Approfondimento di Matteo Barbero

Il c.d. “pre-dissesto”

Servizi Comunali Pre-dissesto finanziario
di Barbero Matteo
05 Dicembre 2018

Approfondimento di Matteo Barbero                                                                                   

Il c.d. “pre-dissesto”

Matteo Barbero

 

Il d.l. 174/2012 ha introdotto una nuova procedura di riequilibrio finanziario, accompagnata dalla previsione di un fondo per garantire un sostegno immediato in termini di cassa, a favore degli enti locali che presentano gravi squilibri strutturali di bilancio.

 

1. Introduzione.

 

L’art. 3 del d.l. 174/2012 ha introdotto un nuovo istituto (il c.d. “pre-dissesto”) volto a sostenere gli enti locali alle prese con gravi criticità contabili ed evitare (nei limiti del possibile) l’avvio della procedura di dissesto.

Obiettivo di tale misura, infatti, è garantire la tempestiva adozione delle misure correttive, scongiurando il rischio che la dichiarazione formale di “default” arrivi quando la situazione dei conti è ormai deteriorata.

Accanto alla definizione di una nuova “procedura di riequilibrio finanziario pluriennale” (di seguito “la procedura”) è stata prevista anche la creazione di un fondo (di seguito “il fondo”) in grado di erogare liquidità immediata alle amministrazioni che presentano difficoltà di cassa.

La logica, quindi, è analoga a quella del fondo “salva Stati” introdotto a livello europeo: un sostegno finanziario immediato subordinato ad una rigida condizionalità veicolata attraverso l’obbligo di adottare un piano di risanamento pluriennale (di seguito “il piano”), da implementare sotto la stretta vigilanza di soggetti esterni (in tal caso, Ministero dell’interno e Corte dei conti).

La nuova disciplina è contenuta nell’art. 3, comma 2, lett. r), che ha introdotto tre nuovi articoli 243-bis, 243-ter e 243-quater) nel Tuel, poi ripetutamente modificati dai provvedimenti successivi. .

 

2. I destinatari.

 

La platea degli enti interessati, inizialmente circoscritta alle province ed ai comuni con più di 20.000 abitanti, è stata poi estesa a tutte le fasce demografiche.

Sono esclusi, però, gli enti in cui dissesto sia già stato dichiarato, nonché quelli cui la competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti abbia già fissato un termine per l’adozione delle misure correttive ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d. lgs. 149/2011.

Tale disposizione è stata introdotta per far fronte alle situazioni in cui, in presenza di comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, violazioni degli obiettivi della finanza pubblica allargata, irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio, l’ente interessato non abbia adottato le necessarie misure correttive. In tal caso, la Sezione regionale della Corte dei conti fissa un termine perentorio, decorso il quale, persistendo l'inadempimento, trasmette gli atti al Prefetto (e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, al momento non operativa) per l’eventuale dichiarazione esterna del dissesto.

Il richiamo della magistratura contabile preclude l’accesso alla procedura (ed al fondo) se intervenuto in data successiva all’entrata in vigore della legge di conversione del d.l. 174/2012[1].

L’adesione al nuovo istituto avviene su base esclusivamente volontaristica da parte degli enti che presentano “squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario”.

Tale condizione, sebbene possa emergere anche da precedenti pronunce della Corte dei conti, deve essere auto-certificata dal singolo ente. Come vedremo, sulla richiesta di accesso alla procedura è prevista un esame da parte della stessa Corte, che potrebbe (anche se la lettera della legge non lo dice espressamente) respingerla per mancanza delle condizioni che ne giustificano l’attivazione.

In generale, devono riscontrarsi situazioni di squilibrio finanziario tali da compromettere l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili ovvero la capacità dell'ente locale di far fronte ai propri debiti.

 

 2. L’adesione alla procedura.

 

Gli enti locali interessati devono adottare un’apposita deliberazione consiliare, che entro 5 giorni dalla data di esecutività va trasmessa alla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei conti ed al Ministero dell’Interno.

Tale iniziativa ha un duplice effetto sospensivo: da un lato, essa preclude l’avvio del procedimento per la dichiarazione esterna di dissesto ai sensi del già richiamato art. 6, comma 2, del d. lgs 149/2011, congelando la possibilità per la magistratura contabile di fissare il termine per l’adozione delle misure correttive; dall’altro, sospende le procedure esecutive già intraprese nei confronti degli enti richiedenti.

