Autolimitazione del potere di accertamento: art. 59 D.lgs. N. 446/1997

Approfondimento di Luciano Catania

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di Catania Luciano
03 Maggio 2018

Approfondimento di Luciano Catania                                                                          

AUTOLIMITAZIONE DEL POTERE DI ACCERTAMENTO: ART. 59 D.LGS. N. 446/1997

 

Luciano Catania

 

L’ente locale può, con proprio regolamento, emanato ai sensi dell’art. 52 D. Lgs 15 dicembre 1997 n. 446, determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della limitazione del proprio potere di accertamento.

La misura, specificatamente prevista dall’art. 59 dello stesso D. Lgs. n. 446/1997, costituisce un metodo di collaborazione tra il comune-ente impositore ed il cittadino-contribuente nonché uno strumento deflattivo del contenzioso.

L’ente, nell’ambito della propria discrezionalità tecnica, fissa dei valori per le aree fabbricabili e, qualora l'imposta versata sia stata calcolata in conformità a un valore superiore a quello predeterminato, il comune si autopreclude la possibilità di accertare un tributo più elevato.

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 23800 dell’11 ottobre 2017, ha evidenziato come la determinazione regolamentare dei valori venali, per zone omogenee, abbia natura presuntiva, sottraendo all’accertamento il contribuente che vi aderisca, con funzione analoga agli studi di settore (Cass. 3 maggio 2005, n. 9135, Rv. 583459; Cass. 7 maggio 2010, n. 11171, Rv. 612834; Cass. 13 marzo 2015, n. 5068, Rv. 635340).

Si tratta di una presunzione relativa, superabile dal contribuente qualora lo stesso ritenga che il valore determinato dall’Ente sia superiore a quello venale del proprio terreno edificabile.

La norma, che il Comune ha la facoltà e non l’obbligo di adottare, serve solo a determinare l’eventuale autolimitazione del potere di accertamento.

Essendo una norma di natura regolamentare, il potere della sua emanazione appartiene al Consiglio comunale.

Un provvedimento emanato dalla Giunta non avrebbe valore vincolante ma potrebbe, comunque, rappresentare una direttiva interna rivolta all'ufficio.

Si tratta di una mera facoltà concessa all’Ente che potrebbe anche decidere di rimanere libero di accertare qualsiasi dichiarazione del contribuente, prescindendo dal valore posto a base del tributo. Per tale ragione, fermi restando gli elementi essenziali di qualsiasi atto amministrativo, la delibera di determinazione, per zone omogenee, del valore venale delle aree fabbricabili, è difficilmente censurabile ed impugnabile.

L’istanza del ricorrente di annullamento dell’atto di fissazione dei valori di riferimento per zone omogenee, infatti, finirebbe per il cassare una norma emanata ad esclusivo vantaggio del contribuente.

L’eventuale annullamento (da parte del giudice amministrativo) o disapplicazione (da parte del giudice tributario) della norma di autolimitazione determinerebbe la sottoposizione ad accertamento dei proprietari (o titolari di altro diritto reale) anche qualora avessero dichiarato un valore superiore a quello determinato dalla giunta o dal consiglio comunale.

Il contenzioso tributario sul valore dell’area fabbricabile va eventualmente coltivato, da parte del contribuente, lungo altre direttrici, di diritto o di merito e non certamente sul valore stabilito dall’Ente per vincolare il proprio potere accertativo.

Se la delibera di autolimitazione è stata approvata dal Consiglio comunale, il provvedimento può avere rilievo in sede di contenzioso tributario solo se l’ente locale ha, poi, effettuato l’accertamento sebbene il contribuente abbia versato un’imposta superiore a quella determinabile con la norma regolamentare.

Qualora fosse stata la Giunta comunale ad adottare il provvedimento di autolimitazione, tale atto non avrebbe forza di norma regolamentare ma di semplice direttiva interna.

Il problema, in questo caso, si pone qualora il Comune abbia proceduto ad accertamento sebbene il versamento di un’imposta superiore a quello determinato dall’organo esecutivo.

E’ vero che la delibera di Giunta non ha forza di norma regolamentare (e, quindi, l’ente non sarebbe vincolato all’autolimitazione del potere di accertamento) ma il giudice dovrebbe tenere conto di quanto disposto dallo Statuto del contribuente ed in particolare dall’art. 10 del D.Lgs. 27 luglio 2000 n. 212, in materia di tutela dell’affidamento e buona fede.

Sarebbe di dubbia legittimità l’irrogazione di sanzioni e d’interessi moratori, poiché il contribuente si sarebbe conformato a indicazioni contenute in atti dell'ente impositore.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21830 del 28 ottobre 2016, ha sancito la possibilità, per il Comune, di derogare al criterio di autolimitazione qualora il contribuente non abbia versato tempestivamente l'imposta sulla base dei valori predeterminati. In tale caso, il Comune non è tenuto ad applicare i valori deliberati ma può discostarsi da essi proprio perché il contribuente non se n'è avvalso.

La Corte ritiene, inoltre, che per godere dell'autolimitazione il contribuente debba eseguire il versamento dell'imposta tempestivamente.

Ad ulteriore sostegno di tale principio, nella sentenza n. 23798/2016 la Corte non ha ammesso l'autolimitazione prevista dall'articolo 59 del D. Lgs. n. 446/1997 per il contribuente che ha tardivamente versato l'imposta conformemente ai valori tabellari attraverso il ravvedimento operoso.
Con la già richiamata recente sentenza n. 23800/2017, gli ermellini hanno ribadito il principio che non possa beneficiare dell’esenzione dall’accertamento chi non abbia tempestivamente versato l’imposta sul valore predeterminato ed, a maggior ragione, chi ha mancato di dichiarare valore alcuno. La lettera
dell’art. 59, comma 1, lett. g), d.lgs. 446/1997, infatti, garantisce la possibilità di usufruire dell’esenzione dell’accertamento solo “qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato”.  

18 aprile 2018

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