I contratti conclusi dalla Pubblica Amministrazione richiedono la forma scritta ad sustantiam: commento alla sentenza n. 8865/2017 del Tribunale di Milano

Approfondimento di Alessandro Russo

Servizi Comunali Contratti pubblici
di Russo Alessandro
01 Agosto 2018

Approfondimento di Alessandro Russo                                                                        

I contratti conclusi dalla Pubblica Amministrazione richiedono la forma scritta ad sustantiam: commento alla sentenza n. 8865/2017 del Tribunale di Milano

Alessandro Russo

 

Nel 2008 Consiglio comunale di un Ente della Provincia di Milano approvava una convenzione che avrebbe costituito una servitù di passaggio ed uso pubblico su di un lastrico condominiale di box interrati su cui correva una strada e due aree di parcheggio.

Per cause rimaste sconosciute però, né rappresentante legale dell’Ente e neppure un suo delegato firmavano la successiva convenzione col Condominio.

Nonostante la mancata sottoscrizione, l’Amministrazione decideva di intervenire sul lastrico con dei lavori di ammodernamento e abbellimento dell’area.

Il lavoro però non sarebbe stato eseguito a regola d’arte: i box sottostanti infatti iniziarono ad essere funestati da infiltrazioni d’acqua.

Stante il suo immobilismo nel ripristino, il Condominio evocava in giudizio il Comune per sentirne dichiarare la civile responsabilità per le infiltrazioni causate dall’imperita impermeabilizzazione del lastrico e per l’effetto risarcire il danno, che l’attore quantifica in € 130.000,00 circa.

Con sentenza n. 8865/2017 del 30/08/2017, appellata, il Tribunale di Milano sez. IV civile ritiene la domanda del Condominio fondata.

Preliminarmente il Giudice concentra la sua analisi sulla convenzione, prendendo atto del fatto che la stessa fosse firmata dalle parti private ma non dal legale rappresentante del Comune o da un suo  funzionario delegato.

Muovendo da questa evidenza il Giudicante dichiara la nullità della Convenzione. Infatti: <<Tutti i contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione, anche quando agisca "iure privatorum", richiedono la forma scritta "ad substantiam", con manifestazione della volontà negoziale da parte dell'organo rappresentativo abilitato a concludere negozi giuridici, in nome e per conto dell'ente pubblico, mentre devono ritenersi inidonee le deliberazioni adottate da organi collegiali, aventi la caratteristica di atti interni, di natura meramente preparatoria della successiva manifestazione esterna della volontà negoziale, da trasfondere in un atto, sottoscritto da entrambi i contraenti, da cui possa desumersi la concreta sistemazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da eseguire.>>.

Consegue necessariamente la nullità del contratto, privo della forma scritta, quindi insuscettibile di qualsiasi forma di sanatoria.

Il Giudice – correttamente – esclude rilevanza alla manifestazione di volontà implicita o desumibile da comportamenti puramente attuativi da parte sia del Condominio che del Comune. Durante il processo infatti attore e convenuto mai contestavano la validità della Convenzione; anzi il primo – assumendola appunto valida – richiedeva al Comune soltanto il risarcimento del danno anche in forma specifica.

Al fine di rendere più solide le fondamenta che sorreggano l’edificio logico, il Giudice spiega: <<La regola della forma scritta ad substantiam actus è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell'attività amministrativa, sia nell'interesse del cittadino, costituendo remora ad arbitrii, sia nell'interesse della stessa Pubblica Amministrazione, rispondendo all'esigenza di identificare con precisione l'obbligazione assunta e il contenuto negoziale dell'atto e, specularmente, di rendere possibile l'espletamento della indispensabile funzione di controllo da parte dell'autorità tutoria. In questo senso, il requisito in parola può considerarsi espressione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione sanciti dalla Carta costituzionale.>>.

Così i contratti conclusi dalle Pubbliche Amministrazioni richiedono sempre la forma scritta ad substantiam, con esclusione di qualsivoglia manifestazione di volontà implicita o desumibile da comportamenti meramente attuativi.