In entrambi i casi, la sospensione dura fino alla data di approvazione o di diniego di approvazione del piano, che il consiglio degli enti che ambiscono al “pre-dissesto” deve adottare nel termine (perentorio) di 60 giorni dall’esecutività della precedente deliberazione di adesione alla procedura.

Entro 10 giorni dalla relativa deliberazione di adozione, il piano è trasmesso alla Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti, nonché ad un’apposita Commissione operante presso il Ministero dell’Interno[2].

In proposito, infatti, è previsto un doppio livello di istruttoria. Entro i successivi 60 giorni il piano è esaminato da una sottocommissione della predetta Commissione ministeriale, composta esclusivamente da rappresentanti scelti, in egual numero, dai Ministri dell’Interno e quello dell’economia e delle finanze (scelti tra i dipendenti dei medesimi dicasteri) e dall’Anci. L’esame è svolto anche sulla base delle linee guida deliberate dalla Sezione delle autonomie[3] e delle indicazioni fornite dalla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti. La sottocommissione, che può formulare rilievi o richieste istruttorie, cui l’ente è tenuto a fornire risposta entro 30 giorni, redige infine una relazione finale, con gli eventuali allegati, che è trasmessa dal competente Capo Dipartimento del Ministero dell’interno e dal Ragioniere generale dello Stato, di concerto fra loro, alla Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti.

Quest’ultima, entro il termine di 30 giorni dalla data di ricezione del fascicolo, delibera sull’approvazione o sul diniego del piano, valutandone la congruenza ai fini del riequilibrio.

In caso di approvazione del piano, la Corte dei Conti vigila sull’esecuzione dello stesso, adottando apposita pronuncia in sede di controllo.

La delibera di accoglimento o di diniego di approvazione del piano (che è comunicata al Ministero dell’interno) può essere impugnata entro 30 giorni, nelle forme del giudizio ad istanza di parte, innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione che si pronunciano, nell’esercizio della propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica, entro 30 giorni dal deposito del ricorso[4].

Ai fini del controllo dell’attuazione del piano, l’organo di revisione economico-finanziaria dell’ente trasmette al Ministero dell’interno, al Ministero dell’economia e delle finanze e alla Sezione regionale della Corte dei Conti, entro 15 giorni successivi alla scadenza di ciascun semestre, una relazione sullo stato di attuazione del piano e sul raggiungimento degli obiettivi intermedi fissati dal piano stesso, nonché, entro il 31 gennaio dell’anno successivo all’ultimo di durata del piano, una relazione finale sulla completa attuazione dello stesso e sugli obiettivi di riequilibrio raggiunti.  La mancata, tempestiva presentazione del piano, il diniego dell’approvazione del medesimo, l’accertamento da parte della Sezione regionale della Corte dei conti di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano, ovvero il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario dell’ente al termine del periodo di durata, comportano l’attivazione della procedura di dichiarazione esterna del deafult di cui al citato art. 6, comma 2, del d. lgs. 149/2011, mediante l’assegnazione al Consiglio dell’ente, da parte del Prefetto, del termine non superiore a 20 giorni per la deliberazione del dissesto.

 

3. Il piano.

 

Esso, in generale, deve tenere conto di tutte le misure necessarie a superare le condizioni di squilibrio rilevate. Il legislatore, però, ne ha imposto un contenuto minimo, imponendo di indicare:

