Analisi del terzo macro-argomento: tolleranze costruttive ed esecutive
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Dopo aver analizzato le linee guida(1) del MIT sul Decreto Salva Casa (decreto legge n. 69/2024, convertito con la legge n. 105/2024) sullo stato legittimo dell’immobile e sul mutamento della destinazione d’uso, ci soffermiamo, in questa occasione, sulle tolleranze costruttive ed esecutive.
Ancora una volta, a scanso di equivoci, è bene ricordare che non siamo dinanzi ad una fonte normativa vincolante: le linee guida, infatti, impostate come un mix fra spiegazioni e FAQ, espongono l’opinione del Ministero, allo scopo di fornire un’informazione generalizzata; rimane ovvio che la giurisprudenza, quando sarà chiamata a pronunciarsi su contenziosi concreti, potrebbe individuare interpretazioni diverse.
Tolleranze costruttive: i limiti
La disciplina in materia di tolleranze(2) introdotta nel 2020 dal legislatore, attraverso l’inserimento dell’art. 34-bis(3), è stata integrata con il Decreto Salva Casa, introducendo, di fatto, un doppio regime normativo.
In primo luogo, nulla viene modificato in merito al comma 1, secondo cui il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari(4) non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2% delle misure previste nel titolo abilitativo. Il limite deve intendersi riferito ad ogni unità immobiliare(5).
In secondo luogo, con il nuovo testo del comma 1-bis, si prevede che, per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, il mancato rispetto dell'altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari non costituisce violazione edilizia se contenuto entro i limiti:
Si pensi alle difformità che possono essere state ingenerate, ad esempio, da possibili imprecisioni nelle rilevazioni, dalla diversa consistenza dei materiali o da adeguamenti necessari in sede di esecuzione dei lavori.
Il nuovo testo del comma 1-bis, perciò, introduce una disciplina valevole solo per gli interventi realizzati entro la data del 24 maggio 2024, caratterizzata da una progressione inversamente proporzionale delle soglie di tolleranza a seconda della superficie utile dell’unità immobiliare interessata dall’intervento. Come precisato dalle linee guida, la diversificazione del regime in ragione del dato temporale rinviene la propria ratio nella necessità di evitare che gli interventi realizzati dopo l’introduzione della nuova disciplina possano essere volontariamente eseguiti tenendo conto degli scostamenti percentuali più ampi.
Il nuovo comma 1-bis, al pari della regola di cui al comma 1, opera in relazione alla singola unità immobiliare, da intendersi come l’elemento minimo inventariabile che ha autonomia reddituale e funzionale, esistente su una particella nell’ambito del Catasto dei Fabbricati(7), ferma restando l’ipotesi di fabbricati costituiti da un’unica unità immobiliare.
Inoltre, la limitazione temporale trova giustificazione nelle differenti tecniche progettuali e costruttive invalse nel passato; se, infatti, in ragione delle tecniche moderne la sussistenza di difformità rispetto al progetto risulta ipotesi più remota, per gli interventi eseguiti nel passato (e, quindi, per la grande maggioranza del patrimonio edilizio esistente) vale un discorso diverso, stante i metodi e le tecniche meno precisi cui si è fatto ricorso.
In ossequio al principio generale più volte ribadito dalla giurisprudenza(8), la prova dell’avvenuta realizzazione dell’opera entro il 24 maggio 2024 ricade in capo all’interessato. Le linee guida confermano tale principio nella FAQ D.3.3.1(9), la quale precisa anche che, ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio, può essere utilizzata la dichiarazione di conclusione dei lavori o la documentazione di cui all’art. 9-bis, comma 1-bis, del Testo Unico Edilizia (DPR n. 380/2001), in materia di stato legittimo. Fondamentale è l’oggettività della documentazione probatoria a supporto: si pensi, ad esempio, al giornale dei lavori e al certificato di collaudo.
Ricordiamo che, secondo la giurisprudenza(10), anche l’onere della prova della presenza di tolleranze è in capo al soggetto che ha interesse a godere di tale disciplina di favore.
