Il para-diritto che crea solo caos: la questione delle certificazioni per la “semplificazione”

Limiti e insidie della improvvisazione interpretativa

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di Oliveri Luigi
05 Gennaio 2024

 

Anche a causa di sentenze, pareri, risoluzioni, circolari, spesso in contraddizione tra esse, ormai ha preso piede la tendenza a considerare il diritto come una creazione di volta in volta da piegare a particolari esigenze, spesso fatte passare come finalizzate alla “semplificazione”.
Ne è un esempio il dibattito in dottrina sul parere 57/2023 col quale l’Anac si è limitata ad affermare semplicemente il principio secondo cui sulle certificazioni non si possa formare il silenzio assenso.
Da qui, prese di posizioni dottrinali da un lato volte a criticare l’Anac (come se l’impossibilità del silenzio assenso fosse conseguenza del parere dell’authority e non necessaria conseguenza dell’articolo 20 della legge 241/1990), e ricostruzioni degli istituti che vanno dal suggestivo al fantasioso, finalizzate ad alimentare l’idea della possibilità di avvalersi di un diritto interpretabile “on demand”, piegato a seconda delle situazioni contingenti.
Ne è un esempio l’approccio critico di parte della dottrina, che propone almeno due ricostruzioni della disciplina concernente la verifica dei requisiti degli operatori economici di chiara creazione estemporanea, lontanissimi dalla concreta normativa vigente.
Una prima tesi proposta è quella secondo la quale l’emissione dei certificati posti a verificare le dichiarazioni sostitutive presentate dagli operatori economici possa ritenersi di fatto una richiesta di nulla osta (ad aggiudicare), come tale ricadente nelle previsioni dell’articolo 17-bis della legge 241/1990; ciò perché non si tratterebbe di un certificato come gli altri, ma di un provvedimento avente valore sostanziale, appunto, di nulla osta.
L’articolo 17-bis citato, al comma 1, dispone: “Nei casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte dell'amministrazione procedente. Esclusi i casi di cui al comma 3, quando per l’adozione di provvedimenti normativi e amministrativi è prevista la proposta di una o più amministrazioni pubbliche diverse da quella competente ad adottare l’atto, la proposta stessa è trasmessa entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta da parte di quest’ultima amministrazione. Il termine è interrotto qualora l'amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso. In tal caso, l'assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento; lo stesso termine si applica qualora dette esigenze istruttorie siano rappresentate dall’amministrazione proponente nei casi di cui al secondo periodo. Non sono ammesse ulteriori interruzioni di termini”.
La ricostruzione proposta appare come una lettura affetta da vizio di legittimità per travisamento della norma. Se le amministrazioni chiamate a svolgere l’azione di verifica sulle dichiarazioni sostitutive presentate in fase di gara disponessero di un potere di esprime un “nulla osta” all’appalto:

  • lo dovrebbe prevedere, ovviamente, il codice dei contratti, posto che l’esercizio di un potere pubblico deve rispettare il principio di legalità, sicché occorre una norma che attribuisca alle amministrazioni “certificanti” detto potere;
  • l’amministrazione chiamata ad effettuare la verifica sulla veridicità delle dichiarazioni non sarebbe più “certificante” e, come tale, totalmente estranea al processo di produzione del provvedimento finale; sarebbe, invece, pienamente coinvolta in detto processo, sia pure nell’esercizio dei poteri di controllo (tale è sempre un nulla osta) o di co-elaborazione del processo, connesso all’espressione dei concerti e degli assensi;
  • poiché il silenzio assenso, ai sensi dell’articolo 20 della legge 241/1990 posto a regolarlo, si applica solo ai procedimenti amministrativi ad iniziativa di parte allo scopo di formare un provvedimento tacito a rimedio dell’inerzia dell’amministrazione, il certificato dovrebbe essere configurato a sua volta come provvedimento: il che non è. Il provvedimento amministrativo è una decisione adottata dall’amministrazione nell’esercizio del proprio potere, volta a costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche. Il certificato non assolve a nessuna di queste funzioni: semplicemente è una dichiarazione con la quale si rendono note a terzi, con effetto probatorio, informazioni desunte da registri e banche dati ove sono conservate.

