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Compensi revisori: adeguamento non automatico dei compensi in base al decreto interministeriale del 21 dicembre 2018
Servizi Comunali Organi di revisioneApprofondimento di Luciano Catania
COMPENSI REVISORI: ADEGUAMENTO NON AUTOMATICO DEI COMPENSI IN BASE AL DECRETO INTERMINISTERIALE DEL 21 DICEMBRE 2018
Luciano Catania
Dopo più di un decennio dall’ultimo decreto del Ministero dell’Interno, i revisori dei conti degli enti locali vedono elevarsi il limite massimo dei loro compensi.
Per loro, però, è presto per festeggiare poiché l’aumento non è automatico e non scatta per tutti.
Il Decreto del Ministero dell'interno 21 dicembre 2018, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 2019, infatti, si limita ad aggiornare i limiti massimi del compenso base spettante ai revisori dei conti degli enti locali.
Il decreto stabilisce un aumento dei compensi del 20,3% per il tasso d'inflazione e distingue gli enti locali in due fasce di popolazione, esclusivamente ai fini dell'incremento dell'ulteriore 30%, e precisamente:
- gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, per i quali si applica esclusivamente l'aumento del tasso d'inflazione;
- gli enti locali con popolazione superiore a 5.000 abitanti, per i quali si applica anche l'ulteriore incremento del 30%.
A rimettere al Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la fissazione dei limiti massimi del compenso base è il primo comma dell'art. 241 del D. Lgs. n. 267/2000.
Il compenso massimo è determinato sulla classe demografica e alle spese di funzionamento e d’investimento dell'ente locale.
Tali limiti massimi dovevano essere aggiornati triennalmente ed, invece, l’ultimo decreto interministeriale risale al 20 maggio 2005.
Il comma 3, dell’art. 1, del D.M. 21 dicembre 2018, però, parla di “eventuale adeguamento del compenso” e di delibera del Consiglio dell'ente, in relazione ai nuovi limiti massimi fissati dal Decreto.
L’adeguamento, quindi, non è dovuto e dev’essere, in ogni caso, deliberato dal Consiglio comunale.
Qualora l’organo assembleare abbia fissato il compenso nella misura massima consentita (o lo abbia comunque parametrizzato ad essa) sarebbe coerente che adeguasse il compenso ai nuovi limiti.
In tutti gli altri casi, in cui l’organo assembleare abbia scelto di fissare un compenso inferiore, difficilmente riuscirà a motivare una delibera di adeguamento dello stesso.
Il rapporto che s’instaura tra l’Ente locale ed il professionista che svolge le funzioni di revisore dei conti, seppure veicolato da un provvedimento amministrativo, è di natura civilistica ed è rimesso alla libertà contrattuale delle parti (Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 355/2016/PAR, e Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 569/2015, cit.).
Per la sezione Autonomie della Corte dei Conti (deliberazione 16/SEZAUT/2017/QMIG) le indicazioni sulla misura massima del compenso non intaccano la natura privatistica e convenzionale del rapporto che viene ad instaurarsi tra il revisore e la Pubblica Amministrazione.
Nemmeno la scelta tramite sorteggio incide sull’assetto civilistico del rapporto, trovando la propria ratio nella necessità di garantire la professionalità e indipendenza dei prescelti nell’esercizio delle rilevanti funzioni del controllo .
Qualora le parti abbiano, di fatto, stipulato un accordo in base ad un compenso determinato in misura assoluta, non parametrizzata al massimo elargibile, non sussiste ragione per la quale il Consiglio Comunale debba rideterminare il compenso originariamente definito.
La Sezione Autonomie, con la citata deliberazione 16/SEZAUT/2017/QMIG, ha chiarito che in corso di rapporto non si possano verificare variazioni incrementali con maggiori oneri, in osservanza del comma 7 dell’art. 241 TUEL che prevede che il compenso possa essere stabilito esclusivamente con la delibera di nomina.
Diverso è il caso in cui la delibera avesse un diretto riferimento al limite massimo previsto dal Decreto interministeriale 20 maggio 2005.
Cambiando il valore di riferimento, il Consiglio Comunale può – ma non ne ha l’obbligo - tornare a deliberare sulla misura del compenso.
Per la Sezione Autonomia, però, non esistono, ad oggi, dei limiti minimi del compenso dei revisori e, quindi, oggi si può dedurre che le deliberazioni consiliari che stabiliscono il compenso in misura inferiore al minimo sono legittime e non automaticamente adeguate dal Decreto interministeriale.
Secondo la sezione Autonomie, quello che rileva è l’art. 2233, comma 2, del codice civile dispone che, nei rapporti d’opera intellettuale, “in ogni caso la misura del compenso dev’essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione” e ciò a maggior ragione a seguito dell’abrogazione delle tariffe professionali operata dall’art. 9 del d.l. n. 1/2012.
Il corrispettivo non può essere subordinato ad alcuna condizione e neppure essere stabilito in funzione dei risultati della revisione, mentre dev’essere congruamente determinato al fine di assicurare l’effettività e l’indipendenza dell’attività di supervisione, d’indirizzo e di verifica intestato ai revisori.
L’interesse ad un adeguato corrispettivo trova le proprie garanzie nell’ambito dell’ordinamento civilistico e si realizza, allo stato della normativa, mediante lo strumento contrattuale o in sede giudiziaria, qualora la remunerazione fissata unilateralmente dall’ente appaia incongrua.
L'eventuale adeguamento del compenso deliberato dal Consiglio dell'ente in relazione ai nuovi limiti massimi fissati dal decreto interministeriale 21 dicembre 2018 non ha, in ogni caso, effetto retroattivo.
La popolazione da prendere a riferimento per la determinazione del compenso dei revisori dev’essere quella rilevata al momento della delibera di nomina, non essendo possibile variare, in corso di mandato, la retribuzione dei revisori in base alla fluttuazione del numero di abitanti.
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