La prescrizione degli oneri concessori e delle relative sanzioni e la possibilità di rettifica: vademecum operativo

Approfondimento di Mario Petrulli

Servizi Comunali Oneri concessori
di Petrulli Mario
25 Maggio 2018

Approfondimento di Mario Petrulli                                                                          

LA PRESCRIZIONE DEGLI ONERI CONCESSORI E DELLE RELATIVE SANZIONI E LA POSSIBILITÀ DI RETTIFICA: VADEMECUM OPERATIVO

di Mario Petrulli

 

  1. La prescrizione degli oneri concessori
    Secondo consolidata giurisprudenza[1] ed in assenza di diversa disposizione normativa specifica, il diritto a riscuotere gli oneri concessori è soggetto all’ordinario termine di prescrizione decennale per il combinato disposto degli artt. 2946 e 2936 c.c.: l’applicazione del suddetto termine ordinario è giustificato dalla circostanza che nella determinazione delle somme dovute a titolo di oneri concessori, l‘Amministrazione non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie attività di mero accertamento della fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da regolamenti, per cui le relative controversie rientrano nella categoria di quelle aventi ad oggetto atti paritetici, inerenti diritti soggettivi.
    È importante individuare, per la concreta attuazione della regola suddetta, il giorno a partire dal quale decorre tale termine. In alcune sentenze è stato affermato che la data da tenere in considerazione, quale termine iniziale, è quella di emanazione[2] del provvedimento concessorio; in altri casi, la giurisprudenza ha indicato, quale termine iniziale, il giorno del rilascio[3] del titolo edilizio, data in cui il relativo credito diviene certo, liquido (o agevolmente liquidabile) ed esigibile[4]. Questa seconda soluzione appare preferibile, perché potrebbe “spostare in avanti” la decorrenza, a favore della pretesa del Comune.
    Il termine ordinario decennale di prescrizione vale, ovviamente, sia per la quota relativa agli oneri di urbanizzazione sia per quella concernente il costo di contribuzione[5].
     
     
  2. La prescrizione delle sanzioni
    In più occasioni la giurisprudenza[6] ha affermato che, ai sensi dell’art. 28 della Legge 24 novembre 1981, n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge a tutte le sanzioni amministrative di tipo afflittivo, il termine di prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque anni e decorre dalla data in cui è stata commessa la violazione.
    In realtà, di recente la giurisprudenza sembra aver modificato il proprio orientamento: il TAR Puglia, Bari, sez. III, nella sent. 22 maggio 2018, n. 725, ha ritenuto non condivisibile tale orientamento che applica il regime di prescrizione proprio della sanzioni amministrative), dal momento che in materia di oneri concessori, la specialità della sanzione fa rientrare il potere sanzionatorio nella disciplina urbanistico-edilizia secondo la regola dell’accessorium sequitur principale. Di conseguenza, secondo i giudici baresi, poiché in materia di oneri di urbanizzazione si applica l’ordinario termine decennale, anche alle sanzioni per ritardato pagamento si applica il medesimo termine di prescrizione.
     
     
  3. La rettifica

Secondo la giurisprudenza[7], la natura paritetica dell'atto di determinazione degli oneri di urbanizzazione consente che l'Amministrazione possa apportarvi rettifiche (sia in favore del privato che in senso contrario), purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione del relativo diritto di credito. E ciò in quanto il computo degli oneri di urbanizzazione non è attività autoritativa e la contestazione sulla relativa corresponsione è proponibile nel termine di prescrizione decennale a prescindere dall'impugnazione dei provvedimenti adottati o dal sollecito a provvedere in via di autotutela. Trattasi infatti, nel caso di specie, di una determinazione che "obbedisce" a prescrizioni desumibili da tabelle, in ordine alla quale l'amministrazione comunale si limita ad applicare i detti parametri, (conseguentemente per la stessa rivestenti natura cogente) laddove è esclusa qualsivoglia discrezionalità applicativa. La pariteticità dell'atto e l'assenza di discrezionalità ne legittima o addirittura ne impone la revisione ove affetta da errore, con il solo limite della maturata prescrizione del credito. L’originaria determinazione, pertanto, può essere sempre rivisitata, ove la si assuma affetta da errore (e fermo restando la necessità che detta originaria erroneità della determinazione iniziale sussista effettivamente), e ciò sia laddove essa abbia indicato un importo inferiore al dovuto, che laddove abbia quantificato un importo superiore e, pertanto, non dovuto. Per quanto ovvio, la rettifica deve avere adeguato corredo motivazionale.

 

 

 

 

 

 

 

[1] TAR Lombardia, Milano, sez. I, sent. 10 luglio 2017, n. 1565; TAR Piemonte, sez. I, sent. 13 marzo 2017, n. 353; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 16 aprile 2014, n. 2170; TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 9 febbraio 2017, n. 218; TAR Marche, sent. 23 maggio 2016, n. 321; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 4 maggio 2016, n. 996.