  • le eventuali misure correttive già adottate;  
  • la puntuale ricognizione, con relativa quantificazione, dei fattori di squilibrio rilevati, dell’eventuale disavanzo di amministrazione risultante dall’ultimo rendiconto approvato e di eventuali debiti fuori bilancio;
  • l’individuazione, con relative quantificazione e previsione dell’anno di effettivo realizzo, di tutte le misure necessarie per ripristinare l’equilibrio strutturale del bilancio, per l’integrale ripiano del disavanzo di amministrazione accertato e per il finanziamento dei debiti fuori bilancio;            
  • l’indicazione, per ciascuno degli anni del piano di riequilibrio, della percentuale di ripiano del disavanzo di amministrazione da assicurare e degli importi previsti o da prevedere nei bilanci annuali e pluriennali per il finanziamento dei debiti fuori bilancio.       
    Ai fini della predisposizione del piano, l’ente è tenuto ad effettuare una ricognizione di tutti i debiti fuori bilancio riconoscibili ai sensi dell’articolo 194 del Tuel, eventualmente definendone con i creditori la rateizzazione entro una scadenza massima pari agli anni del piano.
    In caso di approvazione di quest’ultimo, l’ente viene assoggettato ad un regime di restrizioni, obblighi e facoltà in parte mutuato dalla disciplina prevista per gli enti strutturalmente deficitari o dissestati.
    Sotto il primo profilo (restrizioni e obblighi), esso:
  • è soggetto ai controlli centrali in materia di copertura di costo di alcuni servizi ed è tenuto ad assicurare la copertura dei costi della gestione dei servizi a domanda individuale ai sensi dell’art. 243, comma 2, del Tuel;
  • è tenuto ad assicurare, con i proventi della relativa tariffa, la copertura integrale dei costi della gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e del servizio acquedotto;
  • è soggetto al controllo sulle dotazioni organiche e sulle assunzioni di personale previsto dall’articolo 243, comma 1, del Tuel;
  • è tenuto ad effettuare una revisione straordinaria di tutti i residui attivi e passivi conservati in bilancio, stralciando i residui attivi inesigibili o di dubbia esigibilità da inserire nel conto del patrimonio fino al compimento dei termini di prescrizione, nonché una sistematica attività di accertamento delle posizioni debitorie aperte con il sistema creditizio e dei procedimenti di realizzazione delle opere pubbliche ad esse sottostanti ed una verifica della consistenza ed integrale ripristino dei fondi delle entrate con vincolo di destinazione;
  • è tenuto ad effettuare una rigorosa revisione della spesa con indicazione di precisi obiettivi di riduzione della stessa, nonché una verifica e relativa valutazione dei costi di tutti i servizi erogati dall’ente e della situazione di tutti gli organismi e delle società partecipati e dei relativi costi e oneri comunque a carico del bilancio dell’ente;
    In ordine alle facoltà, esso:
  • può deliberare le aliquote o tariffe dei tributi locali nella misura massima consentita, anche in deroga ad eventuali limitazioni disposte dalla legislazione vigente;      
  • può procedere all’assunzione di mutui per la copertura di debiti fuori bilancio riferiti a spese di investimento in deroga ai limiti di cui all’articolo 204, comma 1, del Tuel;
  • può accedere al fondo.
    La durata del piano, in origine stabilita in cinque anni, poi dilatata a dieci anni e ora compresa tra quattro e venti anni in ragione del rapporto tra le passività da ripianare nel medesimo e l'ammontare degli impegni di cui al titolo I della spesa del rendiconto dell'anno precedente, secondo la tabella seguente:
     
     

Rapporto passività/impegni di cui al Titolo I

Durata massima del piano

Fino al 20%

4 anni

Superiore al 20% e fino al 60%

10 anni

Superiore al 60% e fino al 100%

15 anni

Superiore al 100%

20 anni

 

4. Il fondo.

 

L’adesione alla procedura comporta, dunque, la possibilità di ottenere iniziazioni di cassa da parte dello Stato, che può concedere agli enti che hanno deliberato la procedura anticipazioni da restituire entro un periodo massimo di 10 anni decorrente dall’anno successivo a quello dell’erogazione.

Per accedere al fondo, il legislatore ha previsto una triplice condizione. A tal fine, è necessario che l’ente si sia avvalso della facoltà di deliberare le aliquote o tariffe nella misura massima prevista, che abbia previsto l’impegno ad alienare i beni patrimoniali disponibili non indispensabili per i fini istituzionali dell’ente e che abbia provveduto alla rideterminazione della dotazione organica ai sensi dell’articolo 259, comma 6, del Tuel, fermo restando che la stessa non può essere variata in aumento per la durata del piano.

I criteri per la determinazione dell’importo massimo dell’anticipazione attribuibile a ciascun ente locale, nonché le modalità per la concessione e per la restituzione della stessa sono demandati ad un decreto di Ministero dell’Interno (attualmente il riferimento è il D.M.  11 gennaio 2013 “Accesso al Fondo di rotazione per assicurare la stabilita' finanziaria degli enti locali. (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 33 del  febbraio 2013).

