Manifestazioni pubbliche all’aperto e limiti alle immissioni rumorose

Anche i Comuni soggiacciono ai vincoli di “normale tollerabilità” previsti dalla legge

Servizi Comunali Amministrazioni pubbliche Attività commerciali Polizia amministrativa
di Cipriani Simonetta
12 Luglio 2024

Soprattutto nella stagione estiva le realtà del territorio incrementano la proposta di eventi per rendere appetibile e favorire il turismo locale.
Una pronuncia della Cassazione del 9 luglio 2024 (sez. III ord. n. 18676/2024) ha affrontato una questione relativa proprio al bilanciamento tra l’interesse pubblico alla realizzazione di manifestazioni e il diritto del privato a godere della quiete, della propria vita familiare e della proprietà. 
L’oggetto della contesa era relativo all’allestimento da parte di un Comune di un palco nella piazza cittadina per lo svolgimento di spettacoli che si protraevano fino a tarda notte, a causa dei quali alcuni abitanti lamentavano il verificarsi di “rumori che superavano la normale tollerabilità e che rendevano difficile il soggiorno pregiudicando il godimento dell'appartamento che […] avevano destinato a loro residenza estiva.”
Si tratta di una materia che trova la sua disciplina nell’articolo 844 del Codice civile, che sancisce l’impossibilità di impedire immissioni altrui (una sorta di principio di tolleranza per i vicini tra i fondi) salvo nel caso in cui i rumori superino la “normale tollerabilità”, rimettendo all'autorità giudiziaria di contemperare le esigenze di produzione di tali “immissioni” con le ragioni della proprietà. S’intende per queste ultime il diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria casa di abitazione, tutelato anche dall'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti umani, e alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita (v. Cass. 21649/2021). 
La norma citata non specifica la soglia di tollerabilità consentita per le “immissioni rumorose”. Solo con il DPCM 14/11/97 sono stati introdotti dei parametri. All’art. 4 si prevede che i valori limite di immissione sono: 5 dB per il periodo diurno e  3 dB per il periodo notturno, all'interno degli ambienti  abitativi e che ogni effetto del  rumore è  da ritenersi trascurabile: a) se il rumore misurato a finestre aperte sia inferiore a 50 dB(A) durante il periodo diurno (tra le ore 6 e le 22) e 40 dB(A) durante il periodo notturno; b) se il livello del rumore ambientale misurato a finestre chiuse sia inferiore a 35 dB(A) durante il periodo diurno e 25 dB(A) durante il periodo notturno. 
Le immissioni intollerabili possono essere quindi fonte di risarcimento del danno. E i predetti abitanti del comune in questione avevano agito in primo grado proprio per ottenere tale risarcimento. Gli fu riconosciuto dal Tribunale, che liquidava 1.000 euro ciascuno a ristoro del pregiudizio subito. Il Giudice di prime cure si era avvalso di una consulenza tecnica d’ufficio, che aveva dichiarato il superamento della soglia consentita. 
In appello la Corte rigettava l’impugnazione del Comune mentre accoglieva l’appello incidentale ritenendo che il risarcimento dovesse essere integrale perché l'immobile diventava per i ricorrenti di fatto inutilizzabile, quindi non andava limitato ai soli giorni di effettivo probabile utilizzo dell'immobile. Per questo rideterminava la somma liquidata in primo grado in 3.000 euro ciascuno.
In Cassazione l’ente contestava che il CTU avesse basato il proprio riscontro su misurazioni basate sul DPCM del 1997 che però era relativo invece alle attività produttive e non poteva applicarsi alle manifestazioni culturali, quali erano quelle che il comune organizzava in quella piazza. Al contrario, il consulente avrebbe dovuto tener conto del regolamento comunale delle attività rumorose, che il consiglio aveva adottato nel 2004 e che consentiva per le ipotesi di manifestazioni e spettacoli all'aperto di arrivare fino al limite di 70 decibel.
La seconda censura riguardava la liquidazione del danno, perché ritenuto erroneamente sussistente e perché liquidato equitativamente.
La Suprema Corte ha ritenuto che i limiti posti dai singoli regolamenti comunali sono puramente indicativi, “in quanto anche immissioni che rientrino in quei limiti possono considerarsi intollerabili nella situazione concreta, posto che la tollerabilità è, per l'appunto, da valutarsi tenendo conto dei luoghi, degli orari, delle caratteristiche della zona e delle abitudini degli abitanti (Cass. 28201/ 2018), che è ciò che il consulente ha fatto.” Inoltre, richiamava una sua precedente pronuncia (Cass. 14209/2023) secondo cui, in un caso analogo, “anche un ente pubblico è soggetto all'obbligo di non provocare immissioni rumorose ed "è responsabile dei danni conseguenti alla lesione dei diritti soggettivi dei privati, cagionata da immissioni provenienti da aree pubbliche, potendo conseguentemente essere condannata al risarcimento del danno […] dal momento che tali domande non investono - di per sé - atti autoritativi e discrezionali, bensì un'attività materiale soggetta al richiamato principio del "neminem laedere".”
La Corte di legittimità ha poi rigettato la contestazione della prova e della stima del danno, perché avanzata “senza indicare quali criteri legali siano stati in concreto violati ed in che termini lo siano stati.”
Inoltre ha ritenuto inammissibile il secondo motivo per omesso esame di un fatto decisivo e controverso non avendo il giudice di appello tenuto in alcuna considerazione l'interesse pubblico allo svolgimento di tali manifestazioni come deroga al limite di tollerabilità delle emissioni.
Ebbene la Suprema Corte ha ritenuto che la questione fosse stata oggetto di esame dal giudice di appello e che la valutazione sulla prevalenza dell'interesse pubblico all’evento o del privato a non subire immissioni oltre la soglia di tolleranza fosse riservata al giudice di merito e non sottoponibile in cassazione.
Avv. Simonetta Cipriani

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