Approfondimento di Pietro Alessio Palumbo

L’accesso civico massivo e senza identificazione dei fini concreti

Servizi Comunali Accesso
di Palumbo Pietro Alessio
15 Febbraio 2019

Approfondimento di Pietro Alessio Palumbo                                                                         

L’accesso civico massivo e senza identificazione dei fini concreti.

Pietro Alessio Palumbo

Non qualificare il fine concreto a cui è diretta, non rientra tra le cause di rigetto dell’istanza di Accesso Civico. Inoltre, di fronte a una istanza massiva di documenti, l’amministrazione non deve rigettare subito l’istanza, bensì interloquire con il richiedente, nell’obiettivo di ridefinirne l’oggetto entro i confini conciliabili con i principi di buon andamento e di proporzionalità dell’azione amministrativa. Con la sentenza n°133/2019, la prima sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, afferma questi rimarchevoli principi definitori, accelerando l’adattamento delle disposizioni sull’istituto dell’Accesso Civico alla realtà concreta e fattuale degli enti e delle pubbliche amministrazioni del nostro Paese.

Le questioni aperte dalla vicenda

Il ricorrente è un dottore commercialista che ha svolto attività di lunga consulenza presso una società a capitale totalmente pubblico di proprietà di una amministrazione comunale. La società è dedita alla gestione del patrimonio immobiliare, delle infrastrutture e dei servizi di trasporto e refezione scolastica del comune. Successivamente ad alcuni accertamenti tributari, veniva alla luce una operazione di compensazione per tre anni, di crediti IVA in misura maggiore di quanto possibile, per cui l’Ente aveva proposto una azione civile avverso il consulente, volta ad ottenere un risarcimento danni patrimoniali per ipotizzate negligenza ed imperizia professionale del consulente commercialista. A questo punto il consulente presentava istanza di Accesso Civico all’ente, finalizzata ad ottenere tutti verbali del Collegio sindacale di un periodo di più dieci anni, nonché tutti i documenti ed atti, con riferimento diretto o indiretto alla propria attività di consulenza presso l’amministrazione coinvolta nella vicenda. L’ente differiva l’accesso alla conclusione del contenzioso in sede civile, rigettando nei fatti l’istanza di accesso civico, motivando con la ragione del tenore esplorativo della richiesta che inoltre avrebbe gravato l’amministrazione di attività d’indagine e ricerca su masse intere di documenti, con correlata ricostruzione dei rispettivi contenuti, alla ricerca delle informazioni richieste. Per altro verso, alcuni documenti sarebbero stati direttamente rilevanti nell’ambito del procedimento giudiziario in corso in sede civile, con possibile compromissione dell’esito del giudizio e menomazione del proprio diritto alla difesa. Diritto inviolabile ai sensi dell’art. 24 della Costituzione. In sede di riesame dell’istanza d’accesso, formulata al Responsabile anticorruzione dell’ente, veniva confermato il diniego, rinsaldando le precedenti argomentazioni e aggiungendo l’ulteriore considerazione che una eventuale ostensione delle informazioni richieste avrebbe potuto arrecare pregiudizio concreto alla tutela degli interessi economici della società interessata. Conseguentemente il consulente impugnava i due atti di rigetto dinanzi al competente Tribunale amministrativo regionale, avviando il rito in materia di accesso ai documenti amministrativi previsto dall’articolo 116 del codice del processo amministrativo, invocabile non solo a tutela del diritto all’accesso documentale tradizionale, ma anche del diritto all’accesso civico, ai sensi delle innovazioni introdotte dal Decreto Legislativo n°33 del 2013 e successive modifiche e integrazioni.

Mancanza delle finalità della richiesta di accesso civico generalizzato

Investito della questione, il TAR di Firenze in prima battuta affronta la questione incentrata sulla mancanza di finalità dell’istanza di accesso civico generalizzato prodotta in giudizio. Secondo il TAR si tratta di un profilo funzionale che non risulta richiamato dalla elencazione degli interessi legittimanti il diniego di accesso civico, prevista dal Decreto Legislativo n° 33 del 2013, così come integrato della fattispecie ad opera del Decreto Legislativo n° 97 del 2016. Scopo del nuovo istituto di trasparenza dell’azione amministrativa è favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali della cosa pubblica e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, nonché di promuovere la partecipazione di tutti i cittadini al dibattito pubblico: chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni. L’istanza formulata dal consulente commercialista, per quanto potesse avere profili di coincidenza sostanziale con l’istituto tradizionale dell’accesso alle informazioni detenute dalla pubblica amministrazione, non solo ha invocato formalmente il diritto di accesso civico alle stesse, ma intrinsecamente ne ha anche richiamato la ratio sottesa, volta al controllo sociale dell’operato della macchina pubblica che risulterebbe svigorito dalla enunciazione dei fini concretamente soggiacenti all’istanza di controllo. In altre parole il TAR rileva la necessità di non riportare nella disciplina dell’accesso civico, fattispecie inquadrabili nell’istituto dell’accesso documentale tradizionale, ancorché involgenti in casistiche con medesime finalità di conoscenza concreta di documenti e atti pubblici.

