta in volta la giurisprudenza riconduce all’istituto dell’accettazione tacita, è fondamentale ricordare che i presupposti necessari perché questa sia configurabile sono due. Infatti, non è sufficiente solo un comportamento giuridicamente rilevante ma è anche necessaria la consapevolezza nel soggetto esecutore della propria delazione. Rimane invece assolutamente irrilevante la volontà, in capo al soggetto che tale atto ha posto in essere, di accettare l’eredità.

L’accettazione con beneficio d'inventario
E’ frequente sentire dire che l’accettazione dell’eredità è incondizionata: l’erede, cioè, subentra nella titolarità dell’asse ereditario e dei rapporti ad esso inerenti, senza poter escludere alcuna posizione.

E’ però vero che l’ordinamento ha predisposto uno strumento che permette al successore di accettare l’eredità limitando la proprio responsabilità. 
L’art. 484 c.c. prevede e disciplina l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario.
Se con l’accettazione pura e semplice il patrimonio del de cuius e quello dell’erede si fondono, in ipotesi di accettazione con beneficio d’inventario i due patrimoni rimangono distinti e l’erede è chiamato a rispondere dei debiti del defunto nei limiti dell’attivo ereditato. Qualora siano presenti più successori, l’accettazione beneficiata esercitata da uno solo vale per tutti, fermo restando il diritto successivo ad accettare semplicemente senza beneficio.

Attesa l’evidente finalità protettiva intrinseca all’istituto, è comprensibile come soggetti identificati come “meritevoli di tutela”, ovvero minori (anche se emancipati), interdetti, inabilitati, associazioni, fondazioni, enti non riconosciuti, siano obbligati per legge ad accettare con beneficio d’inventario.

Per evitare ulteriori complicazioni in una materia già tutt’altro che semplice, il Legislatore ha opportunamente previsto che l’accettazione con beneficio d’inventario possa essere solo espressa, ricevuta da un Notaio ovvero dal Cancelliere del Tribunale, per poi essere inserita nel Registro delle successioni.

Il termine per accettare con beneficio d’inventario è comprensibilmente più breve di quello ordinario, ovvero 40 giorni dalla redazione dell’inventario che deve essere completato entro 3 mesi dall’apertura della successione.

L’erede beneficiato è tenuto a liquidare i beni ereditati per poi pagare creditori e legatari ed infine redigere un rendiconto finale. 
Qualora intenda compiere atti dispositivi su beni immobili, deve preliminarmente munirsi di apposita autorizzazione giudiziaria.

L’erede beneficiato è responsabile della gestione dell’asse ereditario. 
Benchè la sua responsabilità sia limitata alla colpa grave, la complessità e il tecnicismo insiti nella liquidazione del patrimonio ereditato giustificano la possibilità per l’erede beneficiato di chiedere al Tribunale la nomina di un curatore che gestisca la liquidazione al posto suo. 

E’ possibile decadere dal beneficio dell’inventario al ricorrere di circostanze che facciano considerare l’erede non meritevole di tale istituto “protettivo”; vale a dire: 

  • qualora l’erede abbia disposto dei beni ereditati senza le autorizzazioni previste per legge, 
  • qualora abbia omesso in mala fede nell’inventario l’indicazione di beni, 
  • qualora abbia indicato in mala fede nell’inventario passività inesistenti.

L’eredità giacente
Ma cosa succede se dopo l’apertura della successione nessuno dei delati abbia accettato l’eredità né sia in possesso dei beni ereditari?
Il nostro ordinamento prevede all’art. 528 c.c. un procedimento giudiziario volto alla nomina di un curatore di quella che viene definita “eredità giacente”. In tale ipotesi eventuali atti di accertamento per imposte maturate dal de cuius dovranno essere intestati all’eredità giacente e notificati, inevitabilmente, al curatore.

La caratteristica fondamentale dell’eredità giacente è pertanto l’incertezza circa la accettazione dei chiamati.
Tant’è che l’eredità giacente si chiude nelle seguenti ipotesi:

  • esaurimento dell’attivo ereditario, considerato che in tal caso non residuano più beni per il curatore da conservare e amministrare;
  • accettazione – espressa o tacita - dell’eredità da parte di uno dei chiamati;
  • prescrizione del diritto di accettare, una volta decorsi 10 anni dall’apertura della successione, ovvero rinuncia da parte dei successibili e contestuale decorrenza del termine per revocare la rinuncia (ovvero finchè il diritto ad accettare non è prescritto, sempre che l’eredità non sia stata già accettata da altri – art. 525 c.c.) ovvero decadenza dal diritto di accettare (ad esempio per indegnità ex art. 463 c.c.): in tali ipotesi l’eredità si devolve allo Stato.

L’eredità vacante 
Da non confondersi con l’eredità giacente, è l’istituto della cd. eredità vacante.
Questo si configura in mancanza di chiamati all’eredità, sia legittimi sia testamentari, ovvero qualora i chiamati all’eredità non possano accettare perché il diritto è prescritto o vi hanno rinunziato ovvero siano decaduti per indegnità.

Rispetto all’eredità giacente caratterizzata dalla incertezza circa la presenza di possibili futuri eredi, l’eredità vacante si caratterizza per l’accertata mancanza di eredi.
In tale ipotesi il patrimonio viene acquisito dallo Stato

Analogamente a quanto accade per l’accettazione con beneficio d’inventario, lo Stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquisiti e per la relativa soddisfazione procede alla liquidazione dell’eredità nell’interesse di creditori e legatari.


Articolo di Lorella Martini


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