Comando temporaneo per sostituzione dipendente in maternità

Risposta del Dott. Luigi Oliveri

Quesiti
di Oliveri Luigi
22 Giugno 2024

Un dipendente è stato assegnato in comando temporaneo, 6 ore settimanali, presso un altro Comune, per sostituire una dipendente in maternità. Si chiede se tale procedura è corretta.

Risposta

La prassi del “comando parziale” è da considerarsi scorretta ed illegittima. Il comando è regolato dall’articolo 30, comma 2-sexies, del D.Lgs 165/2001 e, in parte, dall’articolo 19, comma 1, del Ccnl 22.1.2004.

L’articolo 30, comma 2-sexies dispone: “Le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, risultanti dai documenti di programmazione previsti all’articolo 6, possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia, nonché il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme e dal presente decreto”.

Tale previsione stabilisce, quindi, che le amministrazioni pubbliche possono soddisfare, per una durata complessiva limitata, i fabbisogni di personale determinati col piano triennale previsto dall’articolo 6 del d.lgs 165/2001, avvalendosi dell’attività lavorativa di personale dipendente da altre amministrazioni, invece di assumere nuovo personale.

Tale disposizione non contiene un esplicito divieto del comando “parziale”. Ma, l’evidente scopo della norma è consentire la copertura integrale del fabbisogno pianificato mediante il comando, che è uno strumento di copertura completa della posizione lavorativa mancante, alternativo al concorso.

In sostanza, il comando è pensato per coprire una vacanza d’organico senza incrementare l’organico stesso, ma semplicemente spostando un dipendente da un’amministrazione, che può consentirsi di privarsene temporaneamente, verso altro ufficio in situazioni di carenza organica.

Il comando non è ovviamente mobilità volontaria, perché non cagiona il definitivo trasferimento del dipendente dall’ente di provenienza a quello di destinazione, ma l’adibizione del dipendente comandato al rapporto di servizio presso l’ente comandatario per un periodo massimo di tre anni (il comando, tuttavia, potrebbe costituire presupposto per la successiva mobilità definitiva).

Sul rapporto tra comando e assunzioni, il legislatore è recentemente intervenuto allo scopo di mettere un freno ai comandi ad usum delfini. Il d.l. 36/2022, con l’articolo 6, comma 1, ha novellato l’articolo 30 del D.Lgs 165/2001 introducendo il comma 1-quinquies, ai sensi del quale “per il personale non dirigenziale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, delle autorità amministrative indipendenti e dei soggetti di cui all’articolo 70, comma 4, i comandi o distacchi sono consentiti esclusivamente nel limite del 25 per cento dei posti non coperti all’esito delle procedure di mobilità di cui al presente articolo. La disposizione di cui al primo periodo non si applica ai comandi o distacchi obbligatori, previsti da disposizioni di legge, ivi inclusi quelli relativi agli uffici di diretta collaborazione, nonché a quelli relativi alla partecipazione ad organi, comunque denominati, istituiti da disposizioni legislative o regolamentari che prevedono la partecipazione di personale di amministrazioni diverse, nonché ai comandi presso le sedi territoriali dei ministeri, o presso le Unioni di comuni per i Comuni che ne fanno parte”.

Tale norma mette in stretta relazione comandi e mobilità, esattamente perché sono diretti alla copertura integrale di un fabbisogno.

La prassi del comando “parziale” va in evidente contrasto con la ratio complessiva del sistema. L’illegittimità del comando parziale è confermata non solo dall’inesistenza di una norma tipica (che, stando al principio di legalità, è assolutamente necessaria) che lo preveda, ma è sottolineata dalla simmetrica presenza di una norma tipica pensata esattamente allo scopo di permettere, in particolare agli enti locali, di fruire parzialmente dell’attività lavorativa di un dipendente, che, mantenendo il rapporto di servizio presso l’ente di appartenenza, distribuisca il rapporto organico tra due enti: lo scavalco, di cui all’articolo 1, comma 124, della legge 145/2018: “Al fine di soddisfare la migliore realizzazione dei servizi istituzionali e di conseguire una economica gestione delle risorse, gli enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri enti cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto funzioni locali per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo, mediante convenzione e previo assenso dell’ente di appartenenza. La convenzione definisce, tra l’altro, il tempo di lavoro in assegnazione, nel rispetto del vincolo dell’orario settimanale d’obbligo, la ripartizione degli oneri finanziari e tutti gli altri aspetti utili per regolare il corretto utilizzo del lavoratore. Si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 14 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto delle regioni e delle autonomie locali del 22 gennaio 2004”. Tale norma è nella sostanza ripetuta dall’articolo 23 del Ccnl 16.11.2022.

Nel caso dello scavalco, il dipendente resta alle dipendenze dirette dell’ente assegnante: istituti come ferie, permessi, assenze, cessione del quinto e ogni altro sono pertinenza sola ed esclusiva dell’ente di appartenenza. Nel caso del comando, invece, una parte fondamentale della regolazione del rapporto (che formalmente resta in capo all’ente comandante) va al comandatario, che assume, per esempio, la titolarità della gestione delle ferie e delle assenze dal lavoro.

L’esistenza della disciplina dello scavalco, che risponde esattamente ai fini della prassi del comando parziale evidenzia l’illegittimità del secondo.

21 giugno 2024              Luigi Oliveri

 

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