Dossier di approfondimento di Pietro Alessio palumbo - Parte 2

Anticorruzione, Trasparenza e Buona amministrazione: l’imprescindibile “rilancio” dei Codici di Comportamento.

Servizi Comunali Anticorruzione Anticorruzione Trasparenza
di Palumbo Pietro Alessio
24 Marzo 2020

Dossier di approfondimento di Pietro Alessio palumbo - Parte 2                                                        

Anticorruzione, Trasparenza e Buona amministrazione:

l’imprescindibile “rilancio” dei Codici di Comportamento.

 

 

I doveri da specificare e il problema del coordinamento con la fonte contrattuale

I settori entro cui le amministrazioni definiscono i doveri sono cinque: prevenzione dei conflitti di interesse, reali e potenziali; rapporti col pubblico; correttezza e buon andamento del servizio; collaborazione attiva dei dipendenti e degli altri soggetti cui si applica il codice per prevenire fenomeni di corruzione e di malamministrazione; comportamento nei rapporti privati.

Circa la prevenzione dei conflitti di interesse il codice nazionale dispone, che i dipendenti pubblici dichiarino al proprio dirigente, al momento della assegnazione all’ufficio, i rapporti di collaborazione, diretti o indiretti, in qualunque modo retribuiti, intrattenuti con soggetti privati nel triennio precedente alla instaurazione del rapporto di lavoro, nonché i rapporti finanziari che presentemente leghino loro medesimi, o i parenti e gli affini entro il secondo grado, al soggetto privato con cui nel triennio precedente avevano collaborato.

Il codice chiede, inoltre, che il dipendente stesso dichiari se il soggetto privato con cui intrattiene o ha intrattenuto precedentemente rapporti finanziari o di collaborazione retribuita abbia interessi in attività dell’ufficio che rientrino nelle sue attribuzioni. Tale dovere di comunicazione si collega all’obbligo di astensione previsto dallo stesso codice.

Le disposizioni del codice nazionale possono essere integrate nel codice di amministrazione con: la definizione dei modi con cui rendere le dichiarazioni; l’indicazione di una soglia minima di rilevanza delle attività di collaborazione retribuita pregressa o degli interessi attuali da ricomprendere nella dichiarazione; la previsione della possibilità di operare verifiche; il dovere di comunicare tempestivamente eventuali variazioni delle dichiarazioni già presentate; misure che possono essere adottate, con l’eventuale coinvolgimento del RPCT, per rimuovere il conflitto di interessi, quando assume un carattere strutturale.

Quest’ultimo si configura laddove una situazione di conflitto di interessi non è limitata a una tipologia di atti o procedimenti, ma generalizzata e permanente.

Ragionamenti analoghi vanno svolti relativamente agli obblighi di comunicazione previsti dal codice nazionale per dirigenti.

Anche le prescrizioni contenute nel codice nazionale con riguardo alla partecipazione ad associazioni e organizzazioni possono ricondursi alla categoria delle previsioni volte a prevenire i conflitti di interessi.

La disposizione non opera alcuna compressione della libertà di associazione, né introduce regimi autorizzativi, limitandosi a richiedere che il dipendente informi tempestivamente della adesione il responsabile dell’ufficio, indipendentemente dal carattere riservato o meno della associazione, nel caso in cui gli ambiti di interesse della associazione o della organizzazione possano interferire con quelli dell’ufficio.

La disciplina è evidentemente molto scarna e lascia ai codici d’amministrazione il compito di specificarne numerosi e delicati aspetti.

È utile che i codici di amministrazione individuino gli ambiti di interesse privato che possono interferire con l’attività dell’ufficio, allo scopo di rendere più semplice la identificazione delle adesioni soggette all’obbligo di comunicazione e stabiliscano termini e modi in cui le adesioni devono essere comunicate all’ufficio.