Il concetto di superficie utile
Il nuovo comma 1-ter precisa che:
Plurime difformità
Nel caso di difformità che riguardano, contemporaneamente, due parametri (ad esempio, superficie utile ed altezza), secondo le linee guida (FAQ D.3.1.1(13)) si potrà riconoscere l’irrilevanza di quella contenuta entro i limiti previsti, mentre per l’altra sarà necessario uno specifico procedimento per la relativa sanatoria.
Questa tesi, a prima vista, sembra scontrarsi con l’orientamento giurisprudenziale secondo cui gli abusi non possono essere considerati secondo un’ottica atomistica ma richiedono una valutazione globale(14): in realtà, tale contrasto non c’è perché il parametro che “sfora” la corretta misura entro i limiti del 2% non è un abuso ma un dato di fatto irrilevante.
Le tolleranze costruttive in relazione alle misure minime individuate dalle disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari
Come indicato nella FAQ D.3.1.4, la soglia applicabile sarà sempre quella del 2%, sia nel caso in cui l’intervento sia stato realizzato prima del 24 maggio 2024, sia nel caso in cui si stato realizzato successivamente, atteso che la regola non ha rinviato alle tipologie di difformità ma agli scostamenti.
Pertanto, laddove la difformità rispetto al progetto riguardi le misure minime individuate dalle disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari, lo scostamento tollerato sarà sempre quello del comma 1 e non quello del comma 1-bis(15).
Un ulteriore aspetto riguarda il rapporto tra la disposizione di cui al comma 1-ter, secondo periodo, e le regole racchiuse all’interno dell’art. 24, commi 5-bis, 5-ter e 5-quater del Testo Unico Edilizia in materia di agibilità. Infatti, il DL Salva Casa, con le modifiche introdotte in sede di conversione, ha rivisto anche le misure minime in materia di requisiti igienico-sanitari, con una regola destinata a valere fino alla definizione dei requisiti igienico-sanitari di carattere prestazionale degli edifici ai sensi dell’art. 20-bis, comma 1-bis, del Testo unico. Al riguardo, occorre chiarire che la portata meramente ricognitiva della disposizione di cui all’art. 34-bis, comma 1-ter, secondo periodo, non consente l’applicazione delle nuove regole ai casi di asseverazione relativi ad interventi realizzati prima della data di entrata in vigore del citato art. 24, commi 5-bis, 5-ter e 5-quater (ossia, 28 luglio 2024).
Deve, quindi, operarsi una distinzione sulla base delle misure minime in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari operanti al momento di redazione del progetto; con particolare riferimento agli edifici esistenti:
Tolleranze costruttive ed autorizzazione paesaggistica
Come precisato dalla FAQ D.3.1.5, gli interventi ricadenti nel regime delle tolleranze di cui al comma 1-bis non necessitano di autorizzazione paesaggistica, ove integrino interventi e opere ricomprese nell’allegato “A” del citato DPR n. 31 del 2017 (ossia, le opere esenti dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica) e nell’art. 4 (che riguarda peculiari ipotesi di interventi su beni vincolati per i quali non serve l’autorizzazione in discorso) del medesimo articolato normativo.
Infatti, la disposizione di cui all’art. 3, comma 1, del Decreto Salva Casa ha previsto che gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 di cui all'art. 34-bis, comma 1-bis, del Testo Unico Edilizia, sono soggetti al regime di esenzione di cui all'art. 2, comma 1, del DPR n. 31/2017.
Ricordiamo che già il punto A.31 dell’Allegato A prevede la non necessità dell’autorizzazione paesaggistica per “opere ed interventi edilizi eseguiti in variante a progetti autorizzati ai fini paesaggistici che non eccedano il due per cento delle misure progettuali quanto ad altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta o traslazioni dell’area di sedime”.
