L’Esenzione dall’Imposta Comunale sugli Immobili degli enti non commerciali quale aiuto di stato contrario alla normativa europea

Dalla procedura di infrazione europea alla previsione delle modalità di recupero dell’art. 16 bis del D.l. n. 131/2024

Servizi Comunali Entrate tributarie ICI IMU Sanzioni
di Martini Lorella
07 Gennaio 2025

 

La normativa italiana
 

Come ben si sa la tassazione degli enti non commerciali è sempre stato un tema “caldo” nel nostro Paese.

In materia di imposte locali, l’art. 7, c.1, lett. i), D.L.vo n. 504/1992 esentava dall’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili) gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché attività di religione e di culto.

Ai sensi del comma 2 bis dell’art. 7 del D.L.vo n. 203/2005, la suindicata esenzione doveva applicarsi alle attività indicate anche se di natura commerciale.

A sua volta, l’art. 39 del D.L. n. 223/2006 precisava che l’esenzione trovava applicazione alla condizione che le attività in questione non avessero esclusivamente natura commerciale.

Dal lato delle imposte sui redditi, l’art. 149 del TUIR accordava un trattamento di favore agli enti ecclesiastici e alle associazioni sportive dilettantistiche.

 


La normativa europea


In ragione dei predetti regimi di tassazione, la Commissione UE ha ricevuto, nel 2006 e nel 2007, numerose denunce che lamentavano sostanzialmente la violazione dell’art. 107 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) da parte della normativa fiscale italiana. La tassazione degli enti non commerciali così come sopra descritta pareva integrare un aiuto di stato che, nell’ordinamento europeo, è in via generale vietato, salvo poche e puntuali eccezioni.

L’art. 1, lett. d), del regolamento CE n. 659/1992 definisce “regime di aiuti” qualsiasi “atto in base al quale, senza che siano necessarie ulteriori misure di attuazione, possono essere adottate singole misure di aiuto a favore di imprese definite nell’atto in linea generale e astratta e qualsiasi atto in base al quale l’aiuto, che non è legato a uno specifico progetto, può essere concesso a una o più imprese per un periodo di tempo indefinito e/o per un ammontare indefinito”.

Per costante giurisprudenza unionale, la nozione di “impresa” abbraccia qualsiasi entità economica che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento. Pertanto, costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni e servizi su un determinato mercato, ovvero prestazioni dietro remunerazione, dove la caratteristica essenziale di quest’ultima risiede nella circostanza che essa costituisce il corrispettivo economico della prestazione.

A sua volta, l’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento, prevede che la Commissione, in ipotesi di decisione negativa sulla legittimità dell’aiuto concesso, “adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario […]. La Commissione non impone il recupero dell’aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario”, come il principio “ad impossibilia nemo tenetur”.

 


Il procedimento europeo di censura della normativa nazionale

La decisione della Commissione UE del 19.12.2012


Nell’ottobre 2010 la Commissione avviava il procedimento di indagine formale dei regimi di tassazione italiani, ai sensi dell’art, 108 TFUE.

Nel frattempo, nel gennaio 2012 nel nostro ordinamento l’ICI veniva soppiantata dall’IMU, la quale prevedeva una diversa disciplina dell’esenzione per gli enti non commerciali.

Con decisione del 19.12.2012 la Commissione giungeva alla conclusione del procedimento di indagine e decretava che l’esenzione dall’ICI concessa agli enti non commerciali costituisse un aiuto di stato incompatibile con il mercato interno.

La Commissione rilevava altresì che, per specificità del caso di specie, sarebbe stato assolutamente impossibile per l’Italia recuperare gli aiuti illegali, tant’è che non veniva emesso a carico del nostro Paese alcun ordine in tal senso.

 


Le sentenze del Tribunale UE

Avverso la predetta decisione, il 16.04.2013 veniva proposti due distinti ricorsi avanti al Tribunale UE, che venivano, però, entrambi respinti.

 


La sentenza della Corte di Giustizia UE del 06.11.2018

Seguiva l’impugnazione avanti alla Corte di Giustizia UE. Quest’ultima, con sentenza del 06.11.2018 confermava la correttezza della qualifica come aiuto di stato illegale dell’esenzione dall’ICI degli enti non commerciali ma annullava la sentenza impugnata nella parte in cui non aveva ordinato all’Italia il recupero dei predetti aiuti concessi.

La Corte rilevava come la Commissione, prima, e il Tribunale dopo, si fossero limitati a dedurre l’impossibilità assoluta del recupero dal solo fatto che le banche dati fiscali e catastali italiane non avrebbero potuto fornire alcun dato utile per recuperare gli aiuti in questione. Entrambe le Autorità avrebbero poi omesso di esaminare l’eventuale sussistenza di modalità alternative che potevano consentire il recupero, anche solo parziale, degli aiuti. Ricorda infatti la Corte come “il recupero di aiuti illegali può essere considerato, in maniera obiettiva e assoluta, impossibile da realizzare unicamente quando la Commissione accerti, dopo un esame minuzioso, che sono soddisfatte due condizioni cumulative, vale a dire, da un lato, l’esistenza delle difficolta addotte dallo Stato membro interessato e, dall’altro, l’assenza di modalità alternative di recupero”.