Inoltre, le disposizioni integrative contenute nei codici di amministrazione possono collegare il dovere di comunicazione della adesione ad associazioni ed organizzazioni al potere dell’amministrazione d’appartenenza di adottare tutte quelle misure, quali l’assegnazione ad altro ufficio, l’obbligo di astensione, la rotazione, che si rendessero necessarie per prevenire la possibilità che l’adesione all’associazione o organizzazione, in se stessa lecita e libera, possa determinare situazioni di conflitto di interessi reale o potenziale.

Analoghe finalità di prevenzione di conflitti di interesse nei contratti e negli atti negoziali è perseguita nel codice nazionale laddove dispone il divieto di ricorrere a mediazione di terzi e il divieto per il dipendente che nel biennio precedente abbia contrattato a titolo privato con un terzo o abbia ricevuto utilità da un terzo di contrattare con lo stesso soggetto per conto dell’amministrazione o di partecipare alle decisioni ed alle attività relative alla esecuzione del contratto.

Medesimo scopo ha l’obbligo del dipendente che nel biennio abbia contrattato per conto dell’amministrazione con un terzo, di comunicare per iscritto al dirigente il fatto di avere concluso accordi e contratti a titolo privato con lo stesso terzo.

I doveri vanno inoltre specificati e integrati alla luce delle previsioni contenute all’art. 42 “Conflitto di interesse” del d.lgs. 50/2016 in materia di contratti pubblici.

Per quanto riguarda i rapporti con il pubblico è importante che le amministrazioni valorizzino nei propri codici questa categoria di doveri prevendo specifici doveri cui il dipendente deve attenersi nel rapporto con i cittadini-utenti che inoltrano reclami e segnalazioni, ovvero orientino positivamente le condotte di chi ha diretti contatti con il pubblico verso comportamenti che facilitino gli interessati nello svolgimento di attività amministrative o ne semplifichino l’attuazione.

Anche il dovere di impiegare un linguaggio chiaro e comprensibile va richiamato dal codice di amministrazione.

Nell’ambito dei comportamenti da assumere nei rapporti con il pubblico, soprattutto negli enti di media e grande dimensione, va valutata l’utilità di disciplinare i rapporti con gli organi di informazione sugli argomenti istituzionali, individuando i soggetti cui spetta curare i rapporti con i media e le agenzie di stampa e quindi definire il comportamento che deve essere assunto dai dipendenti e dagli altri soggetti cui si applica il codice.

Per quanto concerne il dovere di correttezza e il buon andamento del servizio, il codice nazionale contiene prescrizioni generiche riguardanti gli adempimenti richiesti dalle norme sul procedimento amministrativo che vanno dettagliate nel codice dell’amministrazione.

Visto il rilievo che oggi riveste l’utilizzo di social network, le amministrazioni devono valutare di integrare questo ambito con il dovere di accedere ai social network nel rispetto delle regole interne che dettano permessi e divieti di utilizzo delle piattaforme social.

Con riferimento a tale ambito, il codice nazionale può essere altresì integrato con la previsione secondo cui i destinatari del codice mantengono la funzionalità e il decoro degli ambienti, utilizzano gli oggetti, le attrezzature e gli strumenti esclusivamente per finalità lavorative, e adottano comportamenti volti alla riduzione degli sprechi e al risparmio energetico.

Inoltre va previsto che i destinatari del codice si astengano dal rendere pubblico con qualunque mezzo, compresi il web o i social network, i blog o i forum, commenti, informazioni o foto, video, audio che possano ledere l’immagine dell’amministrazione, l’onorabilità dei colleghi, nonché la riservatezza o la dignità delle persone.

Per quanto riguarda la collaborazione attiva dei dipendenti per prevenire fenomeni di corruzione e di malamministrazione va ricordato che essa è l’oggetto di prescrizioni generiche riguardanti: l’osservanza delle misure contenute nel PTPCT; la collaborazione con il RPCT; l’obbligo di denunciare e di segnalare gli illeciti; l’osservanza dei doveri in materia di trasparenza, di pubblicazione, di tracciabilità.