[2] TAR Piemonte, sez. I, sent. 13 marzo 2017, n. 353; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 18 gennaio 2012, n. 126; TAR Marche, sent. 23 maggio 2016, n. 321; TAR Lombardia, Milano, sez. VI, sent. 7 maggio 2012, n. 1274.

[3] TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 9 febbraio 2017, n. 218; TAR Campania, Napoli, sez. II, sent. 7 novembre 2016, n. 5147; Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 10 giugno 2014, n. 2950.

[4] I due termini non sono equivalenti: mentre la data di emanazione coincide con quella in cui il provvedimento concessorio viene adottato, la data di rilascio indica quella in cui il titolare viene a conoscenza dell’esistenza del provvedimento. 

La questione è connessa alla data del permesso di costruire e all’avvio dei lavori che, come è noto, deve avvenire entro l’anno dal rilascio del titolo (art. 15 del T.U. Edilizia – DPR n. 380/2001)

Secondo la giurisprudenza (TAR Sicilia, Palermo, sez. II, sent. 1° febbraio 2011, n. 181 e Catania, sez. I, sent. 7 aprile 2009, n. 678), visto che il permesso di costruire è un provvedimento amministrativo “recettizio” che si perfeziona con la comunicazione agli interessati[4] e considerato che il termine di inizio lavori è posto anche a tutela dell’interesse del privato per consentirgli di predisporre i mezzi necessari all’esecuzione dei lavori, tale termine non può che decorrere dalla data di consegna dell’atto. Tale tesi riconosce che il termine “rilascio” contenuto nella norma citata non appare univoco, potendo sostanzialmente significare sia la “emanazione” che la “consegna” dell’atto, ritenendo preferibile il secondo significato che appare più rispondente al lessico del legislatore, se si considera che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione” dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data di adozione” o, più semplicemente “adozione”. Ad ulteriore conferma, il medesimo orientamento osserva che in un contesto procedimentale doveroso che trae origine dalla istanza di parte, il termine “rilascio” non può non equivalere a “consegna” del documento perché l’interesse della parte è di natura pretensiva, ossia attiene alla acquisizione di una specifica utilità, che può derivargli solo da un provvedimento espresso debitamente portato a conoscenza dell’interessato nella sua interezza e quindi anche per ciò che riguarda l’espletamento di determinate attività entro specifici termini posti a pena di decadenza.

Secondo la dottrina (Giorgio Pagliari, Corso di diritto urbanistico, V ed., Giuffrè, 2015, pag. 487), invece, il termine iniziale decorre dal momento in cui il permesso di costruire esiste, ossia dall’emanazione del provvedimento, visto che è onere del titolare attivarsi per averne conoscenza (fatta salva l’ipotesi in cui la normativa regionale o regolamentare comunale preveda la notifica del permesso di costruire al titolare: in questa ipotesi, ovviamente, il termine decorre da tale momento).

[5] TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 9 febbraio 2017, n. 218.

[6] TAR Piemonte, sez. I, sent. 13 marzo 2017, n. 353; TAR Toscana, sez. III, sent. 23 dicembre 2014, n. 2140; TAR Sardegna, sez. II, sent. 11 dicembre 2014, n. 1074: nell’occasione i giudici hanno affermato che “Per quanto riguarda il regime della prescrizione delle sanzioni per ritardato pagamento degli oneri concessori, il consolidato e persuasivo orientamento della giurisprudenza amministrativa (cfr., tra le altre, T.A.R. Sardegna, Sez. II, n. 258/2009; idem n. 70/2008) è concorde nell’affermare che il termine di prescrizione della sanzione irrogata per ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri di urbanizzazione e per il costo di costruzione, in mancanza di una diversa disciplina legale, è di cinque anni in applicazione della normativa dettata dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981, la quale è estesa dall’art. 12 della stessa legge a “tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale”.

Ed invero, il suddetto art. 28, che fissa in cinque anni il termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute, in virtù della disposta estensione prevista dall’art. 12 della stessa legge, si applica a tutte le sanzioni amministrative di tipo afflittivo, tra le quali deve essere ricompresa quella conseguente al ritardato od omesso versamento dei contributi afferenti la concessione edilizia (oggi, permesso di costruire), atteso che l’irrogazione della stessa, essendo volta a sanzionare la non puntuale osservanza dell’obbligo contributivo, presenta di certo carattere afflittivo, e ciò la prefigura svincolata da ogni forma di protezione diretta dell’interesse di natura urbanistica.

Sempre a norma del citato art. 28, il “...diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni indicate dalla presente legge si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione…”.

[7] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 27 settembre 2017, n. 4515.

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