Risposta del Geom. Salvatore Di Bacco
QuesitiSi chiede se è possibile sviluppare un progetto di agricoltura e allevamento con gestione privata su un terreno gravato da uso civico di categoria a), ubicato in Regione Campania, ma che versa in condizioni di abbandono da 40 anni. Diversamente, è possibile permutare tale terreno con un altro terreno, di superficie maggiore, dove effettivamente vi è l'utilizzo collettivo pur non essendo gravato da uso civico? O, ancora, è possibile svincolarlo dall'uso civico temporaneamente?
In riferimento al quesito di cui sopra si rappresenta che gli usi civici rappresentano invero una categoria giuridica complessa che comportano numerose problematiche anche in sede di circolazione immobiliare.
La legge n. 1766 del 1927 e il regolamento di esecuzione R.D. n. 332 del 1928 sono stati i primi atti legislativi organici aventi ad oggetto la disciplina dell’accertamento, della liquidazione e della destinazione delle terre pubbliche gravate da usi civici.
Tuttavia, né tale normativa, né la giurisprudenza hanno espressamente chiarito la natura giuridica degli usi civici, limitandosi ad affermarne il regime giuridico: incommerciabilità, inusucapibilità, imprescrittibilità, nonché immodificabilità della destinazione delle terre gravate da uso civico.
Un diverso regime giuridico caratterizza gli usi civici gravanti su terre di proprietà privata e gli usi civici gravanti su terre di dominio della collettività. I primi non impediscono la circolazione dei terreni di proprietà privata su cui gravano, ma il terreno, in assenza di “liquidazione”, continuerà ad essere gravato dall’uso civico. Una disciplina diversa è prevista per gli usi civici gravanti su terre di dominio della collettività. La giurisprudenza ha costantemente assimilato queste terre “collettive” ai beni demaniali, applicando, conseguentemente, il regime giuridico previsto per questi ultimi: inalienabilità, inusucapibilità e imprescrittibilità. Pertanto, tali terreni non possono essere oggetto di disposizione se non nei modi e nei limiti fissati dalla legge. E infatti, la Legge n. 1766 del 1927 prevede una peculiare regolamentazione in merito: nelle terre utilizzabili come bosco o come pascolo permanente, l'uso civico è destinato a durare indefinitamente e la loro alienazione può avvenire solo previa autorizzazione amministrativa ai sensi dell’articolo 12 della Legge n. 1766/1927 e della normativa regionale vigente; nelle terre utilizzabili a coltura agraria il fondo agricolo è destinato ad essere “quotizzato”, cioè ripartito per quote ed assegnato alle famiglie di coltivatori diretti del Comune, a titolo di enfiteusi, con obbligo di migliorie e verso il pagamento di un canone, a sua volta affrancabile.
Una ricostruzione chiara dell’istituto è rinvenibile nella sentenza 71/2020 della Corte Costituzionale. Detta pronuncia precisa che con il DPR 11/1972 e con il DPR 616/1977 sono state trasferite dallo Stato alle Regioni le sole funzioni amministrative connesse alle ipotesi di liquidazione degli usi civici, ma non la potestà di emanare norme derogatorie di quelle statali, attraverso l’introduzione di nuove ipotesi di cessazione degli usi civici, non previste dalla normativa statale.
Gli usi civici, la cui rilevanza pubblicistica risale, nella maggior parte dei casi, ad epoca anteriore all’unità d’Italia, sono stati rafforzati in tale carattere a partire dal 1985, quando furono inseriti tra le zone di particolare interesse paesistico-ambientale. Infatti, il decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431, aveva inserito nella disciplina paesistico-ambientale le situazioni dominicali rientranti nell’onnicomprensiva locuzione “usi civici”. La competenza statale nella materia trova attualmente la sua espressione nell’art. 142 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), le cui disposizioni fondamentali la Corte Costituzionale ha qualificato come norme di grande riforma economico-sociale (sentenze n. 207 e n. 66 del 2012, n. 226 e n. 164 del 2009 e n. 51 del 2006): esse si impongono pertanto al rispetto del legislatore regionale.
La legge n. 168 del 2017, oltre che riferirsi ai soli domini collettivi, nulla modifica in ordine alle tipologie di sclassificazione previste dalla legge n. 1766 del 1927 e dal regolamento attuativo. Peraltro, anche per i domini collettivi, l’art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017 ribadisce che «[i]l regime giuridico dei beni di cui al comma 1 resta quello dell’inalienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale».
Dunque, un bene gravato da uso civico non può essere oggetto di sclassificazione al di fuori delle ipotesi tassative previste dalla legge n. 1766 del 1927 e dal r.d. n. 332 del 1928, per il particolare regime della sua titolarità e della sua circolazione, che lo assimila ad un bene appartenente al demanio; in tale contesto, l’articolo 3 della Legge n. 168/2017 ha ribadito che: “l'ordinamento giuridico garantisce l'interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio. Tale vincolo è mantenuto sulle terre anche in caso di liquidazione degli usi civici”.