Le amministrazioni devono declinare, quindi, nei propri codici, in relazione alle aree di rischio specifiche e alle relative misure introdotte, i doveri di comportamento che i dipendenti e gli altri soggetti cui si applica il codice sono tenuti ad osservare.

Per quanto concerne il regime del comportamento nei rapporti privati il codice nazionale vieta al dipendente di sfruttare o nominare la mansione che ricopre per ottenere utilità non dovute o comunque di comportarsi in modo da nuocere all’immagine della sua amministrazione.

I codici di amministrazione possono utilmente indicare i comportamenti che i propri dipendenti e gli altri soggetti tenuti al rispetto degli stessi devono evitare di porre in essere, anche in ragione delle funzioni proprie di ciascuna amministrazione o di ciascuna carica, allo scopo di chiarire i confini tra consentito e non consentito.

I codici possono richiamare il divieto del dipendente: di promettere uno scambio di favori; di chiedere di parlare con i superiori facendo leva sulla propria posizione gerarchica; di diffondere informazioni lesive dell’immagine e dell’onorabilità dei colleghi; di chiedere ed offrire raccomandazioni e presentazioni.

Quanto ai rapporti con soggetti privati, invece, i codici possono precisare il divieto: di anticipare il contenuto e l’esito di procedimenti; di avvantaggiare o svantaggiare i competitori; di facilitare terzi nel rapporto con il proprio ufficio o con altri uffici; di partecipare a incontri e convegni, a titolo personale, aventi ad oggetto l’attività dell’amministrazione di appartenenza, senza averla preventivamente informata.

Va poi evidenziato che si è delineata in assenza di un coordinamento, una concorrenza fra codici di comportamento e contratti, nella definizione di doveri e obblighi di comportamento, ferma restando la indiscussa fissazione delle sanzioni disciplinari solo nei contratti.

Ciò ha anche comportato una consistente presenza di doveri di comportamento anche nei contratti e, talora, una contestuale riduzione del valore dei doveri definiti nel codice nazionale, cui sovente viene fatto rinvio con clausole generali e senza una specifica corrispondenza con la graduazione delle sanzioni del codice disciplinare.

In questa ottica, è necessario ripensare ai rapporti fra il codice nazionale e le norme dei contratti collettivi che fissano doveri in capo ai dipendenti in modo da improntarli alla prevalenza della fonte unilaterale e, solo in via residuale o integrativa, della fonte contrattuale.

Il codice nazionale, cioè, dovrebbe definire in generale i doveri dei pubblici dipendenti, mentre i contratti collettivi dovrebbero occuparsi di
individuare i doveri lasciati alla fonte contrattuale e preoccuparsi della parte disciplinare anche tenendo in debito conto i doveri del codice nazionale.

La stesura dei Codici di comportamento

Innanzitutto va rilevato che l’art. 54, co. 5, del d.lgs. 165/2001 prevede che le amministrazioni definiscano il codice di comportamento con procedura aperta alla partecipazione previo parere obbligatorio del proprio organismo indipendente di valutazione.

Alla luce di una normativa limitata, l’Autorità anticorruzione con la delibera 177/2020 ha fornito indicazioni sia con riguardo al profilo formale, che attiene alla procedura da seguire per garantire la validità del codice, sia con riguardo al profilo sostanziale, che attiene alla conoscenza diffusa e alla condivisione dei doveri previsti da parte dei dipendenti dell’amministrazione interessata e dei cittadini.

È importante che nel processo di formazione del codice le amministrazioni promuovano, in primis, la massima partecipazione dei dipendenti dell’amministrazione, favorendo l’adeguata comprensione del contesto e delle finalità dei codici, e degli altri stakeholders, interni ed esterni.

In secondo luogo, occorre che esse sposino una procedura di formazione graduale che conduca all’adozione definitiva del codice in modo progressivo.