 


La decisione della Commissione UE del 03.03.2023

A seguito della sentenza della Corte di Giustizia, la Commissione riattivava il procedimento e con lettera del 01.02.2019 invitava l’Italia a presentare osservazioni sulle modalità di recupero degli aiuti erogati a mezzo esenzione dall’ICI e a suggerire modalità alternative per il loro recupero.

L’Italia, in un primo momento, si limitava a ribadire le difficoltà insite nel nostro ordinamento che avrebbero impedito in maniera assoluta il recupero.
Con successiva lettera del 21.06.2019 la Commissione precisava di non poter ritenere sufficiente una tale petizione di principio e, con l’ulteriore comunicazione del 04.11.2019, rinovava la richiesta all’Italia di individuazione di modalità alternative per il recupero.

Con lettera del 13.02.2020 l’Italia presentava osservazioni maggiormente argomentate che comunque si concludevano con una valutazione di assoluta impossibilità del recupero.

 


Le argomentazioni dell’Italia


In particolare, le nostre Autorità nazionali rilevavano che:

  • sulla base delle banche dati fiscali e catastali, non era possibile individuare in via retroattiva gli immobili appartenuti ad enti non commerciali e, tra questi, quelli in cui si erano svolte attività non esclusivamente commerciali;
  • l’ICI era imposta locale, di competenza dei ben 8.000 comuni italiani, per cui gestire e coordinare un’attività di indagine e di controllo da parte di tali enti sarebbe stato estremamente complesso, o meglio impossibile;
  • l’oggettiva impossibilità di ottenere informazioni certe circa i soggetti beneficiari degli aiuti e della misura di questi ultimi, avrebbe portato ad un’attività di recupero fiscale basato su prove esclusivamente circostanziali, in aperto contrasto con il principio per cui ogni attività di accertamento deve basarsi su conclusioni obbiettive e conclusive;
  • a loro volta le dichiarazioni IMU presentate negli anni più recenti non avrebbero potuto essere d’aiuto: sia perché la disciplina dell’IMU per gli enti non commerciali è diversa da quella dell’ICI e sia perché le dichiarazioni IMU indicano solo se sono state svolte attività commerciali in un determinato anno (a partire dal 2012);
  • anche eventuali verifiche in loco avrebbero potuto fornire informazioni solo sul presente e non sul passato, con l’ulteriore aggravante che tale attività avrebbe dovuto essere rimessa a ciascuno degli 8.000 Comuni italiani, attraverso un procedimento estremamente lungo ed impegnativo;
  • se è vero che le attività ammissibili all’esenzione dall’ICI erano soggette ad autorizzazione amministrativa, è indubbio che la modalità commerciale o non commerciale dell’esercizio dell’attività non potesse essere inferita dall’autorizzazione;
  • né di maggior aiuto avrebbe potuto essere la documentazione contabile, atteso che, da un lato, questa avrebbe ben potuto non essere più disponibile (quanto meno per i periodi d’imposta antecedenti di oltre 10 anni), dall’altro, l’esame della stessa avrebbe presupposto che il soggetto da controllare fosse già stato individuato e non avrebbe potuto essere utilizzata per selezionare i contribuenti da sottoporre a verifica;
  • analogo discorso sarebbe valso per eventuali dichiarazioni sostitutive di certificazione o di notorietà atteso che entrambe presupporrebbero che la pubblica amministrazione sappia già o sia in grado di sapere cosa viene dichiarato; peraltro, in tal modo si sarebbe rischiato di legittimare ex ante un recupero parziale nei confronti dei soli soggetti che decidevano di “autodenunciarsi”, così creando una situazione di iniquità e disparità di trattamento.

 

 

Le argomentazioni della Commissione


La Commissione con la decisione del 03.03.2023 non riteneva accoglibili le motivazioni avanzate dall’Italia. Più in particolare rilevava che:

