Membro di commissione concorso con partita IVA e eventuale fattura per compenso
Risposta del Dott. Massimo Monteverdi
Risposta al quesito del Dott. Pietro Cucumile
QuesitiLo scrivente Ente deve procedere alla nomina di una Commissione di concorso, a tal fine si chiede se sussiste l'incompatibilità alla nomina di un commissario, responsabile del Servizio amministrativo presso altro Ente, al cui concorso ha presentato domanda, ed è stato ammesso, un candidato il quale svolge le funzioni di assessore presso il medesimo Ente ove tale commissario è dipendente. Inoltre, si chiede se l'eventuale sussistenza dell'incompatibilità è confermata da pronunce giurisprudenziali.
Al fine di garantire la par condicio nelle procedure concorsuali, i commissari si devono astenere ogni qual volta sia ipotizzabile anche solo un potenziale “conflitto di interessi” con uno dei candidati. Questo il principio espresso dal T.A.R. Sicilia, Palermo, con la sentenza n. 2397 del 18 ottobre 2016.
La normativa generale in materia di procedure concorsuali (D.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, recante le norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi), dispone testualmente all’art. 11 che i componenti della commissione “presa visione dell’elenco dei partecipanti, sottoscrivono la dichiarazione che non sussistono situazioni di incompatibilità tra essi ed i concorrenti, ai sensi degli articoli 51 e 52 del codice di procedura civile”.
Segnatamente, l’articolo 51 c.p.c. sancisce che il giudice (e il commissario di concorso) ha l’obbligo di astenersi quando si trova in rapporto con l’oggetto della causa oppure con le parti, ovverosia nei seguenti casi:
1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o è convivente o “commensale abituale” di una delle parti o di alcuno dei difensori;
3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o “grave inimicizia” o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa.
Con formula di chiusura lo stesso art. 51 stabilisce, infine, che, in ogni altro caso in cui esistano “gravi ragioni di convenienza”, il giudice ha facoltà di richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi, rimettendo quindi, in capo allo stesso soggetto, la valutazione in ordine a quelle gravità.
La norma, dunque, impone al giudice (e al commissario) di astenersi quando ha con la parte (candidato) contatti e rapporti frequenti e intensi tali da pregiudicare l’imparzialità e la serenità di giudizio.
Il quadro normativo è oggi in parte mutato a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 190/2012 (c.d. legge anticorruzione) che ha aggiunto l’articolo 6-bis alla legge 241/1990, sul procedimento amministrativo.
Tale disposizione impone a tutti i soggetti che a qualunque titolo intervengono nel procedimento amministrativo (formulando pareri, valutazioni tecniche e atti endoprocedimentali o adottando il provvedimento finale) di astenersi “in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.
Tale norma, va ulteriormente precisato, riguarda non solo chi è chiamato ad espletare compiti di natura gestionale, ma è applicabile anche alle commissioni giudicatrici nei concorsi pubblici, le quali debbono garantire anch’esse nella loro composizione “trasparenza, obiettività e terzietà di giudizio”, rappresentando questi dei principi irrinunciabili a tutela della parità di trattamento fra i diversi aspiranti ad un posto pubblico. Pertanto, la posizione rivestita del valutatore del concorso, deve essere di terzietà rispetto ai concorrenti e non di mera imparzialità.
Il principio di “astensione”, deve essere applicato tutte le volte che possa manifestarsi un “sospetto”, consistente, di violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento.
Pertanto, tutte le volte che sia ipotizzabile un potenziale “conflitto di interessi” – anche atipico, suscettibile in concreto di riflettersi negativamente sull’andamento del procedimento per fatti oggettivi, anche di sola potenziale compromissione dell’imparzialità, oppure tali da suscitare ragionevoli e non meramente strumentali dubbi sulla percepibilità effettiva dell’imparzialità di giudizio nei destinatari dell’attività amministrativa e nei terzi – il soggetto facente parte della commissione giudicatrice deve, innanzi tutto, segnalare all’autorità che lo ha nominato “tale situazione di conflitto, anche potenziale” e, poi, deve necessariamente astenersi (cfr. T.A.R. Sardegna, sez. I, senti n. 459/2013).