Va evidenziato che la valorizzazione di gradualità e compartecipazione aiuta a evitare il rischio che il codice sia percepito come un documento redatto solo come adempimento formale ad un obbligo di legge, in qualche modo astratto e meramente imposto ai dipendenti e agli altri soggetti cui si applica.

Va riconosciuto al RPCT un ruolo centrale e soprattutto di coordinamento di tutti i soggetti che concorrono alla predisposizione e all’aggiornamento del codice.

L’organo di indirizzo politico-amministrativo approva il codice su proposta del RPCT. Il coinvolgimento dei vertici è fondamentale anche in funzione di una loro conoscenza dei comportamenti attesi dai funzionari e di una piena condivisione delle regole e dei valori impressi nel codice.

L’OIV contribuisce alla valutazione dell’impatto dei doveri di comportamento sul raggiungimento degli obiettivi e sulla misurazione della performance individuale e organizzativa. Esprime parere obbligatorio sul codice verificando che sia conforme a quanto previsto nelle norme di legge e nelle indicazioni ANAC.

L’UPD, in stretta collaborazione con il RPCT, partecipa alla definizione dei doveri del codice e della corrispondenza tra infrazioni e sanzioni disciplinari. La partecipazione dei dipendenti rileva in termini di effettività sostanziale dei codici ovvero, non solo di rispetto formale dei doveri ivi contenuti, ma anche di una loro piena accettazione e adesione.

Le amministrazioni devono dunque incentivare e supportare la partecipazione dei dipendenti affinché essi contribuiscano concretamente ad un processo che li riguarda direttamente e non siano resi solo edotti che dalla violazione dei doveri può derivare una sanzione disciplinare.

Gli stakeholders esprimono l’opinione di associazioni o di singoli cittadini o di imprese che fruiscono delle attività e dei servizi prestati dalla specifica amministrazione.

I privati, partecipando alla procedura, sono anche posti nella condizione di conoscere i comportamenti attesi dai funzionari, non solo per quanto concerne le attività e i compiti che questi sono tenuti a svolgere all’interno dell’amministrazione, ma anche per quel che concerne i rapporti con i cittadini e le imprese.

Per i settori complessi, nella procedura di adozione del Codice è fondamentale un confronto tra enti omologhi per ottenere un risultato che tenga effettivamente conto di esperienze concrete.

In tale visione condivisa e graduale, l’ANAC suggerisce due distinte fasi.

In una prima fase, il RPCT, affiancato dall’OIV e dall’UPD, guida un lavoro di approfondimento dei doveri specifici da rispettare. Questa attività è necessario sia svolta con il coinvolgimento dei dirigenti e dei dipendenti e in stringente collaborazione con la definizione delle misure di prevenzione della corruzione del PTPCT o in occasione della verifica dell’effettiva attuazione e dell’efficacia delle stesse misure a loro volta coordinate con gli obiettivi di performance. Ciò consente di individuare anche i doveri di comportamento che contribuiscono, sotto il profilo soggettivo, alla piena realizzazione delle misure di prevenzione della corruzione e di promozione della performance.

Evidente è che gli obiettivi conoscitivi e partecipativi di questa prima fase sarebbero vanificati dall’affidamento dell’elaborazione del codice a soggetti estranei alla pubblica amministrazione. Dal che lo stesso divieto di affidare l’elaborazione del PTPCT a soggetti estranei all’amministrazione, si applica anche all’elaborazione del Codice. Diversamente, sarebbe elusa la ratio della norma volta, alla contestualizzazione dei doveri dei codici, e alla partecipazione consapevole della struttura in funzione della interiorizzazione dei valori e dei doveri indicati.

Gli esiti del lavoro svolto confluiscono in una prima bozza di codice che integra e specifica i doveri del codice nazionale e contiene esemplificazioni utili a precisare i doveri da rispettare.  Il documento è sottoposto dal RPCT all’organo di indirizzo perché adotti una prima deliberazione, preliminare, da sottoporre a procedura partecipativa.