Il Tribunale valuta allora la mancata sottoscrizione difetto di forma, non sanabile certamente con comportamenti concludenti o accettazioni tacite delle parti e la mancata contestazione dell’eccezione di nullità non può vedere formato il consenso, essendo questa un eccezione che il Giudice può rilevare d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio. 

Dichiarata la nullità della Convenzione, il Giudice riqualifica la domanda, affermando che tutta l’attività svolta dall’Amministrazione sul suolo altrui si qualificherà come illecito civile in difetto di qualsiasi titolo giuridico, quindi come violazione dell’assoluto diritto di proprietà del Condominio: <<La nullità della Convenzione comporta la qualificabilità di tutta l’attività svolta dall’Amministrazione comunale sul suolo altrui come atto illecito civile in difetto di qualsivoglia titolo giuridico e, quindi, in violazione del diritto assoluto di proprietà dei condomini. La domanda proposta dagli attori va riqualificata come risarcimento in forma specifica di danni derivanti ai propri cespiti dipendente dal fatto colposo illecito ex art. 2043-2058 c.c. commesso dal Comune>>[1].

L’Amministrazione infatti avrebbe agito senza alcun potere negoziale o autoritativo che potesse legittimare l’invasione della sfera giuridica altrui, quindi in aperta violazione del principio del neminem laedere[2].

Poi il Giudice fa proprie le valutazioni del CTU per identificare e quantificare il danno provocato al Condominio ed infine accoglie la domanda principale dell’attore, che chiedeva la condanna del Comune al risarcimento del danno in forma specifica, reputandolo non eccessivamente gravoso[3].

Il Condominio chiedeva poi la condanna dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c.[4]

Il Tribunale, visto il comportamento tenuto dal Comune, che avrebbe realizzato opere edili sine titulo sul lastrico di proprietà del Condominio, valuta necessaria la concessione della misura coercitiva indiretta, in quanto ravvisa il serio rischio del mancato rispetto spontaneo della sentenza di condanna.

Così: <<il pregresso comportamento illegittimo del Comune, il mancato rispetto del principio costituzionale del buon andamento nonché di legalità, la esecuzione di opere su beni altrui senza che se ne avesse un titolo contrattuale o autoritativo fanno ritenere equo condannare il Comune al parametro della somma di € 2.000,00 per ogni settimana di ritardo rispetto al termine fissato per il ripristino dei luoghi.>>.

Valutato il comportamento gravemente colpevole dell’Amministrazione comunale il Giudice alla fine dispone, oltre la condanna alle spese, la trasmissione degli atti alla Procura della Corte dei conti per far emergere le responsabilità erariali connesse alle gravi violazioni descritte.

23 luglio 2018

 

[1]  Sulle eccezioni del principio del cd “chiesto e pronunciato” si vedano Cass. Sez. III civ. n. 2746/2007 e Cass. ss.uu. n. 26424/2014, che, modificando precedenti e consolidati orientamenti, ha ritenuto ammissibile (tale da non costituire vizio di extrapetizione o ultrapetizione) la rilevazione della nullità del contratto per cause diverse rispetto a quelle inizialmente dedotte, la rilevazione d'ufficio di tale nullità in grado d'appello e, in generale, la rilevazione d'ufficio della nullità contrattuale nell'ambito delle domande di impugnativa contrattuale (risoluzione, rescissione e annullamento). Secondo questo orientamento, l'unica attività preclusa al giudice in tema di nullità è rappresentata dall'impossibilità di rilevare d'ufficio l'eventuale conversione del contratto, essendo esplicitamente vietata dall'art. 1424 c.c..

[2] Sulla violazione dell’art. 2043 c.c da parte della Pubblica Amministrazione e sulla sua giustiziabilità da parte del Giudice ordinario, si veda per tutte Cass. Sez. III civ. n. 5120/2011: <<L’attività della Pubblica Amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell'art. 2043 c.c., per cui è consentito al Giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa Pubblica Amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo.>>.

[3] Art. 2058 c.c.: <<Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica qualora sia in tutto o in parte possibile. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore.>>

[4] Art. 614 bis c.p.c.: <<Con il provvedimento di condanna all'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò' sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'articolo 409. Il giudice determina l'ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.>>

 

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