La necessità di previa interlocuzione in caso di istanze massive

Il motivo cardine del diniego d’accesso civico alle informazioni richieste dal consulente, è imperniato sulla notevole massa di documenti richiesti e sul carattere sostanzialmente esplorativo dell’istanza, che avrebbe gravato la società dello svolgimento di attività di analisi e di ricerca su una considerevole massa di documenti, peraltro dovendone ricostruire i contenuti al fine di selezionare quelli utili all’istante. Ciò sarebbe stato, a giudizio della società coinvolta, in manifesto contrasto con la lettera e lo spirito della normativa dell’istituto dell’accesso civico generalizzato. In merito, il Tribunale amministrativo di Firenze ha evidenziato la necessità di bilanciare l’interesse della pubblica amministrazione a non essere oberata di oneri di ricerca, indagine e analisi del tutto irragionevoli ovvero tali da ingenerare un corposo danno per l’erario pubblico, e il diritto del privato di avere accesso a informazioni, atti, documenti detenuti dall’amministrazione pubblica. Il contemperamento di tali esigenze va rinvenuto nella necessaria dialettica, un dialogo endoprocedimentale rivolto alla precisazione delle richieste formulate in maniera generica, concentrando l’interlocuzione nella identificazione precisa e concreta dei documenti effettivamente necessari. Ciò nondimeno, la potenziale compromissione del buon andamento della pubblica amministrazione, dovuto all’improvviso e massivo carico di lavoro, va tenuto in evidenza e merita particolare tutela. Con riferimento ad analogo ambito regolatorio, in caso di accesso massivo agli atti formulato da consiglieri comunali di minoranza (che godono di illimitato diritto di accesso agli atti, per di più svincolato da qualsivoglia onere motivazionale), il Consiglio di Stato ha reiteratamente affermato il principio per cui essi godono di un diritto di accesso incondizionato, purché non invada l’ambito riservato all’apparato amministrativo. In buona sostanza, l’esercizio di tale diritto alle informazioni deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile agli uffici comunali e non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto, al fine di non introdurre surrettiziamente, inammissibili limitazione al diritto stesso (tra tanti, Consiglio di Stato sez. V, 29 agosto 2011, n. 4829). Il buon andamento della Pubblica Amministrazione rappresenta in qualunque forma di accesso, un valore che non ammette dubbi o perplessità, la cui fondatezza tuttavia, non può essere apoditticamente affermata, bensì proporzionatamente dimostrata da parte dell’amministrazione che nega l’accesso. Su tutto dunque, ciò che è mancato nella vicenda che ha ingenerato il ricorso, è il dialogo endoprocedimentale: attività imprescindibile per operare una corretta azione amministrativa. A ben vedere, il dialogo cooperativo con i richiedenti è un valore intrinseco alle previsioni della legge istitutiva del FOIA (Freedom of Information Act) e alla finalità di condividere con la collettività il patrimonio di informazioni in possesso della Pubblica Amministrazione.

I limiti (comunque) invalicabili

Annullato il provvedimento definitivo di diniego dell’istanza di accesso civico del commercialista consulente, il TAR ha quindi sancito l’obbligo per l’ente resistente di riattivare il procedimento, curando in particolare un adeguato dialogo endoprocedimentale, rivolto alla precisa identificazione di documenti richiesti in ostensione. Nondimeno il Tribunale amministrativo ha precisato alcuni limiti invalicabili in ordine alla corretta delimitazione dei documenti effettivamente suscettibili di successivo eventuale accesso. In particolare non va permessa l’ostensione di documenti direttamente inerenti al rapporto tra l’amministrazione coinvolta e i proprio legali, in quanto va protetto il suo diritto alla difesa in maniera pari e mai inferiore a qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento. Analogamente non va permesso l’accesso agli atti la cui conoscenza possa arrecare un danno concreto, tangibile, non ipotetico, alla cura e tutela degli interessi commerciali ed economici eventualmente coinvolti, con particolare riguardo ai segreti commerciali ed ai diritti alla proprietà intellettuale e d’autore. 

11 febbraio 2019

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