La seconda fase del procedimento è caratterizzata dalla partecipazione aperta a tutti gli interessati. Per essere aperta, la partecipazione deve consentire a chiunque, in forma singola o associata, di esprimere proprie considerazioni e proposte di modificazione e integrazione del codice.

Deriva che le consultazioni on-line vanno privilegiate qualora in grado di ampliare la platea dei partecipanti. Si badi ai vantaggi, ma anche ai rischi di esclusione connessi.

Possono essere riconosciute alle organizzazioni sindacali ovvero con stakeholders specifici forme di intervento più penetranti come l’esame congiunto della bozza ovvero incontri specifici.

Va evidenziato che è opportuno individuare le categorie di destinatari in rapporto alle specificità dell’amministrazione, precisando le varie tipologie di dipendenti ed eventualmente procedendo a una ricognizione esemplificativa delle strutture sottoposte all’applicazione dei codici, soprattutto nei casi di amministrazioni con articolazioni molto complesse.

Fatta tale ricognizione, il codice esplicita i doveri comuni a tutti i dipendenti e i doveri differenziati secondo la tipologia di personale.

Si raccomanda, quindi, alle Amministrazioni alle cui dipendenze vi sia personale in regime di diritto pubblico di integrare i contenuti del proprio codice di comportamento con una sezione dedicata a tale personale: il fine che l’amministrazione deve conseguire è quello di disporre di un unico codice di amministrazione.

La stessa operazione va compiuta con riferimento ai soggetti esterni che collaborano con l’amministrazione. Anche a tali soggetti il codice di amministrazione può dedicare una parte speciale dove estendere, in quanto compatibili, i doveri di comportamento individuati per i dipendenti.

Ciò consente di escludere alcuni doveri ma anche di aggiungerne altri, specificamente legati al tipo di collaborazione prestata e di chiarire il regime sanzionatorio.

Gli enti pubblici economici, le società a controllo pubblico e gli enti di diritto privato di cui all’art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. 33/2013 integrano i doveri di comportamento contenuti nel modello 231 e nel codice etico con un’apposita sezione dedicata ai doveri di comportamento dei propri dipendenti diretti a contrastare fenomeni corruttivi ai sensi della l. 190/2012 ed elaborata sulla base dell’analisi dei rischi effettuata ai fini dell’adozione delle misure integrative del modello 231 (l. 190/2012, art. 1, co. 2-bis).

Laddove sprovvisti del modello 231, gli enti pubblici economici, le società a controllo pubblico e gli altri enti di diritto privato di cui all’art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. 33/2013 definiscono doveri di comportamento avendo riguardo alla prevenzione dei reati di corruzione passiva e tenendo conto dell’analisi dei rischi effettuata e delle misure organizzative di prevenzione elaborate ai sensi della l. 190 del 2012, in relazione alle funzioni svolte e alla propria specificità organizzativa.

Le integrazioni del modello 231 e del codice etico con i doveri di comportamento identificati per contrastare la corruzione passiva hanno rilevanza ai fini della responsabilità disciplinare, analogamente ai codici di comportamento delle pubbliche amministrazioni.

L’inosservanza, cioè, può dare luogo a misure disciplinari, ferma restando la natura privatistica delle stesse. Pertanto, il sistema disciplinare previsto nel modello 231 deve considerare anche le violazioni dei doveri di comportamento attinenti alla prevenzione della corruzione passiva.

Espressioni espositive, Comunicazione, Formazione,

Il codice di comportamento è un atto che ha un importante rilievo comunicativo in quanto deve essere comprensibile a tutti i suoi destinatari.

Con riferimento alla esposizione dei contenuti, nella delibera 177/2020 l’ANAC ritiene che una enunciazione dei doveri, laddove possibile, in positivo, vale a dire con indicazione di quello che il destinatario fa o deve fare, è preferibile ad una formulazione in negativo (es. “dipendenti assicurano nelle relazioni con i colleghi e i terzi la massima collaborazione, nel rispetto delle posizioni e dei ruoli rivestiti, evitando atteggiamenti e comportamenti che possano turbare il necessario clima di serenità e concordia nell’ambito dei servizi”).

