Cosa deve intendersi per volume tecnico
Pippo Sciscioli
Sono volumi tecnici, come tali non rilevanti ai fini della volumetria massima di un immobile, quei locali destinati esclusivamente al ricovero di impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione o dell’impianto produttivo e che non possono essere ubicati al suo interno (per es. vano ascensore, locale per autoclave, ecc.), mentre non sono tali, e dunque devono essere computati ai fini della volumetria ammissibile, le soffitte, gli stenditoi chiusi e quelli di sgombero, nonché il piano di copertura che viene destinato a mansarda abitabile.
La nozione di volume tecnico, non codificata da nessuna norma fino all’avvento del Regolamento Edilizio Tipo, ha spesso costituito fonte di fuorvianti ed errate interpretazioni in sede di addetti ai lavori, per l’evidente ragione di costituire una deroga alla regola generale che vuole conteggiata nel calcolo della cubatura massima esprimibile da un suolo ogni spazio chiuso.
Sicchè, era inevitabile il ricorso alla giurisprudenza, penale e amministrativa, per stabilire cosa potesse essere inteso per volume tecnico e dunque essere realizzato a prescindere dall’indice di fabbricabilità assegnato dal Piano Regolatore Generale al terreno oggetto di intervento.
Gli ultimi interventi giurisprudenziali in materia sono contenuti nella sentenza n.3299 del 23 marzo scorso del Tar Lazio e n.202 del 24 gennaio scorso del Tar Catanzaro.
Nella prima si legge che “Per costante giurisprudenza, infatti, la nozione di “volume tecnico”, non computabile nella volumetria, corrisponde a un'opera priva di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché è destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima. In sostanza, si tratta di impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione che non possono essere in alcun modo ubicati all'interno di questa, come possono essere -e sempre in difetto dell'alternativa- quelli connessi alla condotta idrica, termica o all'ascensore e simili, i quali si risolvono in semplici interventi di trasformazione senza generare aumento alcuno di carico territoriale o di impatto visivo”.
Nella seconda, più in particolare, i giudici calabresi precisano che “va precisato che non può certamente essere trattato come volume tecnico un piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà una mansarda, in quanto lo stesso si caratterizza per una rilevante altezza media interna (ben superiore a quella sufficiente a svolgere una mera funzione isolante dal punto di vista termico), nonché per un notevole ingombro complessivo, incidente in modo significativo sui luoghi esterni”.
Ancor prima, il Consiglio di Stato (812/11) aveva puntualizzato che “……al riguardo si deve ricordare che possono considerarsi volumi tecnici (come tali non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno, mentre non sono tali – e sono quindi computabili ai fini della volumetria consentita - le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli « di sgombero », nonché il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà, una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (Consiglio Stato, sez. V, 4 marzo 2008, n. 918)…”.
Passando poi ad una casistica esemplificativa, i giudici forniscono un dettagliato elenco, precisando che bisogna distinguere “……la parte di edificio immediatamente inferiore al tetto, a seconda dell'altezza, della praticabilità del solaio, delle modalità di accesso e dell'esistenza o meno di finestre, si distingue in mansarda o camera a tetto (che costituisce locale abitabile), in soffitta (vano inabitabile, ma utilizzabile soltanto come deposito, stenditoio o altro), oppure in camera d'aria sprovvista di solaio idoneo a sopportare il peso di persone o cose e destinato essenzialmente a preservare l'ultimo piano dell'edificio dal caldo, dal freddo e dall'umidità (Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 maggio 2005 n. 2767); b) che la realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna è indice rivelatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati (Consiglio Stato, sez. V, 31 gennaio 2006, n. 354)….”.
Pertanto, richiamando l’elenco appena enucleato, la mansarda o camera a tetto, la soffitta, il deposito, lo stenditoio o ancora il locale situato sotto il tetto ma comunicante, per esempio con una scala a chiocciola, con il piano ad esso sottostante, non possono in alcun modo essere graficamente presentati dal progettista come “volume tecnico” e, conseguentemente, dall’ufficio tecnico comunale essere considerati tali, rientrando invece nel calcolo della cubatura assentibile in base allo strumento urbanistico vigente.
Infatti a qualificare un locale come “volume tecnico”, più che la rappresentazione e destinazione progettuale formale, è la sua sostanziale ed effettiva funzione ed utilizzazione, che deve essere esclusivamente quella di ricovero di impianti tecnologici strumentali alla “vita” stessa del fabbricato residenziale.
Infatti, il volume tecnico deve consistere in un locale avente una propria ed autonoma individualità fisica e conformazione strutturale, destinata ad un esigenza oggettiva della costruzione principale, funzionalmente inserita al servizio della stessa, priva di valore autonomo di mercato, tale da non consentire, anche per le carateristiche peculiari dell’edificio principale, una destinazione diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede.
