Prova di efficienza fisica per concorso agenti di polizia locale
Risposta del Dott. Massimo Monteverdi
Riflessi sulla disciplina sanzionatoria
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Riferimenti normativi
Le acque reflue domestiche, ai sensi dell’articolo 74, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 152/2006, sono le acque provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche.
In contrapposizione alle precedenti, ai sensi dell’articolo 74, comma 1, lett. h), le acque reflue industriali sono costituite da qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento.
La definizione di acque reflue domestiche, oltre al riferimento al metabolismo umano, si incentra sul tipo di attività di provenienza di tali scarichi, ossia le “attività domestiche”: locuzione che è chiaramente riferita alla convivenza e coabitazioni di persone, ma in un ambito strettamente e necessariamente solo familiare.
Allo stesso modo, la definizione di “acque reflue industriali” è incentrata sulla provenienza, dovendo dette acque essere “scaricate da edifici o impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni”, purché, ovviamente, siano diverse dalle “reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”. Di conseguenza deve ritenersi che quello della provenienza sia il criterio cardine per individuare, in prima battuta, il discrimine, all’interno delle acque reflue, tra quelle “domestiche” e quelle “industriali”.
Questa interpretazione, che appare la più rispettosa del dato normativo e letterale, trova conferma nell’evoluzione legislativa.
La primigenia versione dell’articolo 74, comma 1, lett. h), forniva la seguente definizione di acque reflue industriali: “qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”.
La cancellazione sia dell'avverbio "qualitativamente”, sia della specificazione che faceva confluire le acque meteoriche nella nozione di acque reflue industriali, in base a una loro caratteristica qualitativa - ovvero che fossero "venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento" - conforta la conclusione qui patrocinata, proprio perché il novum normativo ha comportato l’eliminazione di due elementi, che erano entrambi volti a caratterizzare le acque industriali in base alla qualità del refluo.
Tanto premesso, deve pertanto escludersi che le acque reflue provenienti da una clinica specialistica siano da ricondurre, in prima battuta, nella categoria delle “acque reflue domestiche”, tali essendo, secondo la definizione fornita dall’art. 74, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 152 del 2006, le “acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche”.
Riferimenti giurisprudenziali
La Corte di cassazione, Sez. III, 16 maggio 2024, n. 19391, in adesione a pregressa giurisprudenza, ha evidenziato che ai fini della configurabilità del reato di cui all'articolo 137, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, rientrano nella nozione di acque reflue industriali quelle provenienti da un centro di emodialisi, trattandosi di acque derivanti da un'attività terapeutica caratterizzata dall'impiego di sostanze estranee al metabolismo umano ed alle attività domestiche (Sez. 3, n. 35850 del 10/05/2016, Tramontana, Rv. 267946).
Allo stesso modo, ha ribadito che i reflui provenienti dai reparti e relativi laboratori di un presidio ospedaliero non possono definirsi come provenienti da insediamento civile, o ad esso equiparabile, poiché non può affermarsi che tale scarico sia assimilabile a quelli provenienti da insediamenti abitativi. La qualificazione di insediamento produttivo, ai fini della normativa in esame, non può essere collegata solo ad attività di produzione di beni in senso stretto, ma deve essere affermata in relazione ad ogni attività economica, pur se rivolta a prestazione di servizi, quando lo scarico non sia assimilabile a quello proveniente da un normale insediamento abitativo.
La medesima è, quindi, pervenuta alla seguente conclusione, richiamando anche in questo caso un precedente arresto: le acque reflue in questione non possono considerarsi "domestiche", in quanto esse non sono derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche (Sez. 3, Sentenza n. 3433 del 17/11/1999, Barbieri, dep. 2000, Rv. 216443).
