Indebito arricchimento

Cassazione Civile, Sezione I - Ordinanza 22 marzo 2018, n. 7158

Servizi Comunali Anticorruzione
di Alberici Debora
03 Aprile 2018

MASSIMA

 

Al professionista va pagato l'indebito arricchimento se la Pa non dimostra di aver rifiutato l'opera e i servizi resi. Si deve infatti considerare ormai superato il requisito dell'utilitas con la conseguenza che il giudice è tenuto a valutare solo l'assenza di giustificazione dello spostamento di ricchezza e di altre azioni esperibili.

 

ARTICOLO

 

Al professionista va pagato l’indebito arricchimento se la Pa non prova di aver rifiutato l’opera e i servizi resi

Caduto il requisito dell’«utilitas», il giudice deve valutare solo l’assenza di giustificazione dello spostamento di ricchezza e di altre azioni esperibili

 

Al professionista va pagato l’indebito arricchimento se la Pa non dimostra di aver rifiutato l’opera e i servizi resi. Si deve infatti considerare ormai superato il requisito dell’utilitas con la conseguenza che il giudice è tenuto a valutare solo l’assenza di giustificazione dello spostamento di ricchezza e di altre azioni esperibili. Lo ha affermato la prima sezione civile della Cassazione con l’ordinanza 7158/18 del 22 marzo che ha accolto il ricorso di un professionista che aveva predisposto i progetti di ricostruzione dopo il terremoto del 1980. La Corte d’appello ha respinto la domanda dell’uomo che ha quindi presentato ricorso in Cassazione. Di fronte ai giudici di legittimità il professionista ha contestato la pronuncia nella parte in cui ha ritenuto inapplicabile l’articolo 2041 Cc per asserita insussistenza di un vantaggio patrimoniale dell’ente locale da intendersi, esclusivamente, come acquisto di un bene o di una somma di denaro o, se si tratti di un pubblico servizio, di un miglioramento dello stesso oppure del mantenimento della sua qualità con una spesa minore.

La Suprema corte, nell’accogliere la domanda, ha affermato che dopo l’intervento delle sezioni unite il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce più requisito dell’azione, con la conseguenza che chi agisce in base all’articolo 2041 Cc, ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo invece solo eccepire e provare che l’arricchimento non è stato voluto o consapevole e che si è trattato quindi di “arricchimento imposto”.

Ne consegue ha proseguito il collegio di legittimità che deve quindi ritenersi che «è ormai stato espunto dal campo di indagine del giudice di merito l’accertamento di quel quid pluris, individuato, dai precedenti orientamenti interpretativi, nella valutazione di utilità dell’opera».

Al pari di quanto avviene nei rapporti tra privati, dunque, l’unica prova che l’attore deve offrire a fondamento della sua domanda di indennizzo concerne l’impoverimento e l’arricchimento, oltre che l’assenza di giustificazione dello spostamento di ricchezza e di altre azioni esperibili a tutela del diritto. Neppure vi è spazio, quindi, per un gradimento implicito perché altrimenti si riconoscerebbe all’amministrazione una posizione di vantaggio che è priva di base normativa.

In definitiva, ha concluso la Cassazione, la volontà pubblica è confinata al solo ambito probatorio, modificandosene, però, l’oggetto e l’onere: l’azione per ingiustificato arricchimento dovrà essere accolta tutte le volte in cui il privato dimostri l’esistenza del proprio impoverimento e della locupletazione dell’ente, a prescindere dall’esistenza di un gradimento implicito o esplicito da parte della Pa; dovrà, invece, essere rigettata ove l’ente convenuto dimostri di aver rifiutato o di non aver potuto rifiutare, a causa dell’imposizione del privato, l’opera conseguente all’apporto professionale.

La prova, quindi, non concerne più la valutazione di utilitas bensì il giudizio contrario dell’amministrazione e, dunque, trattandosi di prova contraria incombe sul convenuto.

 

Debora Alberici

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