Le tolleranze esecutive
L’art. 34-bis, commi 2 e 2-bis, come novellati dal Decreto Salva Casa, prevedono un doppio regime anche in materia di tolleranze esecutive:
Il regime delle tolleranze esecutive in caso di immobile vincolato
Come indicato nella FAQ D.3.2.1, se l’immobile è sottoposto a tutela ai sensi del Codice de beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42/2004) non potrà operare lo specifico regime delle tolleranze, dovendosi provvedere ad eventuali sanatorie mediante gli ordinari strumenti previsti dal Testo Unico.
Del resto, conformemente a questa impostazione, la disposizione di cui all’art. 3, comma 1, del DL Salva Casa, ha disposto, come ricordato in precedenza, l’applicazione del regime di cui all’articolo 2, comma 1, del DPR n. 31/2017 alle sole tolleranze costruttive di cui al comma 1-bis dell’art. 34-bis, senza, quindi, richiamare il comma 2-bis del medesimo articolo.
Disposizioni comuni alle tolleranze costruttive e esecutive
Trattandosi di irregolarità non costituenti illecito edilizio, le tolleranze – sia costruttive che esecutive – non sono oggetto di un apposito procedimento di sanatoria né di condono.
La disposizione di cui all’art. 34-bis(16), comma 3, disciplina gli adempimenti a carico del tecnico abilitato e trova applicazione per tutte le ipotesi disciplinate dall’articolo. In particolare, si prevede che il tecnico si limiti a dichiarare la sussistenza dei presupposti di tali tolleranze nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali. Tale dichiarazione è funzionale ad attestare lo stato legittimo dell’immobile e, quindi, ad escludere la sussistenza di irregolarità che possano precludere il rilascio o la formazione di un nuovo titolo edilizio ovvero ripercuotersi sui negozi giuridici indicati nella disposizione. La disposizione in esame deve, quindi, leggersi in relazione alle nuove regole in tema di stato legittimo dell’immobile.
Tolleranze nel caso di zone sismiche
Inoltre, una disposizione di particolare rilievo è quella contenuta all’interno del comma 3-bis dell’art. 34-bis, la quale introduce una verifica in ordine all’incidenza sismica delle difformità rientranti in tolleranza.
Come indicato nella FAQ D3.3.2, per le unità immobiliari ubicate nelle zone sismiche che non siano classificate a bassa sismicità il tecnico dovrà attestare che gli interventi rientranti nelle soglie di tolleranza rispettino le prescrizioni delle norme per le costruzioni in zone sismiche poste dal Testo Unico: trattasi di apposito procedimento di verifica che è presupposto per la dichiarazione di cui all’art. 34-bis, comma 3.
L’attestazione deve essere riferita al rispetto delle norme tecniche per le costruzioni vigenti al momento della realizzazione dell’intervento, fermo restando quanto previsto dall’art. 36-bis, comma 2, con riferimento ai poteri conformativi attribuiti agli sportelli unici edilizi.
Inoltre, l’attestazione deve essere corredata della documentazione tecnica sull’intervento predisposta sulla base del contenuto minimo richiesto dall’art. 93, comma 3(17), del Testo Unico Edilizia.
L’attestazione – unitamente alla documentazione – va, poi, inviata allo sportello unico per l’acquisizione “postuma” dell’autorizzazione sismica dell’ufficio tecnico regionale, oppure per l’esercizio delle modalità di controllo previste dalle Regioni ai sensi dell’art. 94-bis, comma 5, del Testo Unico Edilizia per le difformità costituenti interventi di minore rilevanza o privi di rilevanza sismica.
La disposizione è, in sostanza, funzionale a verificare se gli interventi rientranti nell’ambito applicativo delle c.d. tolleranze siano, comunque, in linea con le prescrizioni previste per l’edificazione delle costruzioni in area sismica.