La formulazione in positivo propone un’immagine favorevole dei dipendenti e dell’amministrazione in generale, poiché dà per scontato che i destinatari del codice, nel quotidiano svolgimento della loro attività professionale, già attuano le prescrizioni ivi contenute.

Invece una formulazione in negativo rischia di trasmettere il messaggio opposto, tendendo a normalizzare comportamenti negativi presenti nell’amministrazione.

Peraltro la formulazione in positivo conduce ad usare espressioni brevi, dalla struttura semplice e dal contenuto inequivocabile che le rendono più comprensibili e incisive.

Al contempo, clausole e principi generali devono essere tradotti in regole di condotta concrete seguite da indicazioni specifiche dei comportamenti ammessi e di quelli non ammessi, in modo da consentire ai soggetti stessi a cui le regole sono rivolte di non identificarsi nel comportamento deviante.

Un codice di comportamento efficace è scritto in modo chiaro, facilmente accessibile da tutte le persone che lavorano all’interno dell’organizzazione per la vicinanza e l’utilità dei temi trattati, adattati alle peculiarità del personale, che non ripeta pedissequamente enunciazioni di principio già presenti nella legge e nel codice generale.

Va usato uno stile essenziale ed accessibile, improntato a criteri di chiarezza e semplicità.

I periodi devono essere brevi e chiari e non inutilmente complessi.

Va prestata attenzione alla lunghezza del documento, tenendo presente che un documento troppo lungo rischia di non essere letto per intero dai destinatari, con la conseguenza che alcuni contenuti importanti presenti nel codice potrebbero essere sottovalutati.

Analogamente, la composizione grafica del documento deve assicurare una facile leggibilità, facendo attenzione al carattere utilizzato, alla spaziatura del testo e all’organizzazione della pagina.

Accanto alla versione cartacea è poi auspicabile anche una versione digitale facilmente accessibile a tutti i destinatari del codice, che consenta di rintracciare all’occorrenza il tema che interessa mediante la funzionalità della ricerca automatica.

La l. 190/2012 ha stabilito l’obbligo per le amministrazioni di prevedere, per le attività a più elevato rischio di corruzione, percorsi e programmi di formazione, anche specifici e settoriali, rivolti ai dipendenti sui temi dell’etica e della legalità.

Il d.P.R. 62/2013 ha disposto che al personale delle pubbliche amministrazioni siano rivolte attività formative in materia di trasparenza e integrità per conseguire una piena conoscenza dei contenuti del codice di comportamento, nonché un aggiornamento annuale e sistematico sulle misure e sulle disposizioni applicabili in tali ambiti.

L’ANAC ha suggerito di prevedere per tutti i dipendenti pubblici, a prescindere dalle tipologie contrattuali, una formazione iniziale sulle regole di condotta definite nel codice di comportamento nazionale e nei codici di amministrazione.

Alla formazione iniziale deve seguire una formazione in costanza di servizio che fornisca gli strumenti decisionali per affrontare i casi critici e i problemi etici che i dipendenti incontrano in specifici contesti.

L’Autorità anticorruzione, già nella delibera 75/2013, aveva sottolineato il ruolo dei dirigenti nel promuovere e accertare la conoscenza dei contenuti del codice di comportamento sia nazionale che di amministrazione da parte dei dipendenti della struttura di cui sono titolari.

In particolare anche l’OCSE raccomanda di offrire ai dipendenti pubblici, nel corso della loro carriera, corsi di formazione in materia d’integrità, al fine di sensibilizzare e sviluppare le competenze essenziali per l'analisi dei dilemmi etici, per gestire le situazioni di conflitto di interessi e per rendere gli standard di integrità pubblica applicabili e significativi nel lavoro quotidiano.

