La giurisprudenza nazionale a fronte delle previsioni normative di proroga delle concessioni: la loro disapplicazione è inevitabile e obbligatoria
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Come ragionevolmente prevedibile, l’ennesima revisione della disciplina delle concessioni demaniali ad opera del d.l. n. 131/2024 e, in particolare, la proroga della durata delle stesse al 30 settembre 2027, ha generato delle “turbolenze” tra gli enti amministrativi e giurisdizionali.
Come, peraltro, già capitato in passato, gli enti titolari delle aree demaniali oggetto di concessione hanno ritenuto di dover disapplicare la previsione di proroga, venendo a posteriori legittimati nel loro operato dagli organi giurisdizionali.
La sentenza del Tar Liguria n. 896/2024
Da ultimo a pronunciarsi sul punto, è stato il Tar Liguria con la decisione n. 869 del 14.12.2024.
La vicenda all’esame del Tribunale amministrativo ligure trae origine dall’impugnazione da parte di un concessionario del provvedimento con cui il Comune competente non aveva riconosciuto la proroga automatica della concessione, per quanto prevista dal D.L. n. 198/2022, al 31.12.2024.
L’ente concedente aveva ritenuto doverosa la disapplicazione della normativa nazionale in quanto incompatibile con i principi di diritto europeo, ben esplicitati nella nota direttiva Bolkenstein 2006/123, dando, peraltro, continuità all’orientamento giurisprudenziale nazionale pressochè monolitico.
Dal conto suo, il ricorrente sosteneva che la giurisprudenza nazionale espressasi sul punto doveva ritenersi superata, tanto più che il Legislatore, con il recente d.l. n. 131/2024, aveva disposto una ulteriore proroga della durata delle concessioni.
Il Tar Liguria ha però concluso con il rigetto del ricorso. I giudici amministrativi hanno infatti ritenuto che le proroghe disposte in via normativa alla durata delle concessioni siano illegittime perché contrarie all’art. 12 della direttiva Bolkenstein e, in quanto tale, debbano essere disapplicate.
La recente sentenza amministrativa ha nel corpo della propria motivazione richiamato numerosi precedenti giurisprudenziali che già si sono espressi sulla questione nel corso nel 2024, annualità che sul punto è stata particolarmente prolifera.
La sentenza del consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana n. 119 del 21.02.2024
Tra tutti i precedenti giurisprudenziali, per le argomentazioni di particolare interesse riportate, dobbiamo in primo luogo ricordare la sentenza n. 119/2024 del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana.
Nel merito, la questione esaminata riguardava la concessione demaniale rilasciata per l'esercizio di un punto di ristoro (ristorante, pizzeria, rosticceria) in località viale della Libertà di Messina, in corrispondenza del punto di attracco dei traghetti provenienti dalla Calabria. La collocazione, evidentemente strategica, rendeva l’area e il punto di ristoro potenzialmente molto appetibili per operatori commerciali diversi dall’allora concessionario.
Nel procedere alla disamina della questione, il Collegio richiama a sua volta la sentenza della Corte di giustizia EU del 20 aprile 2023 (causa C-348/22) che ha enunciato dei principi fondamentali per la questione in questa sede in esame.
Ovvero:
Il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana richiama a sua volta le sentenze n. 17 e 18 del 9 novembre 2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in cui è stato precisato che il concetto di "scarsità" delle aree demaniali sfruttabili sul piano economico "va, invero, interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della <<quantità>> del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti, oltre che dei fruitori finali del servizio che tramite esso viene immesso sul mercato. Va ancora considerata la concreta disponibilità di aree ulteriori rispetto a quelle attualmente già oggetto di concessione. È sulle aree potenzialmente ancora concedibili (oltre che su quelle già assentite), infatti, che si deve principalmente concentrare l'attenzione per verificare se l'attuale regime di proroga fino al 31 dicembre 2033 possa creare una barriera all'ingresso di nuovi operatori, in contrasto con gli obiettivi di liberalizzazione perseguiti dalla direttiva. La valutazione della scarsità della risorsa naturale, invero, dipende essenzialmente dall'esistenza di aree disponibili sufficienti a permettere lo svolgimento della prestazione di servizi anche ad operatori economici diversi da quelli attualmente <<protetti>> dalla proroga ex lege".