Tale disposizione regolamenta un procedimento autonomo e speciale, differente da quelli previsti nella sezione II del capo IV della parte II del Testo Unico Edilizia: ed infatti, la disposizione è relativa ad interventi già realizzati ed è finalizzata ad effettuare le verifiche che assicurino il rispetto delle prescrizioni in materia sismica e, quindi, l’assenza di rischi per la sicurezza e l’incolumità derivanti dalle opere rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 34-bis.
Il rinvio operato dalla disposizione alle previsioni contenute nel capo IV non può, quindi, intendersi come integrale sottoposizione della specifica disciplina dettata dall’art. 34-bis, comma 3-bis, alle regole contenute nel medesimo capo IV della parte II del Testo Unico Edilizia: ciò in quanto si è rinviato a specifiche disposizioni contenute in tale capo e per precise finalità funzionali al procedimento di regolarizzazione previsto. In particolare, il legislatore ha rinviato:
La specificità del procedimento e l’assenza di un integrale richiamo alle previsioni racchiuse nel capo IV conduce ad escludere che, in relazione al procedimento di cui all’art. 34-bis, comma 3-bis, possa venire in rilievo una violazione delle prescrizioni del capo IV, che è presupposto per l’applicazione delle regole di cui alla sezione III, tra cui quelle contenute nell’art. 96. Pertanto, a titolo esemplificativo, deve escludersi che l’applicazione del procedimento di cui all’art. 34-bis, comma 3-bis, comporti la trasmissione del processo verbale di cui all’art. 96, comma 2, del Testo Unico Edilizia.
In ragione di quanto esposto, deve, altresì, escludersi che detto processo verbale debba essere compilato al fine di segnalare dichiarazioni mendaci dei tecnici che hanno redatto la relazione tecnica a struttura ultimata e/o il collaudo statico. Qualora il tecnico o gli altri soggetti di cui all’art. 103 del Testo Unico Edilizia individuassero dichiarazioni mendaci, dovranno darne comunicazioni all’autorità giudiziaria non ai sensi e con le forme di cui al citato art. 96, ma ai sensi delle generali disposizioni previste dall’ordinamento per la repressione dei fatti di reato.
Nelle zone a bassa sismicità, l’eventuale certificazione di idoneità statica prevista dalla legislazione regionale sarà invece trasmessa al SUE, che provvederà all’acquisizione della stessa ai fini dell’archiviazione nel fascicolo edilizio.
Tolleranze e diritti di terzi
L’art. 34-bis, al comma 3-ter, precisa che l'applicazione delle disposizioni nel medesimo contenute non può comportare limitazione dei diritti dei terzi, riprendendo un’espressione già prevista dall’art. 11, comma 3, del Testo Unico Edilizia, per quanto riguarda il rilascio del permesso di costruire. Conseguentemente, trova applicazione anche alla disciplina relativa alle tolleranze il principio secondo cui l’attività del tecnico dovrà limitarsi alla verifica del rispetto delle disposizioni pubblicistiche in punto di rispetto della normativa urbanistica ed edilizia, prescindendo, quindi, dalla disamina di aspetti privatistici.
(1) https://www.mit.gov.it/linee-guida-dl-salva-casa
(2) In passato, la legge n. 765/1967 (c.d. “legge ponte”), all’art. 15, comma 1 (oggi trasferito nel vigente art. 49, comma 1, del Testo Unico Edilizia), stabiliva letteralmente che: “(…) le opere iniziate dopo l’entrata in vigore della presente legge, senza la licenza o in contrasto con la stessa, ovvero sulla base di licenza successivamente annullata, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, né di contributi o altre provvidenze dello Stato o di Enti pubblici. Il contrasto deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il due per cento delle misure prescritte, (…)”. La disciplina riguardava, in quel contesto, solo l’aspetto fiscale.
La legge n. 47/1985, con l’art. 32 (“Opere costruite su aree sottoposte a vincolo”), comma 1, ha disposto che “(…) il rilascio della concessione o della autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su aree sottoposte a vincolo, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso (…)”, con la precisazione che “Il parere non è richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l’altezza, i distacchi, la cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure prescritte.”