In particolare, il conflitto di interessi può esprimersi non solo in termini di grave “inimicizia” nei confronti di un candidato, ma anche in tutte le ipotesi di peculiare “amicizia” o assiduità nei rapporti (personali, scientifici, lavorativi, di studio), rispetto ad un concorrente.
In presenza di legami idonei a radicare il sospetto di parzialità e, dunque, a determinare anche solo il dubbio di un sostanziale “turbamento” o “offuscamento” del principio di imparzialità, non è necessario comprovare che questi si possano concretizzare in un effettivo favore verso il candidato, essendo sufficiente a radicare l’incompatibilità anche il “solo pericolo” di una compromissione dell’imparzialità di giudizio.
Nelle procedure di concorso, costituiscono, quindi, cause di incompatibilità dei componenti la Commissione esaminatrice, oltre ai rapporti di coniugio e di parentela e affinità fino al quarto grado, le relazioni personali fra esaminatore ed esaminando che siano tali da far sorgere il sospetto che il candidato sia stato giudicato non in base al risultato delle prove, ma in virtù delle conoscenze personali o, comunque, di circostanze non ricollegabili all’esigenza di un giudizio neutro, o un interesse diretto o indiretto, e comunque tale da ingenerare il fondato dubbio di un giudizio non imparziale, ovvero stretti rapporti di amicizia personale (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sent. n. 716/2001).
Pertanto, se è pur vero che, di regola, la sussistenza di singoli e occasionali rapporti di collaborazione tra uno dei candidati ed un membro della Commissione esaminatrice, non comporta sensibili alterazioni della par condicio tra i concorrenti, è altrettanto vero che l’esistenza di un rapporto di collaborazione costante (per non dire assoluta) determina necessariamente un particolare vincolo di amicizia tra i detti soggetti, che è idonea a determinare una situazione di incompatibilità dalla quale sorge l’obbligo di astensione del commissario, pena, in mancanza, il viziare in toto le operazioni concorsuali (cfr. T.A.R. Sicilia, sent. n. 2397/2016).
Come evidenziato, poi, dall’Anac nella delibera n. 209 del 1° marzo 2017, la valutazione della ricorrenza di una causa di incompatibilità di cui all’articolo 51 c.p.c spetta all’amministrazione che deve effettuare uno stringente controllo sulle autodichiarazioni rilasciate dai commissari, le quali devono riportare l’indicazione della tipologia di eventuali rapporti a qualsiasi titolo intercorsi o in essere con i candidati.
Quindi, con formula di chiusura, lo stesso art. 51 stabilisce che, in ogni altro caso in cui esistano “gravi ragioni di convenienza”, il giudice (rectius commissario) ha facoltà di richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi, rimettendo quindi, in capo allo stesso soggetto, la valutazione in ordine a quelle gravità.
Orbene, la giurisprudenza amministrativa è ferma nell’affermare che i componenti delle commissioni dei pubblici concorsi hanno l’obbligo di astenersi solamente quando ricorrono le condizioni (eventualmente) poste dalla normativa di settore e una, o più, delle condizioni previste dal riportato art. 51, con i soli margini di apertura rappresentati dall’opera di ermeneutica giurisprudenziale che si è delineata nel tempo, anche al fine di adattare la norma processualcivilistica alla specifica materia dei concorsi pubblici.