Il Collegio siciliano si preoccupa di ricordare che in Italia quasi il 50% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari, con picchi che in alcune Regioni raggiungono anche del 70%, e che una parte significativa della costa ancora "libera" risulta non fruibile per finalità turistico-ricreative, in quanto inquinata o comunque in stato di abbandono, E’ pertanto inevitabile concludere che "attualmente le aree demaniali marittime (ma analoghe considerazioni valgono per quelle lacuali o fluviali) a disposizione di nuovi operatori economici sono caratterizzate da una notevole scarsità, […], a maggior ragione alla luce della già evidenziata capacità attrattiva delle coste nazionali e dell'elevatissimo livello della domanda in tutto il periodo estivo […]. Pertanto, nel settore delle concessioni demaniali con finalità turistico - ricreative, le risorse naturali a disposizione di nuovi potenziali operatori economici sono scarse, in alcuni casi addirittura inesistenti, perché è stato già raggiunto il - o si è molto vicini al - tetto massimo di aree suscettibile di essere dato in concessione".
Le conclusioni che devono essere tratte sono pertanto le seguenti:
Per i giudici non sarebbe possibile invocare, a sostegno di una diversa conclusione, la tutela dell’affidamento del concessionario. D’altro canto già la Corte di giustizia UE del 14 luglio 2016, ha chiarito che detto affidamento deve trovare adeguata tutela nelle procedure competitive per l'assegnazione delle concessioni, mediante il riconoscimento di un indennizzo per gli eventuali investimenti effettuati dal concessionario uscente. Ma esso non può in alcun modo essere un ostacolo alla puntuale applicazione del diritto europeo ed alla correlata disapplicazione delle norme di legge nazionali in contrasto con la fonte europea.
Il Collegio siciliano ci tiene altresì a precisare che “anche la moratoria emergenziale prevista dall'art. 182, co. 2, d.l. 34/2020 presenta profili di incompatibilità comunitaria del tutto analoghi a quelli fino ad ora evidenziati. Non è infatti seriamente sostenibile che la proroga delle concessioni sia funzionale al contenimento delle conseguenze economiche prodotte dall'emergenza epidemiologica”. Come peraltro già evidenziato dalla Commissione UE nella lettera all’Italia di costituzione in mora con riferimento all'art. 182, co. 2, d.l. 34/2020, “la reiterata proroga della durata delle concessioni balneari prevista dalla legislazione italiana scoraggia gli investimenti in un settore chiave per l'economia italiana e che sta già risentendo in maniera acuta dell'impatto della pandemia da COVID-19. Scoraggiando gli investimenti nei servizi ricreativi e di turismo balneare, l'attuale legislazione italiana impedisce, piuttosto che incoraggiare, la modernizzazione di questa parte importante del settore turistico italiano. La modernizzazione è ulteriormente ostacolata dal fatto che la legislazione italiana rende di fatto impossibile l'ingresso sul mercato di nuovi ed innovatori fornitori di servizi”.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 2679 del 19.03.2024
Un altro precedente giurisprudenziale che ha espresso egregiamente principi fondamentali sul tema della proroga delle concessioni è la sentenza n. 2679/2024 del Consiglio di Stato.
Il Collegio ha smentito l’allegazione del titolare della concessione dello stabilimento balneare circa la necessità di tutela del suo legittimo affidamento, rilevando come quest’ultimo non sussista. In particolare, i Giudici precisano che non verrebbero “neppure in rilievo i poteri di autotutela decisoria dell'amministrazione ove solo si consideri che l'atto con cui il Comune di Lavagna ha inizialmente attestato l'avvenuta proroga della concessione ha assunto una valenza meramente ricognitiva, essendo l'effetto di cui si discute scaturito direttamente dalla legge; ciò con l'ulteriore rilievo che - come in precedenza evidenziato – detto atto non reca alcuna specifica valutazione della situazione della società, speciale e diversa dalla generalità degli altri concessionari bensì soltanto un generico richiamo alla proroga ex lege disposta dall'art. 1, commi da 682 a 684 della l. n. 145 del 2018”.
