Premesso che non si conosce il provvedimento del Giudice dell’esecuzione né quanto dichiarato dal Comune (terzo pignorato) nella vicenda speciifca, per cui è possibile solo richiamare le disposizioni di legge in materia.
Infatti, gli stipendi dei pubblici dipendenti sono pignorabili nei limiti del quinto, ma allorché il pignoramento segua ad una cessione, gli stessi, ai sensi del combinato disposto degli art, 2 comma 2 e 68 del d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, incontrano l’ulteriore limite della metà complessiva, nel senso che in tal caso rimane pignorabile o sequestrabile esclusivamente la differenza tra la metà dello stipendio e la quota ceduta (e cioè, ove sia stata ceduta la quota massima di un quinto stipendiale, la quota residua di tre decimi) e, poiché tale differenza normalmente supera un quinto, rimangono fermi il limite di un quinto previsto per ciascun pignoramento ed i limiti previsti per il loro concorso (che, naturalmente, non potrà più raggiungere la metà dello stipendio, dovendosi sempre dedurre la quota ceduta), senza che possa ritenersi che l’art. 68 sopra citato consente il cumulo solo per i pignoramenti per crediti alimentari.
In giurisprudenza (ad es., Tribunale Bologna Ord., 09-12-2008), si afferma che nell'ipotesi in cui il terzo pignorato abbia dichiarato che l'esecutato, in forza del rapporto di lavoro, percepisce un certo stipendio mensile, sul quale grava una ritenuta, anteriore al pignoramento, per cessione a favore di una banca, le disposizioni applicabili al fine di stabilire la quota di stipendio assegnabile al creditore sono quelle previste dall'art. 545, co. 4, c.p.c. e dagli artt. 2 e 68, co. 2, del D.P.R. n. 180/1950, nel testo risultante da ripetuti interventi della Corte costituzionale. Ed invero, il pignoramento eseguito sullo stipendio percepito dal dipendente pubblico, se segue ad una precedente cessione dello stipendio stesso, è possibile solo nei limiti della differenza tra la metà dello stipendio e la quota ceduta; più precisamente, deve essere rispettato il limite di cui all'art. 2, n. 3, del D.P.R. n. 180/1950, che è pari ad un quinto; inoltre, quando vi sia una precedente cessione opponibile al procedente, deve essere rispettato anche l'ulteriore limite dell'art. 68, co. 2, D.P.R. n. 180/1950, sicchè non si potrà mai pignorare una quota dello stipendio superiore alla differenza tra la metà dello stipendio e la quota ceduta (nel caso di specie, la quota concretamente assegnata al creditore procedente è stata pari ad un quinto dell'emolumento stipendiale, dal momento che l'assegnazione in tale misura rispetta sia il limite di un quinto dello stipendio, ex art. 545, co. 4, c.p.c., e art. 2 D.P.R. n. 180/1950, sia l'ulteriore limite della differenza tra la metà dello stipendio e la quota ceduta, a sensi dell'art. 68, co. 2, D.P.R. n. 180/1950).
Ciò premesso, la delegazione di pagamento deve essere considerata insieme alle cessioni nel limite suddetto del 50%, atteso che ai sensi dell’art. 70 del citato DPR 180/1950 nel caso di concorso di cessione e delegazione, non può superarsi il limite della metà dello stipendio o salario se non quando l'amministrazione dalla quale l'impiegato o il salariato dipende ne riconosca la necessità e dia il suo assenso.
25 novembre 2020 Eugenio De Carlo