  • i poteri conferiti agli enti locali per verificare il rispetto delle condizioni dell'esenzione dall'ICI non erano significativamente diversi dalle modalità di recupero sulle quali la Commissione aveva invitato le autorità italiane a pronunciarsi: la verifica del rispetto delle condizioni dell'esenzione dall'ICI richiedeva, in particolare, che i poteri conferiti agli enti locali consentissero loro di ottenere informazioni sulla natura delle attività svolte negli immobili e di verificare che tali attività non fossero esclusivamente di natura commerciale. Poiché gli enti locali potevano avvalersi dei loro poteri entro un periodo di cinque anni dalla data di scadenza del pagamento dell'imposta, era evidente che il legislatore italiano aveva ritenuto che gli enti locali potessero ottenere prove pertinenti anche diversi anni dopo il periodo di riferimento, ossia in un momento in cui la natura dell'attività avrebbe potuto essere diversa;
  • sebbene concordasse con l’Italia nel ritenere che il recupero fiscale dovesse avvenire nel rispetto dei diritti del contribuente, precisava che il nostro Paese non aveva dimostrato che il recupero degli aiuti illegali avrebbe comportato necessariamente una violazione di tali diritti; pertanto, non era accettabile che il mero rischio di una violazione dei diritti si traducesse in una assoluta e generalizzata impossibilità di recupero degli aiuti in tutti i casi, senza intraprendere alcuna vera iniziativa presso i soggetti interessati;
  • le prove circostanziali non potevano essere scartate a priori;
  • di conseguenza, le dichiarazioni IMU, se è vero che non sono in sé sufficienti a stabilire l’uso degli immobili prima del 2012, potevano però fornire informazioni sulle attività svolte negli immobili a partire dal 2012 e avrebbero potuto quindi aiutare ad individuare almeno un elenco indicativo dei potenziali beneficiari dell’esenzione dall’ICI;
  • sebbene riconoscesse che i controlli in loco potessero essere gravosi e che l’efficacia degli stessi diminuisce all’aumentare del tempo trascorso dai fatti da accertare, da ciò non poteva concludersi che nessun controllo in loco potesse fornire prove oggettive giuridicamente rilevanti;
  • allo stesso modo le autorizzazioni amministrative, anche se da sole non sono in grado di stabilire in modo inequivoco l’uso effettivo di un immobile, potevano fornire informazioni utili per l’individuazione di un elenco di potenziali beneficiari, da confermare con altre modalità;
  • se è pacifico che la scadenza degli obblighi di conservazione della contabilità possa creare delle difficoltà, non poteva disconoscersi che ogni fattispecie oggetto di verifica dovesse essere considerata a sé: non si può dimenticare che i beneficiari dell'esenzione dall'ICI erano a conoscenza, o almeno avrebbero dovuto essere a conoscenza, dell'adozione della decisione di avvio del procedimento di infrazione del 2010, in cui venivano formulati dubbi sulla legittimità della misura e sulla sua compatibilità con il mercato interno, così come della decisione finale del 2012. Analogamente, i beneficiari dell'esenzione dall'ICI erano a conoscenza, o almeno avrebbero dovuto essere a conoscenza, del fatto che nella sentenza del 2018 la Corte di giustizia aveva parzialmente annullato la decisione finale, nella parte in cui non era stato ordinato il recupero; pertanto, in tali circostanze, dei beneficiari ragionevolmente giudiziosi ben avrebbero potuto conservare i propri documenti contabili;
  • non poteva essere accolta l’argomentazione per cui procedendo al recupero si finirebbe per recuperare aiuti il cui termine di restituzione sarebbe oramai prescritto; infatti, il recupero ordinato dalla Commissione è soggetto ad un termine di prescrizione di 10 anni, che decorre dal giorno in cui l'aiuto illegale viene concesso al beneficiario e qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione nei confronti dell'aiuto illegale interrompe il termine di prescrizione e ogni interruzione fa decorrere nuovamente il termine da principio. Nel caso in oggetto, la Commissione aveva inviato alle autorità italiane richieste di informazioni il 5 maggio 2006, il 5 novembre 2007 e il 24 novembre 2008, aveva avviato il procedimento di indagine formale il 12 ottobre 2010 ed aveva adottato la decisione finale il 19 dicembre 2012. Inoltre, il termine di prescrizione era stato sospeso durante i procedimenti dinanzi agli organi giurisdizionali dell'Unione fino alla data di pronuncia della sentenza, il 6 novembre 2018. Infine, dopo la pronuncia della sentenza, la Commissione aveva inviato alle autorità italiane ulteriori richieste di informazioni il 1° febbraio 2019, il 21 giugno 2019 e il 4 novembre 2019. Pertanto, il termine di prescrizione di 10 anni non era mai stato raggiunto senza essere interrotto da un'azione della Commissione o dalla sospensione derivante dai procedimenti pendenti dinanzi agli organi giurisdizionali dell'Unione;
  • la stessa Corte di Giustizia aveva ammesso, nella sua sentenza, la possibilità di un recupero parziale, affermando che il recupero poteva essere considerato, in maniera obiettiva e assoluta, impossibile da realizzare solo se “non esistono modalità alternative che consentano un recupero, anche solo parziale, degli aiuti illegali”; infine, lo scopo del recupero degli aiuti illegali sarebbe quello di ripristinare la parità di condizioni tra i concorrenti ma, omettendo di ordinare il recupero nei casi in cui sarebbe stato possibile, anche se parzialmente, si manterrebbe una situazione in cui alcune imprese sono state indebitamente favorite rispetto ai loro concorrenti, determinando quindi una maggiore discriminazione;
  • l’utilizzo combinato di più modalità di verifica permetterebbe sicuramente un recupero quanto meno parziale, che richiederebbe un impegno certamente importante ma non sproporzionato rispetto all’obiettivo finale di ristabilire lo status quo ante rispetto alla violazione delle condizioni del libero mercato e della concorrenza.