Assai interessante è poi la precisazione che si legge in sentenza, esposta essenzialmente a fini di completezza, per cui “la circostanza che il rapporto concessorio fosse originariamente sorto in esito all'espletamento di una procedura di evidenza pubblica risulta del tutto irrilevante nel momento in cui detto rapporto ha esaurito la propria efficacia per la scadenza del relativo termine di durata, imponendosi, in tal caso, l'indizione di una nuova procedura selettiva. Come ribadito dalla Corte di Giustizia (sez. III, 20 aprile 2023, causa C 348/22), l'articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che l'obbligo, per gli Stati membri, di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali, nonché il divieto di rinnovare automaticamente un'autorizzazione rilasciata per una determinata attività sono enunciati in modo incondizionato e sufficientemente preciso da poter essere considerati disposizioni produttive di effetti diretti”.
Con preciso riferimento ai fatti di causa, il Collegio afferma che “la circostanza, poi, che detta sentenza della Corte di Giustizia rechi riferimento alla valutazione, demandata all'Autorità nazionale, in ordine alla sussistenza o meno della scarsità della risorsa naturale oggetto della concessione da rilasciarsi non dispiega alcuna incidenza nel presente giudizio”, Infatti, “dalla documentazione in atti non emerge alcuna evidenza idonea a comprovare la non esiguità della risorsa naturale nel territorio che viene in rilievo; invero, sono ravvisabili elementi suscettibili di deporre nel senso esattamente opposto a quello asserito dall'appellante, segnatamente riferiti alle caratteristiche geografiche e morfologiche rilevabili da fonti di generale divulgazione e alla circostanza che trattasi di una delle più significative località del Golfo del Tigullio”.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 4479 del 20.05.2024
Di preminente interesse è anche la sentenza del Consiglio di Stato n. 4479/2024 che si è espressa su un provvedimento del Comune di Lecce del 2020 e che aveva negato la proroga della concessione al 2033, di contro pretesa dall’allora concessionario, che esercitava l’attività di stabilimento balneare in località Spiaggiabella, in virtù dell’allora vigente art.1, comma 682, L. n. 145/2018.
Il Collegio ribadisce un concetto fondamentale, già formulato nei precedenti giurisprudenziali analizzati, ovvero che la questione della disapplicazione delle norme interne che prevedono proroghe alle concessioni demaniali può essere decisa direttamente, senza necessità di rimessione alla Corte costituzionale piuttosto che alla Corte di Giustizia UE.
Rilevano i Giudici come il recepimento della Direttiva 2006/123/CE sia “non solo compatibile con principi fondamentali e irrinunciabili della Costituzione italiana quali il diritto di proprietà, l’impresa e il lavoro nelle imprese familiari, ma anzi costituzionalmente imposto dalla necessità di esercitare la potestà legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea (art. 117, comma primo, Cost.)”.
L'obbligatoria applicazione diretta della Dir. 2006/123/CE e/o dell'art. 49T.F.U.E. al settore delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative impone l'immediata apertura del mercato, sia laddove la risorsa risulti scarsa sia laddove, quando pure la risorsa non sia scarsa, la singola concessione presenti un interesse transfrontaliero certo.
Per il Collegio quindi “tutte le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative - anche quelle in favore di concessionari che avessero ottenuto il titolo in ragione di una precedente procedura selettiva laddove il rapporto abbia esaurito la propria efficacia per la scadenza del relativo termine di durata prima del 31 dicembre 2023 - sono illegittime e devono essere disapplicate dalle amministrazioni ad ogni livello, anche comunale, imponendosi, anche in tal caso, l'indizione di una trasparente, imparziale e non discriminatoria procedura selettiva” ai sensi dell’art. 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva Bolkenstein.
Devono, quindi, essere disapplicate perché contrastanti con l'art. 12 della Dir. 2006/123/CE e comunque con l'art. 49 del T.F.U.E., tutte le disposizioni nazionali che hanno introdotto e continuano ad introdurre, con una sistematica violazione del diritto dell'Unione, le proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.
Tale disapplicazione si impone prima e a prescindere dall'esame della questione della scarsità delle risorse.
In ogni caso, spetta al giudice nazionale verificare se dette concessioni debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali.