Successivamente, con la legge 106 del 2011, è stato inserito nel Testo Unico Edilizia l’art. 34, il comma 2-ter (oggi abrogato dalla legge n. 120/2020) prevedeva che “Ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali.”
Ricordiamo che, secondo la giurisprudenza, “l’art. 34-bis, infatti, si applica unicamente alle lievi difformità dai parametri previsti dal titolo edilizio che si realizzano al momento della edificazione del fabbricato, e dunque in fase costruttiva, tali da comportare uno scostamento tra quanto assentito e quanto di fatto realizzato che, proprio per le sue dimensioni contenute, denota una sostanziale assenza di pregiudizio all’interesse pubblico urbanistico (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 ottobre 2022, n. 8709). Viceversa, la disposizione non può trovare applicazione per gli interventi realizzati successivamente all’edificazione, atteso che tale interpretazione finirebbe, sostanzialmente, per svilire la portata dell’intero impianto normativo di cui al d.P.R. n. 380/2001, il quale comunque richiede di premunirsi di un titolo edilizio, diverso a seconda della tipologia di lavori da eseguire e indipendentemente da quale sia la portata dell’intervento da porre in essere sul preesistente fabbricato (e fatta ovviamente eccezione per le attività realizzabili in “edilizia libera”)”: TAR Lazio, Roma, sez. II quater, sent. 7 marzo 2024, 4608.
(3) Articolo introdotto dall'art. 10, comma 1, lettera p), della Legge n. 120/2020, di conversione del decreto legge n. 76/2020.
(4) Rientrano in tale categoria, ad esempio, “le variazioni delle altezze interne e la diversa configurazione in pianta del locale” (TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 27 marzo 2023, n. 1881).
(5) TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, sent. 15 aprile 2024, n. 4413.
Come evidenziato dal TAR Sardegna, sez. I, nella sent. 29 aprile 2022, n. 297, “il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità abitative non costituisce violazione edilizia se contenuto entro il limite del 2 % delle misure previste nel titolo abilitativo e che la cd. “tolleranza di cantiere” del 2% delle misure programmate riguarda soltanto le singole unità abitative e, dunque, ciascun appartamento e non l’intero edificio nel suo complesso, secondo una interpretazione più corrispondente al dettato letterale dell’art. 34 bis del DPR n. 380/2001 (che ha sostituito l’ultimo comma dell’art. 34 previgente, all’interno del medesimo decreto) riferito, appunto, alle “singole unità abitative” e, soprattutto, all’esigenza sostanziale di garantire quanto più possibile la corretta esecuzione dei progetti costruttivi autorizzati, con conseguente irrilevanza soltanto degli scostamenti di lieve entità (2% della superficie del singolo appartamento), inquadrabili nelle “tolleranze di cantiere”, e non di sensibili modifiche al progetto approvato, che altrimenti potrebbero essere tanto più estese quanto più grande risulti l’edificio complessivo (TAR Lazio II-bis n. 4413 del 2021).”
(6) Ricordati anche nella FAQ D.1.3.3.
(7) La giurisprudenza ha ritenuto di basare il concetto di singola unità immobiliare sull’indipendenza: cfr. TAR Piemonte, sez. II, sent. 3 febbraio 2022, n. 80: “In ordine al concetto di singola unità immobiliare, cui ancorare la c.d. tollerabilità del 2%, occorre rifarsi all'art.40 del D.P.R. n. 1142 del 1949, in base al quale si accerta come distinta unità immobiliare urbana ogni fabbricato, o porzione di fabbricato o insieme di fabbricati che appartenga allo stesso proprietario e che, nello stato in cui si trova, rappresenta, secondo l'uso locale, un cespite indipendente; il termine cespite indica, per definizione, un elemento che rappresenta per una persona una fonte di reddito (T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, 22/05/2018, n. 854).”
