Il compimento di un determinato atto di ufficio non genera il reato di corruzione per l’esercizio delle funzioni

Corte di Cassazione Penale, Sezione VI – Sentenza 11 dicembre 2018, n. 4486

Servizi Comunali Anticorruzione
di Redazione: Galli Gianluca
05 Febbraio 2019

MASSIMA

La corte di Cassazione Penale, con la sentenza n. 4486 dell' 11 dicembre 2018, ha analizzato la nuova formulazione della fattispecie, ora rubricata come “corruzione per l’esercizio della funzione”.  Il legislatore  nella nuova tipizzazione ha inteso ricomprendere tutte le forme di “compravendita della funzione”, non connesse causalmente al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio. Prima della riforma, restava invero non del tutto chiara la qualificazione di quelle condotte di “asservimento” della funzione da parte del pubblico ufficiale che si poneva, dietro compenso, “a disposizione” del privato in violazione dei doveri di imparzialità, onestà e vigilanza. A fronte dell’accertamento di un accordo avente ad oggetto soltanto una generica disponibilità, senza la possibilità di individuare nei suoi connotati specifici l’atto contrario ai doveri d’ufficio, la giurisprudenza di legittimità, pur nel contesto di un’interpretazione ragionevolmente estensiva dell’art. 319 cod. pen., aveva affermato che era sufficiente che fosse individuabile il “genus” di atti da compiere, suscettibile di specificarsi in una pluralità di atti singoli non preventivamente fissati o programmati.  Il nuovo testo dell’art. 318 cod. pen. non ha proceduto ad alcuna abolitio criminis, neanche parziale, delle condotte previste dalla precedente formulazione e ha, invece, determinato un’estensione dell’area di punibilità, in quanto ha sostituito alla precedente causale del compiendo o compiuto atto dell’ufficio, oggetto di “retribuzione”, il più generico collegamento, della dazione o promessa di utilità ricevuta o accettata, all’esercizio (non temporalmente collocato e, quindi, suscettibile di coprire entrambe le situazioni già previste nei due commi del precedente testo dell’articolo) delle funzioni o dei poteri del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, così configurando, per i fenomeni corruttivi non riconducibili all’area dell’art. 319 cod. pen, una fattispecie di onnicomprensiva “monetizzazione” del munus pubblico, sganciata in sè da una logica di formale sinallagma e idonea a superare i limiti applicativi che il vecchio testo presentava in relazione alle situazioni di incerta individuazione di un qualche concreto comportamento pubblico oggetto di mercimoni.

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