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Limiti al diritto all’informazione dei consiglieri comunali e provinciali
Servizi Comunali Accesso Amministratori localiApprofondimento di Pietro Alessio Palumbo
Limiti al diritto all’informazione dei consiglieri comunali e provinciali
Pietro Alessio PALUMBO
I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge. Tuttavia non è sufficiente rivestire la carica di consigliere per essere legittimati all’accesso alle informazioni, occorre dare atto che l’istanza sia informata a una effettiva, tangibile, concreta esigenza collegata all’esame di questioni proprie dell’assemblea consiliare e al precipuo ruolo che assolve il consigliere comunale o provinciale all’interno della stessa. Questo il principio di diritto enunciato dal Consiglio di Stato nella recente sentenza della Sezione Quinta, n° 12 del 2 gennaio del 2019.
La vicenda
Un consigliere comunale di un comune del veneto aveva depositato un ricorso ai sensi dell’articolo 116 (“Rito in materia di accesso ai documenti amministrativi”) del Codice di procedura amministrativa (Decreto legislativo, 02/07/2010 n° 104), impugnando un provvedimento di diniego di una richiesta prodotta dallo stesso consigliere, con la quale aveva formulato accesso ad informazioni di carattere documentale detenute dall’Ente. Nella specie la suddetta istanza, formulata nella qualità di consigliere comunale, era volta all’acquisizione di copia della richiesta inviata al Comune da parte della Procura regionale della Corte dei Conti e della consequenziale documentazione inoltrata dal Comune alla medesima Procura. Motivazione d’accesso era l’utile espletamento del proprio mandato consiliare, in quanto si sarebbe trattato di faccende in tutta probabilità incidenti finanziariamente sulla regolare tenuta del bilancio del Comune interessato. L’Ente aveva negato l’accesso argomentando sulla soggezione della documentazione richiesta, a segreto istruttorio. Il consigliere depositava consequenziale ricorso al Tribunale amministrativo regionale, incentrato sul precipitato logico per cui il diniego sarebbe stato illegittimo in quanto pertinente a istanza formulata nell’esercizio sostanziale e formale del ruolo di consigliere comunale, a cui la documentazione era necessaria per l’espletamento del mandato istituzionale, come prescritto dalla normativa di riferimento che lo vincolava comunque al segreto sulle informazioni ottenute. In particolare, l’articolo 43, comma 2 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) recita testualmente che ”i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, […] tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”. Istruita attentamente la questione, il Tribunale amministrativo regionale aveva successivamente respinto il ricorso del consigliere comunale, sul postulato che il consigliere ricorrente non aveva dimostrato adeguatamente il concreto interesse all’accesso alle informazioni, con particolare riguardo alla necessità istituzionale di analizzare faccende di bilancio, poiché i documenti richiesti non erano pertinenti all’attività dell’amministrazione comunale, bensì al carteggio con la competente Procura della Corte dei Conti con riguardo ad indagine in corso. Il consigliere ricorrente promuoveva appello in seconde cure dinanzi al Consiglio di Stato.
La dirimente decisione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha innanzitutto chiarito che la vigente normativa non attribuisce affatto al consigliere comunale un universale diritto di accesso alle informazioni detenute dall’amministrazione, per il mero fatto di esercitare carica e funzioni istituzionali di membro del consiglio comunale, piuttosto, ricollega “strumentalmente” tali prerogative all’esercizio delle funzioni consiliari. Non è soddisfacente ricoprire la carica di consigliere comunale (o provinciale) per essere legittimati all’accesso alle informazioni, bensì occorre comprovare che l’istanza sia dettata da una ragionevole e giustificata necessità connessa all’analisi di questioni pertinenti all’organo consiliare. In buona sostanza, la correlazione dell'accesso ai documenti richiesti in riferimento all'adempimento del mandato, rappresenta legittimazione ma anche confine del diritto stesso. Nel caso concreto, evidenzia il Consiglio di Stato, l’originaria richiesta di accesso alle informazioni trasmessa dal consigliere all’amministrazione comunale non era indirizzata all’acquisizione di documentazione interna dell’amministrazione coinvolta, ma della documentazione, della Procura della Corte dei Conti, indirizzata all’amministrazione comunale al fine di operare alcuni riscontri nel corso di uno specifico procedimento in istruttoria. A ben guardare, il carteggio oggetto della richiesta del consigliere comunale aveva ad oggetto un procedimento in cura della Procura della Corte dei Conti, sebbene l’istruttoria stessa fosse connessa a documenti inerenti ad attività e funzioni dell’amministrazione comunale coinvolta. La vicenda non attiene dunque all’ambito di applicazione della disposizione di cui al comma 2 dell’articolo 43 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, con le speciali prerogative e funzioni attribuite ai consiglieri comunali (e provinciali) ivi disposte, tanto più sussistendo nella fattispecie in analisi una speciale disciplina di segretezza e riservatezza, a tutela generale e di terzi specifici. La disciplina applicabile alla fattispecie è, di conseguenza, quella delle disposizioni di cui al Decreto Legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (Codice della giustizia contabile), le quali regolamentano nel corso delle attività istruttorie e di indagine della Procura della Corte dei Conti, la possibilità di accesso al fascicolo istruttorio (articolo 71), la riservatezza della fase istruttoria (articolo 57) e la comunicazione dell’archiviazione dei procedimenti (articolo 69). Di talché esclusivamente il destinatario dell'invito a dedurre ha diritto di visionare e di estrarre copia di tutti documenti inseriti nel fascicolo depositato presso la segreteria della Procura regionale della Corte dei Conti. Ciò a seguito di richiesta scritta e fatta salva in ogni caso, la tutela della riservatezza. Per cui la possibilità d’accesso all’incartamento dell’istruttoria è riservata unicamente ai soggetti “interessati” dall’attività inquirente, allo scopo di scongiurare che la gestione della documentazione contenuta nel fascicolo istruttorio possa arrecare danno alla tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti negli accertamenti. Sotto altra luce, conforta tale deduzione logica, il fatto che ai sensi dell’articolo 69, comma 4, del Decreto Legislativo n° 174 del 2016, l’eventuale provvedimento di archiviazione, dovendo restare ignoto a terzi, viene trasmesso soltanto a chi abbia assunto formalmente la veste di “invitato a dedurre”. Il precipitato coerente alle argomentazioni esposte dal Consiglio di Stato è che, diversamente dalle prospettazioni del consigliere comunale ricorrente e appellante, alle fattispecie come quella presentata in vicenda, deve applicarsi la disciplina generale sull’accesso agli atti di cui alla Legge 7 agosto 1990, n° 241, con particolare riguardo all’articolo 24, comma 1, di tale legge, ai sensi del quale
gli atti richiesti devono rimanere riservati, non avendo il richiedente addotto alcuna “esigenza difensiva” di propri interessi giuridici, come previsto dal comma 7 dello stesso articolo 24: deve essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Ciò nondimeno, nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti generali in cui sia strettamente indispensabile e, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, nei limiti specifici previsti dall'articolo 60 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196: quando il trattamento concerne dati genetici, relativi alla salute, alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi, è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale.
18 gennaio 2019
Garante per la protezione dei dati personali – 3 aprile 2025
Presentata dalla dott.ssa Grazia Benini e da Gioele Dilevrano
IFEL – 11 marzo 2024
IFEL – 5 febbraio 2024
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