TARI: l’errore nella parte variabile e le conseguenze sui comuni

Servizi Comunali TARI
di Catania Luciano
16 Novembre 2017

TARI: L’ERRORE NELLA PARTE VARIABILE E LE CONSEGUENZE SUI COMUNI

                                                               Luciano Catania

 

C’è chi ha gridato allo scandalo, chi alla truffa e chi, più semplicemente e più correttamente, ha parlato di errore da parte dei comuni. L’oggetto del contendere è la quota variabile del tributo sulla raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.

La Tari, introdotta  con la L.147/13, subentrata alla Tarsu, alla Tia ed alla Tares, serve a finanziare integralmente (copertura 100%) il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Soggetto passivo d’imposta è chiunque possieda o detenga, a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte che possono produrre immondizia.

La Tari comprende una quota fissa e una variabile. La prima è in proporzione ai metri quadrati dell'abitazione mentre la seconda cresce secondo il numero dei membri della famiglia. 

La parte variabile, secondo la recente interpretazione ministeriale, va calcolata una sola volta sull'insieme di casa e pertinenze immobiliari, tenuto conto del numero dei familiari mentre, a quanto pare, alcuni Comuni l'avrebbero applicata tante volte quant’era il numero di pertinenze dell'abitazione.

A svelare la presunta irregolarità è stato il sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta, nel corso di un question time a Montecitorio, rispondendo ad un parlamentare del Movimento Cinque Stelle.

In effetti, l'esistenza di più pertinenze non moltiplica la quantità d'immondizia potenzialmente prodotta dal nucleo familiare.

L’esempio discusso alla Camera ha riguardato un appartamento dove vivevano quattro persone, con superficie complessiva di 150 mq., di cui 100 di casa, 30 di garage e 20 di cantina, la parte variabile della tariffa relativa ad autorimessa e cantina, secondo il Ministero, andava computata solo una volta, considerando l'intera superficie dell'utenza composta sia dalla parte abitativa che dalle pertinenze site nello stesso comune.

Pertanto l'importo da versare si sarebbe ottenuto sommando: tutte le quote fisse rispettivamente di casa, garage e cantina, a cui si aggiungerà una, e solo una volta, l'importo della quota variabile.
Nel rispondere all’interrogazione, il sottosegretario cita il Prototipo di Regolamento per l'istituzione e l'applicazione della Tares, applicabile anche alla Tari, con riferimento ai fruitori delle utenze domestiche.

Il Prototipo, però, non è fonte legislativa ed, in materia di tributi locali, il singolo Comune ha potere regolamentare.

I Comuni possono stabilire ed applicare, ossia disporre e regolamentare i casi accessori al rapporto tributario, che non riguardino quindi le caratteristiche fondanti del rapporto tributario, quali la determinazione del soggetto passivo, della fattispecie imponibile (o presupposto di fatto) e delle esenzioni.

L'art. 52 del D.Lgs. 446/1997, in attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti nelle lettere a) e b) del c. 149 dell'art. 3 della L. 662/1996, stabilisce che Province e Comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo che per quanto attiene all’individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima.

Il riferimento per il quale i Comuni avrebbero sbagliato ad applicare il tributo, quindi, non può che essere quello legislativo e non certo il prototipo di regolamento, citato dal sottosegretario.

Sulle pertinenze si applica la Tari come se fossero case oppure locali accessori all'appartamento.

Gli eventuali errori si sarebbero ripetuti per più anni.

Il rimedio del ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale è possibile solo se il relativo avviso di accertamento è stato notificato di recente. Il ricorso (o il reclamo con eventuale proposta di mediazione ai sensi dell’art. 17bis del D. Lgs. n. 546/1992), infatti, è proponibile solo entro sessanta giorni dalla notifica.

Se il ricorso è presentato tempestivamente, il giudice tributario può disapplicare l’eventuale norma regolamentare in contrasto con la legge.

Se è già spirato il termine di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento, il ricorso alla C.T.P. non è ammissibile.

Ancora più improbabile è la circostanza che il contribuente sia in tempo ad impugnare dinanzi al Tar l'intero regolamento comunale relativo alla Tari, giacché verosimilmente lo stesso sarà stato approvato anni prima.

La strada più perseguibile è quella della presentazione di un’istanza di rimborso, rivolta ai Comuni che hanno applicato in maniera errata il tributo.

I contribuenti, preliminarmente, devono verificare se il loro Comune ha davvero sbagliato ed hanno diritto al rimborso.

Se la quota variabile è presente per ognuna delle eventuali pertinenze, allora il contribuente potrà chiedere il rimborso al Comune presentando una semplice richiesta in carta libera contenente tutti i dati necessari.

Il problema si trasferisce, quindi, sui Comuni. Ciascun Ente, se ritiene di essere incorso in errore, può decidere se gestire le singole richieste di rimborso oppure rideterminare complessivamente il proprio piano tariffario relativamente alle utenze domestiche.

Giova ricordare che la Tari deve coprire integralmente il costo del servizio e se il 100% è stato raggiunto con l’errata applicazione del tributo sulle pertinenze si aprirà un grosso problema.

Il minore importo gravante su alcuni contribuenti, finirà con lo spalmarsi sul resto dei contribuenti (la rideterminazione della quota variabile, di fatto, potrebbe comportare anche una riduzione dell’importo da rimborsare al singolo contribuente).

Una soluzione potrebbe essere un intervento legislativo (eventualmente nella legge di stabilità) che permetta ai Comuni di coprire il minor introito dovuto ai rimborsi con fondi di bilancio.

Il Mef ha annunciato, per i prossimi giorni, la pubblicazione di una nuova circolare sul tema.

Nel caso d’illegittimo diniego alla richiesta del rimborso, per i contribuenti si riapre la strada del ricorso alla Commissione Tributaria, stavolta non per chiedere il parziale annullamento dell’avviso di accertamento ma contro il diniego al rimborso.

Nel caso in cui il contribuente abbia versato anche l’importo illegittimamente richiesto, lo stesso ha cinque anni di tempo per chiedere il rimborso.

Se il Comune notifica il diniego espresso al rimborso, il ricorrente ha sessanta giorni di tempo per impugnare il provvedimento. Qualora il Comune non risponda all’istanza, decorsi novanta giorni, si può impugnare il silenzio-rifiuto davanti alla Commissione tributaria provinciale competente per territorio.

15 novembre 2017

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