In proposito, la norma si limita a stabilire il tetto massimo dell’anticipazione (300 euro per abitante nei comuni e 20 euro per abitante nelle province e nelle città metropolitane) ed a prescrivere una modulazione delle erogazioni che tenga conto, oltre che in ragione della disponibilità annua del fondo, anche dell’incremento percentuale delle entrate tributarie e della riduzione percentuale delle spese correnti previste nell’ambito del piano.

In caso di accesso al fondo di rotazione, l’ente deve adottare entro il termine dell’esercizio finanziario incisive misure di riequilibrio della parte corrente del bilancio, ovvero:

  • a decorrere dall’esercizio finanziario successivo, riduzione delle spese di personale, da realizzare in particolare attraverso l’eliminazione dai fondi per il finanziamento della retribuzione accessoria del personale dirigente e di quello del comparto, delle risorse di cui agli articoli 15, comma 5, e 26, comma 3, dei Contratti collettivi nazionali di lavoro del 1 aprile 1999 (comparto) e del 23 dicembre 1999 (dirigenza), per la quota non connessa all’effettivo incremento delle dotazioni organiche;
  • entro il termine di un triennio, riduzione almeno del dieci per cento delle spese per prestazioni di servizi, di cui all’intervento 03 della spesa corrente;
  • sempre entro il termine di un triennio, riduzione almeno del 25% delle spese per trasferimenti, di cui all’intervento 05 della spesa corrente, finanziate attraverso risorse proprie;
  • blocco dell’indebitamento, fatto salvo quanto previsto ai fini della copertura di debiti fuori bilancio pregressi.
    La legge di bilancio 2019 ha introdotto la possibilità di accedere al fondo rotativo anche prima dell'approvazione del piano di riequilibrio, salvo ovviamente l’obbligo di restituire le somme acquisite in caso di diniego.
    28 novembre 2018
 

[1]              Al contrario, come vedremo, l’accesso al procedura congela la possibilità per i giudici contabili di assegnare il termine per l’adozione delle misure correttive

[2]              Tale commissione si avvale, senza diritto a compensi aggiuntivi, gettoni di presenza o rimborsi di spese, di cinque segretari comunali e provinciali in disponibilità, nonché di cinque unità di personale, particolarmente esperte in tematiche finanziarie degli enti locali, in posizione di comando o distacco e senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato

[3]              Tali linee-guida sono state inizialmente approvate in data 13 dicembre 2012. Esse prevedevano un questionario articolato in due sezioni. Nella prima si esaminano le cause degli squilibri finanziari, con una ricognizione degli andamenti relativi ai fattori rilevanti (anticipazioni di cassa, equilibri di bilancio, entrate e spese non ripetitive, risultato di gestione e di amministrazione, capacità di riscossione delle entrate tributarie, extratributarie e dei trasferimenti, debiti fuori bilancio, residui ecc). La seconda sezione, invece, è finalizzata a misurare la fattibilità del piano di rientro.  Le linee guida sono state poi aggiornate con la deliberazione n. 5/2018,della Sezione delle Autonomie al fine di adeguarle all’evoluzione normativa. Fra i principali obiettivi, spicca quello di rendere certi i tempi di presentazione e approvazione dei piani, dato che, come rilevano le Autonomie, la principale criticità emersa in questi anni afferisce proprio, alla estrema lunghezza della fase istruttoria. Condizione che frustra l’essenza stessa del processo di risanamento, il quale, in quanto rimedio utile a prevenire il dissesto, non dovrebbe poter prescindere dalla celerità dell’applicazione del piano e dal sollecito esame dello stesso.

                Nell’ambito dell’articolato iter procedurale, la Corte illustra i presupposti e le condizioni per poter ricorrere al piano di riequilibrio, offrendo indicazioni sulla corretta applicazione della procedura, al fine di superare possibili difficoltà nell’esegesi delle norme e per renderne l’interpretazione tendenzialmente uniforme. Esse mirano, in particolare, a fornire criteri per verificare l’esatta determinazione dei fattori di  squilibrio presenti nella gestione dell’ente, nonché l’attendibilità e sostenibilità delle misure rivolte al superamento della situazione critica.

[4]              Le medesime Sezioni riunite si pronunciano in unico grado, nell’esercizio della medesima giurisdizione esclusiva, sui ricorsi avverso i provvedimenti di ammissione al fondo.

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