(8) Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 15 gennaio 2025, n. 309: “Per giurisprudenza consolidata, l’onere della prova circa l’epoca di realizzazione dell'intervento edilizio grava in capo a colui che vuole dimostrare la legittimità dell’opera (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 3 ottobre 2024 n. 7969). Infatti il proprietario o il responsabile dell’abuso, assoggettato a ingiunzione di demolizione - ordinariamente in possesso di documenti o attestati probatori, dunque in applicazione del principio di vicinanza della prova - è gravato dell’onere di provare il carattere risalente del manufatto oggetto della sanzione ripristinatoria.
Tale indirizzo giurisprudenziale si è consolidato non solo per l’ipotesi in cui si chiede di fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche - in via generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione, per l’appunto, di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi (cfr. ancora, sul punto, Cons. Stato, Sez. VI, 5 marzo 2024 n. 2165).
L’onere della prova della data di realizzazione dell’immobile, in particolare ai fini di dimostrare che avrebbe dovuto essere realizzato in epoca per cui non era necessario un titolo edilizio, grava sul privato (anche) in virtù della disposizione contenuta nell’art. 64, comma 1, c.p.a., per cui spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2023 n. 10101 e 9 giugno 2023 nn. 5659 e 5668). Tale orientamento è basato sul principio di “vicinanza della prova”, essendo nella sfera del privato la prova circa l'epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza, in quanto solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza del carattere non abusivo di un'opera edilizia, in ragione dell'eventuale preesistenza rispetto all'epoca dell'introduzione di un determinato regime autorizzatorio dello ius aedificandi (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. VI, 25 maggio 2020 n. 3304 e Sez. IV, 1 aprile 2019 n. 2115).
È pur vero che la giurisprudenza attenua il rigore dell’onere probatorio “secondo ragionevolezza” nei casi in cui il privato, da un lato, porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento prima di una certa data elementi rilevanti (ad esempio, aerofotogrammetrie) e, dall'altro, o la pubblica amministrazione non analizzi debitamente tali elementi o vi siano elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio. In tal caso, non è escluso il ricorso alla prova per presunzioni, sulla scorta di valutazioni prognostiche basate su fatti notori o massime di comune esperienza, inferendo, così e secondo criteri di normalità, la probabile data di tale ultimazione da un complesso di dati, documentali, fotografici e certificativi, necessari in contesti o troppo complessi o laddove i rilievi cartografici e fotografici siano scarsi (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13 novembre 2018 n. 6360, 19 ottobre 2018 n. 5988 e 18 luglio 2016 n. 3177).
In sostanza, la deduzione della parte privata di concreti elementi di fatto relativi all’epoca dell’abuso può trasferire l'onere della prova contraria in capo all’amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 16 marzo 2020 n. 1890). Ciò però in quanto sussistano effettivamente elementi idonei a rendere un quadro probatorio rilevante della data di realizzazione dell’abuso, quali risalenti dati catastali, la natura dei materiali utilizzati, le testimonianze rese in altri giudizi; anche le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà sono ritenute utilizzabili purché in presenza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 4 gennaio 2021 n. 80)”.
(9) D 3.3.1 - Come si prova l’avvenuta realizzazione dell’intervento?
Mediante la comunicazione di fine lavori (che, ovviamente integrerà una chiara evidenza della data di ultimazione dell’opera) ovvero nel caso in cui la dichiarazione di fine lavori non sia stata presentata in considerazione del titolo abilitante o della tipologia di intervento, la prova dell’epoca di realizzazione dell’intervento potrà essere fornita ricorrendo alla documentazione indicata dall’articolo 9-bis, comma 1-bis, del Testo unico.
Si segnala che risulta a carico del privato la prova dell’avvenuta realizzazione dell’intervento entro la data del 24 maggio 2024, trattandosi di un presupposto per accedere ad un regime amministrativo diverso da quello ordinario, e operando, quindi, i tradizionali principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 marzo 2024, n. 2165).