Peraltro, tale strumentalità rispetto all’immobile principale deve comunque essere oggettiva e non deve risultare semplicemente dalla destinazione soggettivamente conferita dal proprietario del bene.
La ratio dell’esclusione dei volumi tecnici dal conteggio massimo assentibile della cubatura che un suolo può esprimere si spiega proprio alla luce della circostanza per cui i medesimi volumi non producono incremento del carico urbanistico, quindi sono privi di conseguenze per esempio sulla necessaria dotazione di parcheggi e delle altre opere di urbanizzazione funzionali all’edificio.
E’ evidente che una riserva idrica non può essere paragonabile ad un deposito di prodotto finito: quest’ultimo infatti, per le operazioni strumentalmente connesse ai processi produttivi, comporta una movimentazione di mezzi e uomini evidentemente incidente sul diverso e maggiore carico urbanistico della zona.
Al contrario, va da sé che serbatoi idrici, extracorsa degli ascensori, vani di espansione dell’impianto termico, per le loro peculiari ed infungibili caratteritiche e utilizzazioni, non avendo una propria autonomia funzionale non comportano un aumento del carico urbanistico.
Come detto il primo chiaro intervento del legislatore in grado di definire il concetto di volume tecnico è contenuto nel Regolamento Edilizio Tipo di cui all’Intesa del 20 ottobre 2016 raggiunta in sede di Conferenza Unificata fra il Governo, le Regioni e i Comuni, secondo cui “Sono volumi tecnici i vani e gli spazi strettamente necessari a contenere ed a consentire l'accesso alle apparecchiature degli impianti tecnici al servizio dell’edificio (idrico, termico, di condizionamento e di climatizzazione, di sollevamento, elettrico, di sicurezza, telefonico, ecc.)”.
Dunque, si qualificano “volumi tecnici” quelle opere che non hanno una propria autonomia funzionale e che sono realizzate solo per inglobare impianti serventi di un edificio principale per assolvere ad imprenscindibili esigenze tecnico-funzionali.
Al netto del recente R.E.T., le sentenze dei giudici amministrativi chiudono definitivamente il cerchio su una “vexata quaestio”, nella quale, a dire il vero, la posizione della giurisprudenza è stata pressocchè granitica e costante, rispetto alla quale, ciò nonostante, le applicazioni in concreto del concetto spesso sono risultate distorte ed errate.
Eppure, come già detto, la magistratura ha spesso fornito criteri identificativi della ricorrenza della fattispecie.
Per esempio, i sottotetti quando sono di altezza tale da poter essere suscettibili di abitazione o di deposito di materiali non sono volumi tecnici e perciò devono essere computati sia ai fini della cubatura autorizzabile sia ai fini del calcolo dell’altezza, delle distanze e degli altri indici edilizi richiesti dalle norme tecniche degli strumenti urbanistici
“La realizzazione di un locale sottotetto, mediante tramezzature di vani distinti e comunicanti attraverso la scala con il piano sottostante, è senza alcun dubbio rivelatore dell’intento di rendere abitabile il sottotetto ed i vani interessati non possono considerarsi volumi tecnici” (Cons. giust.amm. Sicilia, sez. giurisdiz. N.337 del 22.10.03).
Insomma, si può dire che la nozione di volume tecnico è, per così dire, di tipo indiziario, cioè si desume da una serie di elementi rilevatori di natura meramente oggettiva e non soggettiva: non rilevano in alcun modo, cioè, l’intenzione del soggetto attuatore dell’intervento né tanto meno il tipo di materiali utilizzati ma le modalità attraverso le quali esso il volume tecnico viene realizzato e soprattutto la effettiva destinazione finale.
Se cioè la strutturazione delle opere edili, i materiali utilizzati, l’altezza del locale, l’assenza di impianti come quello termo-idraulico o di ascensore, denotano più o meno evidentemente che quel vano è adibito ad uso abitativo o anche a deposito, ne conseguirà che non sarà qualificabile come “volume tecnico” ma, al contrario, volume da valutare ai fini del calcolo della cubatura massima assentibile.
Per le analoghe considerazioni non possono in alcun modo qualificarsi “volumi tecnici”, per esempio, i silos utilizzati da frantoi e cantine per lo stoccaggio di olio e vino o dai molini per lo stoccaggio dei cereali o del prodotto molito o ancora le celle frigiorifere di impianti di macellazione di carne o di lavorazione di prodotti ortofrutticoli.
Né, sempre nell’ambito degli impianti produttivi, lo possono essere i c.d. magazzini automatici autoportanti, articolati con il sistema dei “pallets” nell’ambito dei pastifici, per il ricovero dei pacchi di pasta prodotti, proprio perché- al di là dei materiali utilizzati- non sono altro che dei veri e propri depositi di prodotti, che- per l’evoluzione della tecnologia - hanno soppiantato i vecchi sistemi.