I giudici hanno evidenziato che “nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali, il legislatore nazionale può preferire una valutazione generale e astratta valida sull'intero territorio nazionale oppure un approccio di tipo locale caso per caso o una combinazione dei due approcci che anche può risultare equilibrata, concludendo che l'approccio definito combinato, così come le altre due opzioni, non sono incompatibili con il diritto dell'Unione europea.
In ogni caso, è necessario che i criteri adottati da uno Stato membro per valutare la scarsità delle risorse naturali utilizzabili si basino su criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati”.
Una tale valutazione postula inevitabilmente una “ricognizione del territorio costiero, o a livello nazionale o a livello locale che deve essere non solo quantitativa, ma anzitutto qualitativa, perché deve avere riguardo ad un concetto funzionale di scarsità e, cioè, ad un concetto che tiene conto della funzione economica della risorsa pubblica in questione, dovendo valutarsi, in concreto, la collocazione geografica, le caratteristiche morfologiche, il pregio ambientale e paesaggistico, il valore "commerciale", il pregio di quella particolare tipologia di concessione in rapporto al bene pubblico (il tratto di costa) oggetto di sfruttamento economico e non tutto il tratto costiero in ipotesi balneabile come se fosse un unico eguale ed indifferenziato, non potendo ritenersi non discriminatorio un criterio che tratti e consideri e calcoli in modo eguale situazioni costiere estremamente diverse sul territorio nazionale”.
Si ricordi infatti come in molte Regioni italiane sia previsto un limite quantitativo massimo di costa che può essere oggetto di concessione, che, nella maggior parte dei casi - a conferma del carattere scarso della risorsa - coincide o consuma ampiamente la percentuale già assentita.
In ogni caso l'applicabilità dell'art. 12 della Dir. 2006/123/CE è piena, diretta, incondizionata e non è, né può, essere subordinata dal legislatore in nessun modo alla mappatura, in sede nazionale, della "scarsità" della risorsa.
Dalla consolidata giurisprudenza della Corte si traggono dunque i seguenti principi, che sono vincolanti non solo per ogni giudice nazionale - a cominciare dai giudici amministrativi -, ma anche per tutte le autorità amministrative, non ultime, in ragione della prossimità territoriale, quelle comunali:
Pertanto, l'obbligo di applicare l'art. 12 della Dir. 2006/123/CE o l'art. 49 del T.F.U.E. potrebbe ritenersi insussistente soltanto nell’ipotesi - difficilmente riscontrabile - di contestuale assenza di entrambe le imprescindibili condizioni della scarsità della risorsa e dell'interesse transfrontaliero della concessione.
Anche in tali ipotesi resta fermo però l’obbligo di procedere con procedura selettiva comparativa ispirata ai fondamentali principi di imparzialità, trasparenza e concorrenza e rimangono preclusi l'affidamento o la proroga della concessione in via diretta ai concessionari uscenti che non sono titolari di alcuna aspettativa al rinnovo.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 6380 del 16.07.2024
Da ultimo, ricordiamo la sentenza del Consiglio di Stato n. 6380/2024 che in modo lapidario ha sancito che “non è configurabile alcun diritto dei concessionari alla proroga del rapporto con l'amministrazione, essendo quest'ultima attributaria di poteri e prerogative funzionali ad assicurare il miglior perseguimento degli interessi pubblici implicati”.
In particolare, a riguardo è stato chiarito che "la gestione dei beni pubblici demaniali, infatti, è retta, anche a livello nazionale, dai principi e dalle norme contenute nel codice della navigazione e nelle disposizioni di contabilità pubblica recate dal Regio decreto n. 2440 del 1923 e dal Regio decreto n. 827 del1924".
Conclusioni
A fronte di un indirizzo giurisprudenziale così univoco, c’è ragionevolmente da attendersi che anche nel 2025 enti amministrativi ed organi giurisdizionali continueranno a disapplicare le previsioni di proroga ex lege delle concessioni demaniali.
--> Per approfondire alcuni aspetti:
Ministro per la Pubblica Amministrazione – 24 marzo 2025
Ministero dell'Economia e delle Finanze - Circolare 3 febbraio 2025, n. 2
Dipartimento della ragioneria Generale dello Stato – Circolare 3 febbraio 2025, n. 2
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