(10) TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 16 dicembre 2024, n. 22692, secondo cui: “In primo luogo, difetta qualsivoglia prova sul punto, non avendo il ricorrente versato in atti alcun documento relativo al rapporto tra quanto da esso legittimamente costruito e quanto invece forma oggetto di tolleranza costruttiva. A ciò deve essere aggiunto come la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sent. n. 101/2024) abbia chiarito da che “l’Amministrazione non è tenuta a valutare d’ufficio la sanabilità dell’opera prima dell’adozione dell’ordine di demolizione”, cosicchè essa men che meno è tenuta ad agire in tal senso ai sensi dell’invocata disposizione normativa.”; TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 2 luglio 2022, n. 1565: “In primo luogo deve rilevarsi che la prova del rispetto del citato limite del 2% deve essere fornita dal costruttore o dal proprietario dell’immobile, come si desume dallo stesso comma 3 dell’art. 34-bis, per il quale: «Le tolleranze esecutive di cui ai commi 1 e 2 realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell'attestazione dello stato legittimo degli immobili»; il che appare comprensibile, giacché solo chi realizza l’opera può chiaramente indicare se gli scostamenti dei parametri edilizi rispetto al titolo abilitativo rispettano la tolleranza prevista dalla legge.”
(11) Per ovvie esigenze di non disparità di trattamento e di semplificazione, il concetto di superficie utile è il medesimo anche laddove l’intervento non preveda un vero o proprio titolo edilizio, come nel caso della CILA.
(12) D.3.1.2 - Cosa si intende per “superficie utile”?
La superficie di pavimento degli spazi di una unità immobiliare, misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre, così come definita dal regolamento edilizio tipo (RET) sancito con intesa del 20 ottobre 2016, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e i Comuni (di seguito, il “Regolamento Edilizio Tipo”).
Nel computo della superficie utile occorrerà, in ogni caso, tener conto di quanto previsto dal titolo originario che ha abilitato la realizzazione dell’intervento, senza, quindi, considerare eventuali frazionamenti dell’immobile o dell’unità immobiliare eseguiti nel corso del tempo (comma 1-ter, primo periodo). Tale regola costituisce, in sostanza, una clausola di salvaguardia, volta ad evitare che, in forza dei frazionamenti, si possa determinare l’applicazione di percentuali più elevate di tolleranza, rendendo, quindi, irrilevanti situazioni che, complessivamente considerate, potrebbero, di converso, integrare nette divergenze rispetto al progetto di impianto originario.
La regola vale solo per il computo della superficie utile ai sensi del comma 1-bis, e, quindi, per gli interventi sottoposti al regime “speciale” valevole per le difformità realizzate fino alla data del 24 maggio 2024: infatti, la disposizione di cui al comma 1-ter non ha richiamato il comma 1, circoscrivendo il proprio campo applicativo ai soli interventi di cui al comma 1-bis.
(13) D.3.1.1 - Cosa accade nel caso di plurime difformità di cui solo alcune rientrino nelle soglie di tolleranza?
Ove la difformità riguardi due distinti parametri (ad esempio, superficie coperta e altezza) e soltanto uno dei due superi la percentuale massima di scostamento indicata al comma 1-bis o al comma 1, potrà procedersi a dichiarare la tolleranza con riferimento alla difformità rientrante nella predetta percentuale, mentre occorrerà un procedimento edilizio in sanatoria per quella che superi tale soglia.
Rispetto al richiamo – tanto al comma 1-bis come al comma 1 – ad una pluralità di parametri, occorre preliminarmente evidenziare come le tipologie di difformità indicate dal legislatore non siano cumulative, ma alternative. La disposizione di cui al comma 1-bis – al pari di quella contenuta all’interno del comma 1- trova applicazione, pertanto, anche laddove ricorra anche una sola delle difformità indicate, nei limiti della soglia percentuale prevista dal legislatore.