Che l’articolo 17-bis nulla abbia a che vedere con la funzione di amministrazione certificante lo dimostra il terzultimo periodo del comma 1, ove si disciplina l’interruzione del termine “qualora l'amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso”. Lo si capisce senza alcun bisogno di approfondimento che l’emissione di un certificato o la verifica della dichiarazione non richiede alcuna esigenza istruttoria o di modifica: l’attività necessaria, infatti, consiste esclusivamente nella consultazione delle informazioni presenti nelle banche dati dalle quali si estraggono i certificati o le risultanze per le verifiche: le amministrazioni certificanti non hanno nulla da chiedere alle stazioni appaltanti. 
Dunque, l’idea che possa applicarsi alla certificazione il comma 2 dell’articolo 17-bis (“Decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito”) è privata totalmente di fondamento. Le amministrazioni certificanti non dispongono di alcun potere procedurale, né provvedimentale. La “attrazione” della richiesta di verifica o certificazione nella disciplina dei nulla osta è semplicemente para diritto, creazione e suggestione infondata e, se applicata, totalmente illegittima.
Una seconda ricostruzione proposta da parte della dottrina è maggiormente fondata, anche se comunque erronea.
Secondo tale ricostruzione, gli operatori economici comprovano a monte e a titolo definitivo i requisiti, attraverso le dichiarazioni sostitutive contenute nel DGUE; pertanto, i “certificati” avrebbero la sola utilità di fungere da “meri controlli” che, per altro, propone la tesi, per norma generale vanno effettuati a campione per norma generale.
L’errore di questa impostazione consiste nell’enunciarla omettendo un elemento fondamentale.
Partiamo dalla base:

  • la verifica dei contenuti delle dichiarazioni sostitutive (gergalmente definite “autocertificazioni”) è disciplinata dall’articolo 43, comma 1, del d.P.R. 445/2000: “Le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell’interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato”;
  • le modalità delle verifiche sono indicate dall’articolo 71, comma 1, sempre del d.P.R. 445/2000: “Le amministrazioni procedenti sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione in misura proporzionale al rischio e all'entità del beneficio, e nei casi di ragionevole dubbio, sulla veridicità delle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47, anche successivamente all'erogazione dei benefici, comunque denominati, per i quali sono rese le dichiarazioni”.

Dalle norme enunciate, si conclude che:

  • le verifiche sono obbligatorie sempre;
  • sul piano quantitativo è possibile, ma non obbligatorio, effettuare verifiche a campione; infatti, sono “anche” possibili verifiche a campione, ma solo laddove il rischio e l’entità del beneficio risultino tali da non costituire un particolare “allarme” per la legittima erogazione delle risorse pubbliche.