 

Le conclusioni della Commissione


L’Italia veniva così condannata a recuperare dai beneficiari, ovvero dagli enti non commerciali che svolgevano negli immobili esclusivamente le attività di cui all’art. 7, c.1, lett. i) del D.L.vo n. 504/1992, nella misura in cui tali attività erano di natura economica, l’aiuto concesso, nelle ipotesi in cui questo fosse incompatibile con la normativa unionale.

La somma da recuperare era pari all’importo dell’esenzione dall’ICI fruita, oltre agli interessi decorrenti dalla data in cui le somme erano state messe a disposizione dei beneficiari e fino al loro effettivo recupero.

 


L’art. 16 bis del D.L. n. 131/2024


E’ in tale contesto che ha visto la luce l’art. 16 bis del D.L. n. 131/2024 cd. decreto Salva Infrazioni, convertito con modifiche nella Legge n. 166/2024, che ha disciplinato le modalità per il recupero delle esenzione dall’ICI fruite illegittimamente dagli enti non commerciali.

Il primo comma della norma in commento esplicita che l’intervento normativo è giustificato dalla necessità di dare attuazione alla sentenza della Corte di Giustizia europea del 06.11.2018 e alle decisioni della Commissione europea del 19.12.2012 e del 03.03.2023.

Il legislatore nazionale ha così previsto che “i soggetti passivi, che abbiano presentato la dichiarazione per l'imposta municipale propria e per il tributo per i servizi indivisibili per gli enti non commerciali (IMU/TASI ENC) in almeno uno degli anni 2012 e 2013, recante l'indicazione di un'imposta a debito superiore a 50.000 euro annui, o che comunque siano stati chiamati a versare, anche a seguito di accertamento da parte dei comuni, un importo superiore a 50.000 euro annui, presentano, esclusivamente in via telematica, la dichiarazione per il recupero dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) relativamente al periodo dal 2006 al 2011”.

Il Legislatore ha precisato che: “La dichiarazione è unica per tutti gli immobili posseduti dal soggetto passivo. Per la determinazione dell'ICI oggetto del recupero di cui al presente comma, si applica la disciplina dell'IMU vigente nell'anno 2013. La base imponibile, i moltiplicatori e l'aliquota sono quelli stabiliti dalla disciplina dell'ICI, applicabili nell'anno di riferimento interessato dal recupero. Nel solo caso in cui l'aliquota effettiva non è individuabile, si applica quella media, pari al 5,5 permille”.

Il versamento non è dovuto, se nel periodo 2006-2011 non sono state superate le soglie di aiuto previste dalla normativa europea e ne sono stati rispettati condizioni e limiti.

Si è precisato che dalle somme dovute andranno detratti gli importi eventualmente già corrisposti a titolo di ICI per lo stesso periodo d’imposta ed andranno applicati gli interessi, come previsti dalla normativa europea, a decorrere dalla data in cui le somme da recuperare sono state messe a disposizione dei beneficiari e sino all’effettivo incasso.

Qualora l’importo così calcolato dovesse superare € 100.00,00, sarà possibile beneficiare di una rateazione in 4 quote trimestrali di pari importo. L’opzione per la rateazione dovrà essere indicata già nella dichiarazione.

L’individuazione delle modalità operative è stata rimessa ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che dovrebbe essere adottato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. Più nello specifico, detto provvedimento dovrà fissare i termini entro cui gli enti non commerciali saranno tenuti a presentare la dichiarazione e a versare il dovuto, oltre ad individuare la misura degli interessi applicabili. 
Con lo stesso decreto dovrà essere individuata la struttura che coordinerà le attività di recupero degli aiuti di stato. Infatti, il versamento del dovuto avverrà in favore dei singoli Comuni ove sono situati gli immobili oggetto di recupero; così le attività di controllo della dichiarazione e dei versamenti, di accertamento e di irrogazione delle sanzioni saranno effettuate dal singolo Comune competente oppure dal soggetto cui quest’ultimo ha affidato la riscossione delle proprie entrate.

Ad ogni modo è prevista la necessità di una “regia unitaria” di tale attività che, da un lato, coordinerà i singoli Comuni, dall’altro, dovrà essere tenuta informata sui risultati dell’attività di recupero.

 

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