Nello specifico, e soprattutto con riferimento ad ambiti del pubblico impiego, è stato costantemente escluso che la sussistenza tra commissario e candidato di rapporti accademici e/o di ufficio, di frequentazione di corsi tenuti da docenti-commissari, di pubblicazione congiunta di lavori scientifici, di condivisione di contributi scritti, di percezione di diritti d’autore, siano situazioni idonee a integrare gli estremi delle cause d’incompatibilità previste dall’art. 51 c.p.c. (cfr. C.d.S., sez. III, 28.4.2016, n. 1628; id., sez. VI, 27.4.2015, n. 2119; id., sez. VI, 3.7.2014, n. 3366; id., C.d.S., sez. VI, 18.7.2014 n. 3850; id., sez. VI, 3.6.2010, n. 3496); che un pregresso rapporto di lavoro, pur caratterizzato da una certa intensità, sia elemento sufficiente a configurare un vero e proprio sodalizio professionale o a determinare una comunanza di interessi economici o di vita di tale intensità da rendere necessaria l’astensione dalla partecipazione alla commissione di concorso (cfr. C.d.S., sez. III, 20.1.2016, n. 192); che la conoscenza personale, l’appartenenza allo stesso ufficio e il legame di subordinazione tra un componente della commissione e il candidato rientrino nelle ipotesi di astensione di cui allo stesso art. 51 (cfr. C.d.S., sez. V, 17.11.2014, n. 5618; id., C.d.S., sez. VI, 18.7.2014, n. 3851); che sia obbligato all’astensione il presidente che ha diretto il dottorato di ricerca espletato dal candidato poi risultato vincitore (cfr. C.d.S., sez. VI, 24.5.2006, n. 3087); che l’iscrizione di commissario e candidato alla medesima organizzazione sindacale sia causa di astensione, non trovando essa fondamento in alcun dato normativo (cfr. C.d.S., sez. VI, 23.9.2014, n. 4789).
Le pronunce prese in esame (peraltro rappresentative di tante altre rinvenibili nella materia) affermano e ribadiscono tutte gli stessi principi sopra ricordati e poi, analizzando in punto di fatto le singole, specifiche fattispecie sottoposte a giudizio, rilevano che l’accertata sussistenza di un “rapporto”, di una “certa colleganza” tra commissario e candidato, non determinava il sorgere dell’obbligo di astensione perché quel rapporto, quella certa colleganza, non implicava “anche una comunanza di interessi, economici, di vita, … in assenza di ulteriori e specifici indicatori di una situazione di particolare intensità e sistematicità tale da dar luogo a un vero e proprio sodalizio professionale” (cfr., per tutte, C.d.S., n. 1628 del 2016, n. 192 del 2016, n. 4789 del 2014).
Difatti, solo quando i rapporti personali e/o professionali risultano di rilievo e intensità tali da far sorgere anche il solo sospetto che il candidato sia giudicato non in base al risultato delle prove bensì in virtù della conoscenza personale con il commissario d’esame sorge, in capo a quest’ultimo, l’obbligo di astensione ai sensi dell’art. 51 c.p.c.
Ora, è già stato ricordato che la giurisprudenza amministrativa ritiene che le cause di incompatibilità di cui all’art. 51 c.p.c. non siano suscettibili di interpretazione analogica e che in esse non rientri la pregressa appartenenza allo stesso ufficio. Tuttavia, la stessa giurisprudenza afferma che è sul piano dell’esame fattuale del singolo contesto che devono essere rinvenute le situazioni di conflitto d’interesse, anche solo potenziali in quanto volte ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa e il prestigio della pubblica Amministrazione ponendola al di sopra di ogni sospetto indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia realmente determinato, o meno, un risultato illegittimo (cfr., in termini, C.d.S., sez. V, 19.9.2006, n. 5444). Ne consegue che per la valutazione della sussistenza, in concreto, dell’obbligo di astensione la giurisprudenza valorizza la presenza dei già citati “ulteriori e specifici indicatori di una situazione di particolare intensità e sistematicità” di rapporti tale da determinare un “sodalizio”.
In conclusione, si deve rilevare che il caso qui dedotto presenta caratteristiche del tutto peculiari; in altre parole, per decidere il comportamento corretto da tenere occorrerà valutare la dimensione demografica e territoriale della comunità ove lavorino sia il Commissario che l’Assessore, se il Commissario abbia lì un ruolo apicale, se il politico in parola sia proprio il suo Assessore di riferimento, se il Commissario sia preposto all’ufficio che tratti gli organi istituzionali e le delibere consigliari e di giunta, se entrambi siano abitanti dello stesso luogo da tempo, se l’Assessore abbia già avuto incarichi politici in quello stesso Comune e così via. Detto in altri termini, occorre rilevare se sussistano non uno ma molteplici rapporti che possano interessare il Commissario ed il candidato, in modo che possa configurarsi una comunità di vita e di interessi.
Dott. Pietro Cucumile 05/09/2018
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