I controlli

La vigilanza sulla concreta attuazione delle regole contenute nel codice di comportamento che contribuiscono alla piena realizzazione delle misure di prevenzione del rischio è svolta all’interno delle amministrazioni con la cooperazione di una pluralità di soggetti che esercitano il controllo al fine di garantire in concreto il rispetto degli obblighi e dei doveri indicati nel codice.

La vigilanza è affidata innanzitutto ai dirigenti responsabili di ciascuna struttura per l’ambito di propria competenza e in relazione alla natura dell’incarico e ai connessi livelli di responsabilità.

Il dirigente riceve le comunicazioni dei dipendenti assegnati al proprio ufficio, riguardanti i rapporti intercorsi con soggetti privati e le situazioni di conflitto di interesse e decide sull’obbligo di astensione adottando i conseguenti provvedimenti.

La vigilanza del dirigente va operata per mezzo di una adeguata articolazione che consenta ai dipendenti di svolgere le attività assegnate a ciascuno nel rispetto dei principi di trasparenza, buon andamento e imparzialità, cui sono rivolti i doveri di comportamento.

Il dirigente deve promuovere la conoscenza del codice di comportamento fornendo assistenza e consulenza sulla corretta interpretazione e attuazione del medesimo e deve favorire la formazione e l’aggiornamento dei dipendenti in materia di integrità e trasparenza, in coerenza con la programmazione di tale misura nel PTPCT.

Il dirigente attiva le azioni disciplinari di competenza per le infrazioni di minore gravità, dandone comunicazione all’Ufficio procedimenti disciplinari.

Il responsabile della struttura, inoltre, segnala tempestivamente all’UPD i casi di violazione del codice per i quali è prevista l’irrogazione di sanzioni superiori al rimprovero verbale.

Il dirigente provvede anche a comunicare l’illecito all’autorità giudiziaria penale o alla Corte dei conti.

Il dirigente nella valutazione individuale del dipendente tiene conto anche delle eventuali violazioni del codice di comportamento emerse in sede di vigilanza.

Il controllo sul rispetto del codice di comportamento, nonché sulla mancata vigilanza da parte dei dirigenti è svolto dal superiore gerarchico o organo sovraordinato.

Funzioni di vigilanza possono essere attribuite anche alle strutture di controllo interno, tra le quali l’OIV che svolge attività di supervisione sull’applicazione del codice, riferendone nella relazione annuale sul funzionamento complessivo del Sistema di valutazione, trasparenza e integrità dei controlli interni.

La vigilanza è inoltre attuata con il coinvolgimento dell’ufficio procedimenti disciplinari cui spetta il compito di esaminare le segnalazioni di violazione del codice e di attivare il procedimento in contraddittorio con il dipendente.

Per il caso di violazione dei doveri di comportamento da parte dei titolari di posizione dirigenziale di vertice, nonché dei collaboratori o consulenti e dei titolari degli uffici di diretta collaborazione nei termini previsti nell’atto di conferimento dell’incarico, le amministrazioni individuano nel codice di comportamento la struttura idonea all’accertamento, in contradditorio con l’interessato, e alla comunicazione all’ufficio o all’organo che ha conferito l’incarico ai fini della valutazione e risoluzione del contratto.

Tale compito secondo l’ANAC può essere affidato all’UPD o a una struttura di controllo interno, ferma restando l’autonoma scelta organizzativa di ogni singola amministrazione.
Alla vigilanza è strumentale un’attenta e periodica - almeno annuale - attività di monitoraggio sull’attuazione del codice, da pianificare e documentare in analogia con il monitoraggio riguardante la verifica dell’osservanza delle misure di prevenzione del rischio previste nel PTPCT da parte delle unità organizzative in cui si articola l’amministrazione.

Anche le attività relative al monitoraggio interno vedono la partecipazione di figure e strutture che collaborano per effettuare le rilevazioni sull’applicazione del codice.

L’elaborazione dei dati sugli esiti dei procedimenti disciplinari può essere utile per orientare la formazione del personale e per integrare i contenuti del PTPCT.