Nello stesso senso, si collocano alcune decisioni, le quali hanno ravvisato il reato previsto dall'articolo 137, d.lgs. n. 152/2006, l'immissione in pubblica fognatura, senza la prescritta autorizzazione, delle acque reflue provenienti dai laboratori odontotecnici, che possono essere equiparate alle acque reflue domestiche solo a condizione che rispettino i parametri indicati dall'art. 2 del d.P.R. 19 ottobre 2011, n. 227 (Sez. 3, Sentenza n. 29416 del 03/05/2013, Rustioni, Rv. 256378; in senso conforme, Sez. 3, n. 35137 del 18/06/2009, Tonelli, Rv. 244587).
Né può soccorrere la previsione dell’articolo 101, comma 7, d.lgs. n. 152/2006, il quale contempla una serie tassativa di acque reflue che, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche, tra cui, alla lett. e), quelle “aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale”.
Nel caso esaminato dalla Corte di cassazione, Sez. III, 16 maggio 2024, n. 19391, sulla base degli accertamenti effettuati dall’A.R.P.A., è stata appurata l’insussistenza di tale equivalenza qualitativa, data anche la circostanza che si trattava di liquidi provenienti da 117 bagni di pazienti affetti da varie patologie e che assumevano diversi tipi di farmaci.
Neppure ha potuto trovare applicazione la disciplina prevista dal d.P.R. n. 227/2011, il quale prevede l’assimilazione alle acque reflue domestiche dei reflui prodotti dalle piccole e medie imprese, ove siano rispettati dei parametri indicati dall'articolo 2, essendo altrimenti applicabili gli articoli 74 e 101, d.lgs. 152/2006.
L'articolo 1 del citato d.P.R. ne individua l'ambito di applicazione, richiedendo la sussistenza di due presupposti:
L’articolo 2 precisa, inoltre, che, in assenza di disciplina regionale e fermo restando quanto previsto dall’articolo 101, comma 7, lett. e), d.lgs. n. 152/2006, trovano applicazione i criteri di assimilazione di cui al precedente comma 1, il quale prevede che, fermo restando quanto previsto dall'articolo 101 dall'allegato 5 alla parte terza del d.lgs. n. 152/2006, sono assimilate alle acque reflue domestiche:
Nel caso qui in esame non risultano essere stati accertati i requisiti dinanzi indicati, tanto che nemmeno il ricorrente ha allegato la sussistenza dei presupposti previsto dal citato d.P.R. n. 227 del 2001.
Per un verso, sono mancati presupposti per la riconducibilità delle acque in esame tra quelle “reflue domestiche”, stante la loro provenienza da un insediamento produttivo; per altro verso, sulla base di un accertamento di natura fattuale attestante il superamento di taluni limiti, è stata esclusa la assimilabilità dei reflui alle acque domestiche ai sensi dell’articolo 101, co. 7, lett. e), d.lgs. n. 152/2006.
Su queste basi – come ancora evidenziato dalla Corte di cassazione, Sez. III, 16 maggio 2024, n. 19391 - correttamente il Tribunale di Cassino era pervenuto all’affermazione della penale responsabilità degli imputati, in relazione al reato di cui all’articolo 137, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, perché, in cooperazione colposa tra loro, entrambi nella qualità di legali rappresentanti della clinica specialistica, avevano effettuato uno scarico di acque reflue autorizzate nella rete fognaria adibita ai soli scarichi domestici, in assenza della prescritta autorizzazione.
Di qui, l’enunciazione del seguente principio di diritto:
«Rientrano nella nozione di acque reflue industriali quelle provenienti da una struttura sanitaria in quanto non riconducibili nella definizione di "acque reflue domestiche", la quale oltre al riferimento al metabolismo umano, si incentra sul tipo di attività di provenienza di tali scarichi, ossia le "attività domestiche": locuzione che è chiaramente riferita alla convivenza e coabitazioni di persone, ma in un ambito strettamente e necessariamente solo familiare, come, del resto, corroborato dall'etimologia dell'aggettivo che descrive le attività "domestiche", appunto».
La disciplina autorizzatoria per gli scarichi delle acque provenienti dalle strutture sanitarie
L'autorizzazione unica ambientale (A.U.A.) è il provvedimento istituito dal d.P.R. 13 marzo 2013, n. 59, rilasciato su istanza di parte, che incorpora in un unico titolo diverse autorizzazioni ambientali previste dalla normativa di settore.