Ora, nel caso degli appalti, la normativa speciale (cioè il D.Lgs 36/2023) pretende che le stazioni appaltanti, che erogano denaro pubblico, non contrattino con operatori economici ad evasori di imposte, evasori contributivi, chi non assolva gli obblighi di assunzione delle categorie protette, chi sia insolvente o sulla via del fallimento, chi abbia nei propri ruoli operativi condannati per reati considerati dalla legge ostativi alla conclusione di rapporti negoziali con la PA.
Il D.Lgs 36/2023 negli articoli da 94 a 98 disciplina una serie di requisiti volti a determinare la stessa capacità di agire degli operatori economici quando si relazionano con la PA, la cui assenza comporta la conseguenza dell’esclusione (automatica o discrezionale).
Pertanto, gli operatori economici debbono possedere concretamente i requisiti necessari, altrimenti nemmeno possono sottoscrivere il contratto.
Ecco perché le stazioni appaltanti debbono sempre e comunque verificare i requisiti dichiarati. Il Dgue consente di gestire egualmente le gare fino alla conclusione. Ma, l’aggiudicazione è emanabile solo a seguito della piena e completa verifica dei requisiti del primo in graduatoria, per evitare il rischio di contrattare con un soggetto privo dei requisiti soggettivi necessari.
Quanto affermato è una ricostruzione dottrinale, un’opinione? No. Lo stabilisce l’articolo 99, del codice: 
“La stazione appaltante verifica l’assenza di cause di esclusione automatiche di cui all’articolo 94 attraverso la consultazione del fascicolo virtuale dell’operatore economico di cui all’articolo 24, la consultazione degli altri documenti allegati dall’operatore economico, nonché tramite l’interoperabilità con la piattaforma digitale nazionale dati di cui all’articolo 50-ter del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e con le banche dati delle pubbliche amministrazioni.
2. La stazione appaltante, con le medesime modalità di cui al comma 1, verifica l’assenza delle cause di esclusione non automatica di cui all’articolo 95, e il possesso dei requisiti di partecipazione di cui agli articoli 100 e 103.
3. Agli operatori economici non possono essere richiesti documenti che comprovano il possesso dei requisiti di partecipazione o altra documentazione utile ai fini dell’aggiudicazione, se questi sono presenti nel fascicolo virtuale dell’operatore economico, sono già in possesso della stazione appaltante, per effetto di una precedente aggiudicazione o conclusione di un accordo quadro, ovvero possono essere acquisiti tramite interoperabilità con la piattaforma digitale nazionale dati di cui all’articolo 50-ter del codice di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005 e con le banche dati delle pubbliche amministrazioni”
.
La disposizione particolare per il sistema degli appalti, allora, rende inoperante per questo ambiente l’articolo 71, comma 1, del d.P.R. 445/2000 e non consente verifiche a campione.
Sul punto, la giurisprudenza (Tar Lazio, Roma, sentenza 7484/2004) non ha mai avuto alcun dubbio: il possesso dei requisiti morali, più di quanto possa accadere per tutti gli altri – che difficilmente mutano in modo radicale nel periodo di validità dell’attestazione SOA – , è invece soggetto ad eventi, imprevedibili all’atto del rilascio di tale certificazione, che possono influire sull’affidabilità morale dell’impresa e dei suoi dirigenti e che sono tali da giustificare un duplice accertamento, all’atto del rilascio dell’attestazione ed al momento della partecipazione a ciascuna gara d’appalto. La ragione di ciò è evidente: la certificazione SOA non è idonea ad assolvere ogni onere attestativo, compreso quello dei requisiti morali e professionali, perché di ciò non parla l’art. 1, c. 3 del DPR 34/2000, in virtù del quale, infatti, quanto attestato dalla SOA è necessario e sufficiente a certificare soltanto la capacità tecnica ed economico-finanziaria dell’impresa. Spetta, invece, alla stazione appaltante verificare, di volta in volta e senza possibilità di deroghe, con gli opportuni apprezzamenti in merito alla rilevanza dei fatti riscontrati, la sussistenza concreta degli altri requisiti”.
L’elemento innovativo dell’articolo 99 del codice dei contratti pubblici riguarda il metodo di svolgimento delle verifiche. La vera semplificazione non discende dall’invenzione di istituti inesistenti o dall’erronea interpretazione della definitività delle dichiarazioni sostitutive, definitività valevole solo ai fini della procedibilità dell’iter, ma non per l’emanazione del provvedimento finale; discende, piuttosto, dalla consultabilità immediata e diretta del fascicolo virtuale dell’operatore economico, delle altre banche dati e dell’interconnessione mediante cooperazione applicativa tra i vari sistemi di archiviazione ed aggiornamento delle informazioni e dati riguardanti i requisiti degli operatori economici.
Che in generale le verifiche ai fini dell’aggiudicazione siano a tappeto e non a campione è indirettamente e ulteriormente comprovato dallo stesso codice dei contratti, laddove ammette espressamente una verifica campionaria solo per gli affidamenti diretti per importi non superiori ai 40.000 euro.
Allora, la questione non è il para diritto, la creazione innovativa, il piegare istituti giuridici che nulla hanno a che fare tra loro ad un’utilità sentita come pratica.
Vero: molte amministrazioni lamentano la lentezza degli enti certificanti nell’elaborazione delle risposte.
Ma, il rimedio non può essere il “fai da te” giuridico. Lo sono la consapevolezza, al momento della programmazione, di dover scontare termini che purtroppo tengano conto di tempi medi noti e conosciuti di rilascio delle verifiche; il segnalare alle amministrazioni la violazione dei termini, pretendendo di accedere agli atti dell’avvio delle procedure di responsabilità connesse, come imposte dal d.P.R. 445/2000; l’ulteriore consapevolezza che tali possibili ritardi vanno tarati ai fini dei tempi da indicare nei documenti di gara per la sottoscrizione dei contratti.
Questo è quanto può e deve fare la singola stazione appaltante. Il Legislatore e gli enti coinvolti nelle “certificazioni” (Inps, casse, Inail, Agenzia delle entrate, tribunali, camere di commercio, prefetture, centri per l’impiego) debbono, invece, garantire che davvero confluiscano in modo continuativo ed efficiente tutti i dati nel Fvoe, perché altrimenti la semplificazione prevista dall’articolo 99 resta solo illusoria. E spetta al Legislatore, non all’improvvisazione interpretativa, eventualmente adottare misure espresse, come nel caso dell’antimafia, volte a consentire egualmente aggiudicazione e sottoscrizione del contratto, nelle more delle verifiche. Prevedendo, al contempo, l’obbligo di risarcimento del danno da parte dell’amministrazione certificante ritardataria, qualora il contratto stipulato nelle more, debba risolversi per accertata non veridicità delle dichiarazioni sostitutive. Basterebbe questa semplice previsione per cambiare radicalmente le cose.


Articolo di Luigi Oliveri
 

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