(14) Consiglio di Stato, sez. II, sent. 11 marzo 2024, n. 2321: “la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate; sul punto si può richiamare quanto statuito da Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4919, secondo cui la valutazione dell'abuso edilizio presuppone, tendenzialmente, una visione complessiva e non atomistica dell'intervento, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio. Ne consegue che, nel rispetto del principio costituzionale di buon andamento, l'amministrazione comunale deve esaminare contestualmente l'intervento abusivamente realizzato, e ciò al fine precipuo di contrastare eventuali artificiose frammentazioni che, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell'abuso e di una conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può, se del caso, essere rilasciato, prospettino una scomposizione virtuale dell'intervento finalizzata all'elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa”.
(15) In sostanza, il legislatore si è limitato a esplicitare una regola già insita nel sistema, con la conseguenza che la previsione deve ritenersi in parte qua non innovativa e, quindi, operante anche per queste difformità realizzate prima della sua entrata in vigore. La portata ricognitiva della regola può affermarsi alla luce del principio affermato nella sent. n. 43/2020 della Corte Costituzionale, con cui la Corte si è pronunciata sul ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri avverso l’art. 13 della l.r. della Sardegna n. 1 del 2019, che aveva ricondotto entro la cornice dettata dalla normativa statale in materia di “cosiddetta tolleranza di cantiere” una norma (art. 7, comma 1-bis, della legge regionale 11 ottobre 1985, n. 23), sulla disciplina delle misure legali minime, individuate dalle disposizioni in materia di distanze e di requisiti igienico-sanitari.
(16) Articolo 34-bis, commi 3 e 3-bis
3. Le tolleranze esecutive di cui al presente articolo realizzate nel corso di precedenti interventi edilizi, non costituendo violazioni edilizie, sono dichiarate dal tecnico abilitato, ai fini dell'attestazione dello stato legittimo degli immobili, nella modulistica relativa a nuove istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie ovvero con apposita dichiarazione asseverata allegata agli atti aventi per oggetto trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di diritti reali.
3-bis. Per le unità immobiliari ubicate nelle zone sismiche di cui all'articolo 83, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'articolo 83, il tecnico attesta altresì che gli interventi di cui al presente articolo rispettino le prescrizioni di cui alla sezione I del capo IV della parte II. Tale attestazione, riferita al rispetto delle norme tecniche per le costruzioni vigenti al momento della realizzazione dell'intervento, fermo restando quanto previsto dall'articolo 36-bis, comma 2, corredata della documentazione tecnica sull'intervento predisposta sulla base del contenuto minimo richiesto dall'articolo 93, comma 3, è trasmessa allo sportello unico per l'acquisizione dell'autorizzazione dell'ufficio tecnico regionale secondo le disposizioni di cui all'articolo 94, ovvero per l'esercizio delle modalità di controllo previste dalle regioni ai sensi dell'articolo 94-bis, comma 5, per le difformità che costituiscono interventi di minore rilevanza o privi di rilevanza di cui al comma 1, lettere b) e c), del medesimo articolo 94-bis. Il tecnico abilitato allega alla dichiarazione di cui al comma 3 l'autorizzazione di cui all'articolo 94, comma 2, o l'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento rilasciata ai sensi dell'articolo 94, comma 2-bis, ovvero, in caso di difformità che costituiscono interventi di minore rilevanza o privi di rilevanza, una dichiarazione asseverata circa il decorso del termine del procedimento per i controlli regionali in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di esito negativo dei controlli stessi.
3-ter. L'applicazione delle disposizioni contenute nel presente articolo non può comportare limitazione dei diritti dei terzi.
(17) Secondo cui “Il contenuto minimo del progetto è determinato dal competente ufficio tecnico della regione. In ogni caso il progetto deve essere esauriente per planimetria, piante, prospetti e sezioni, relazione tecnica e accompagnato dagli altri elaborati previsti dalle norme tecniche.”
--> Per approfondire alcuni aspetti:
Consiglio di Stato, Sezione III - Sentenza 4 novembre 2024, n. 8757
TAR Toscana - sentenza del 26 giugno 2024, n. 784
Consiglio di Stato, Sezione IV – Sentenza 29 maggio 2024, n. 4818
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