Il citato d.P.R. individua un nucleo base di sette autorizzazioni che possono essere assorbite dall'A.U.A., alle quali si aggiungono gli altri permessi eventualmente individuati da fonti normative di Regioni e Province autonome.
Il regolamento prevede in un unico provvedimento autorizzativo, l'autorizzazione unica ambientale, l’accorpamento dei seguenti titoli abilitativi:
L’A.U.A. è obbligatoria se si tratta di attività soggetta ad almeno una delle seguenti autorizzazioni:
L’A.U.A. è facoltativa se si tratta di attività soggette:
Nella seconda ipotesi, le imprese (facoltate) possono optare, per il regolare svolgimento dell’attività di che trattasi, tra l’A.U.A. e il titolo abilitativo richiesto dalla specifica normativa di settore.
Il regolamento individua la Provincia — salvo diverse indicazioni previste dalle normative regionali — quale Autorità competente al rilascio, rinnovo e aggiornamento dell'A.U.A., ribadendo il ruolo del Suap, quale unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva, ai sensi del d.P.R. n. 160/2010. La Provincia assume le funzioni di Autorità competente, con responsabilità sui contenuti dell'autorizzazione, assicurando anche una funzione di coordinamento tra le diverse competenze di settore interne cui fanno capo le specifiche attività istruttorie sulle singole componenti dell'A.U.A. (Ufficio d'ambito per gli scarichi in fognatura, Uffici acque per gli scarichi in corpo idrico, ecc.). L'A.U.A., come disciplinata dal d.P.R. n. 59/2013, costituisce il titolo abilitativo per gli scarichi idrici, anche per quelli provenienti dalle strutture sanitarie e dalle cliniche specialistiche.
La disciplina sanzionatoria nel caso di omessa tenuta dell’autorizzazione unica ambientale
Il d.P.R. 13 marzo 2013 n. 59, “Regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale e la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale”, non prevede disposizioni sanzionatorie.
Talune ingiustificate perplessità sono sorte per l’assenza - sia nel decreto-legge n. 5/2012, sia nel d.P.R. n. 59/2013 - di apposite sanzioni penali e amministrative relative alle ipotesi in cui l’attività dell’impianto venga svolta senza rispettare le disposizioni del Regolamento o in loro aperta violazione.
Fino ad eventuale diversa disposizione nazionale, devono continuare a valere le normative settoriali, ritenendosi pertanto pacificamente applicabili le sanzioni previste dalle norme che a vario titolo disciplinano i titoli abilitativi sostituiti dall'A.U.A.
Dirimente ai fini sanzionatori, amministrativi o penali, per la omessa Autorizzazione Unica Ambientale (A.U.A.), nel caso di scarichi idrici, è la natura giuridica dell’acqua reflua prodotta. Se quest’ultima assume la connotazione di acqua reflua industriale, ai sensi dell’articolo 74, comma 1, lett. h) del d.lgs. n. 152/2006, la condotta violata assume sempre un rilievo penale, ai sensi dell’articolo 137, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006.
Se trattasi, invece, di acqua reflua domestica, ai sensi dell’articolo 74, comma 1, lett. g), del d.lgs. n. 152/2006, ovvero di acqua reflua urbana, ai sensi dell’articolo 74, comma 1, lett. i) del d.lgs. n. 152/2006, la condotta violata assume un rilievo tutto amministrativo, ai sensi dell’articolo 133, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006.
Nel caso di specie, dato che i reflui provenienti dalle strutture sanitarie e dalle cliniche specialistiche assumono inevitabilmente lo status giuridico di acque reflue industriali, in mancanza dell’Autorizzazione Unica Ambientale sarà configurato il reato di cui all’articolo 137, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006, per cui:
«Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell'articolo 29-quattuordecies, comma 1, chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da 1.500 euro a 10.000 euro».
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