La responsabilità del monitoraggio sull’attuazione del codice è posta in capo al RPCT, in raccordo con l’UPD, che provvede alla raccolta dei casi di condotte illecite accertate e sanzionate dei dipendenti, assicurando le garanzie di cui all'articolo 54-bis del d.lgs. n. 165/2001 in materia di tutela dell’identità di chi ha segnalato fatti rilevanti a fini disciplinari.

Gli esiti del monitoraggio consentono di acquisire elementi conoscitivi in merito alle violazioni commesse, alle sanzioni disciplinari applicate e alle aree maggiormente interessate dalle violazioni, di cui si tiene conto nella redazione della Relazione annuale del RPCT.

Inoltre, i risultati del monitoraggio, da pubblicarsi sul sito dell’amministrazione, assumono rilievo ai fini dell’aggiornamento del PTPCT e dello stesso codice, in modo da superare le criticità che hanno contribuito a determinare le cattive condotte riscontrate.

L’aggiornamento del codice è curato dall’UPD, sempre in collaborazione con il RPCT.

Anche l’aggiornamento del Codice è sottoposto alla consultazione pubblica come nella fase di prima adozione.

La vigilanza e il monitoraggio presuppongono, in ogni caso, una adeguata conoscenza del codice di comportamento da parte dei dipendenti e degli altri soggetti cui lo stesso si applica.

In questo ambito un ruolo centrale è ricoperto dal RPCT, che ne cura la diffusione e offre supporto interpretativo.

Collaborano altresì al monitoraggio gli utenti e associazioni di cittadini che segnalano eventuali violazioni dei codici di comportamento.

A tal fine può essere utile un raccordo tra l’ufficio relazioni con il pubblico e l’UPD, che consenta la raccolta e la condivisione delle segnalazioni da parte di tali uffici.

La stessa ANAC ha un potere di vigilanza e sanzionatorio per omessa adozione dei codici di comportamento. Nei casi in cui si accertino ipotesi di mancata adozione del codice di comportamento l’Autorità anticorruzione, all’esito dell’apposito procedimento, irroga a ciascuno dei soggetti obbligati una sanzione pecuniaria in misura correlata alle responsabilità accertate nella omessa adozione.

L’importo della sanzione pecuniaria è definito entro i limiti minimi e massimi indicati dal decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, art. 19 e con l’applicazione dei criteri generali contenuti nella legge 24 novembre 1981, n. 689.

L’esercizio di tale potere è disciplinato dal “Regolamento per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità per la mancata adozione dei PTPC e dei codici di comportamento” del 7 ottobre 2014.

L’ANAC può avvalersi dei propri poteri conoscitivi e di vigilanza sull’effettiva applicazione ed efficacia delle misure di prevenzione della corruzione adottate dalle pubbliche amministrazioni, anche con riferimento ai codici di comportamento.

L’ANAC svolge l’attività di vigilanza, non assistita da poteri sanzionatori, anche sul contenuto dei doveri, sull’applicazione dei codici nonché sulle azioni intraprese dalle amministrazioni per promuovere la conoscenza dei doveri di comportamento.

L’Autorità è altresì titolare di un potere consultivo sulle problematiche generali relative ai comportamenti dei dipendenti pubblici, potendo esprimere, parere obbligatorio sugli atti di direttiva e di indirizzo, nonché sulle circolari del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione in materia di conformità di atti e comportamenti dei funzionari pubblici alla legge, ai codici di comportamento e ai contratti, collettivi e individuali, regolanti il rapporto di lavoro pubblico, ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. d) della l. n. 190/2012.

L’Autorità anticorruzione con la delibera 177/2020 si è infine riservata con cadenza almeno annuale, attraverso l’accesso diretto ai siti web delle amministrazioni o attraverso indagini mirate, di verificare che i codici di comportamento siano effettivamente adottati dalle amministrazioni secondo le previste prescrizioni.

20 marzo 2020

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