In altri termini, tutti i terreni gravati da usi civici costituiscono elemento fondamentale del patrimonio ambientale, la cui salvaguardia è affidata unicamente all’ordinamento statale.
Con la sentenza 228/2021 la Corte Costituzionale sottolinea la consolidata vocazione ambientalista degli usi civici e dei domini collettivi che chiama in causa la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenza n. 103 del 2017), oltre quella in materia di «ordinamento civile». Inoltre detta vocazione ambientalista è ora chiaramente affermata dalla stessa legge n. 168 del 2017, nella parte in cui stabilisce che, con l’imposizione del vincolo paesaggistico, l’ordinamento giuridico garantisce l’interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio ed aggiunge che «[t]ale vincolo è mantenuto sulle terre anche in caso di liquidazione degli usi civici» (art. 3, comma 6). Dalla legge n. 168 del 2017 emerge la nozione di «dominio collettivo» come diritto reale, riservato a una comunità, di usare e godere congiuntamente in via individuale o collettiva di un bene fondiario o di un corpo idrico sulla base di una norma preesistente all’ordinamento dello Stato italiano. Già prima dell’entrata in vigore della nuova legge, si riteneva che titolari del diritto fossero i singoli appartenenti ad una determinata collettività…si riconoscevano poteri strumentali di amministrazione, gestione, disposizione e tutela all’ente esponenziale degli interessi di quell’aggregato (Comune o associazione degli utenti). La legge n. 168 del 2017 ha confermato questo assetto quanto alla individuazione dei soggetti titolari del diritto: questi vanno sempre identificati nei singoli soggetti che fanno parte di una determinata collettività. Con riguardo poi all’oggetto del rapporto giuridico di proprietà collettiva, deve rilevarsi che il regime dei beni gravati da usi civici (ora oggetto di domini collettivi) non è mutato nella sostanza. Esso è improntato ai principi della intrasferibilità (sia inter vivos che mortis causa), inusucapibilità, imprescrittibilità e indivisibilità. La regola generale, desumibile dalla legge n. 1766 del 1927, rimane quella per cui un bene gravato da uso civico non può essere oggetto di alienazione o di liquidazione al di fuori delle ipotesi tassative contemplate dalla legge stessa e dal regolamento dettato per la sua esecuzione. In definitiva, afferma la Corte Costituzionale, sia prima che dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione il regime civilistico dei beni civici non è mai passato nella sfera di competenza delle Regioni e i decreti del Presidente della Repubblica con cui sono state trasferite, a queste ultime, le funzioni amministrative non consentivano nel vigore del vecchio Titolo V (né consentono oggi, nel mutato assetto costituzionale) alle Regioni di invadere, con norma legislativa, la disciplina di tali assetti fondiari collettivi, estinguendoli, modificandoli o alienandoli.
Merita segnalare che con l’entrata in vigore della Legge 29 luglio 2021 n. 108, di conversione del Decreto Legge 31 maggio n. 77, sono state apportate novità in tema di usi civici. Nell’iter di conversione parlamentare del DL, infatti, è stato introdotto un articolo, il 63-bis, che interviene in materia di trasferimenti di diritti di uso civico e permute aventi a oggetto terreni a uso civico. Nello specifico, mediante l’introduzione di tre nuovi commi (8-bis, 8-ter e 8-quater) all’art. 3 della Legge 20 novembre 2017, n. 168, si prevede che le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano possano consentire ai Comuni i trasferimenti di diritti di uso civico e le permute – nei casi di terreni appartenenti al demanio civico in situazione di accertata e irreversibile trasformazione – in altre aree appartenenti al patrimonio disponibile degli Enti territoriali e locali, esclusivamente per terreni di superficie e valore equivalente. Affinché questo possa avvenire, i terreni: devono aver perso irreversibilmente la conformazione fisica o la destinazione funzionale di terreni agrari, boschivi o pascolativi per oggettiva trasformazione prima della data di entrata in vigore della legge 8 agosto 1985, n. 431, e le eventuali opere realizzate siano state autorizzate dall’amministrazione comunale; devono essere stati utilizzati in conformità ai vigenti strumenti di pianificazione urbanistica; non devono essere stati trasformati in assenza dell’autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa. I trasferimenti di diritti di uso civico e le permute hanno a oggetto terreni di superficie e valore ambientale equivalenti che appartengono al patrimonio disponibile degli enti. Questi terreni vengono di conseguenza demanializzati, mentre quelli dai quali sono trasferiti i diritti di uso civico vengono di conseguenza sdemanializzati e su di essi è mantenuto il vincolo paesaggistico. La norma punta a risolvere una criticità derivante dalla precedente impossibilità, per i Comuni, di rilasciare l’attestazione relativa alla proprietà delle opere realizzate su terreni a uso civico in conformità agli strumenti di pianificazione urbanistica, inibendo, ad esempio, l’accesso dei proprietari a misure di agevolazioni fiscale.
14 maggio 2025
Geom. Salvatore di Bacco
Parole chiave: progetto, agricoltura, allevamento, gestione privata, terreno, uso civico, abbandono
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